Amore: senso dell'esistenza

Leggi tutto: Amore: senso dell'esistenzaChi non si sente amato, non sa amare. Chi non crede all’amore, vuole contare solo su se stesso, essere autosufficiente. Vive l’amore solo in funzione del proprio io, non riesce a rinnovarlo, a radicarlo. Vive un amore senza radici e sugli altri ha uno sguardo gelido, di giudizio. Fondamentalmente non riesce a essere felice e a dare felicità. Accettare di essere amati è molto più difficile di quel che crediamo, perché sotto sotto conosciamo la nostra miseria e non riusciamo ad accettare che qualcuno ci ami come siamo veramente. Noi stessi fatichiamo ad amarci davvero.

Essere amati è un’esperienza di perdono. Ecco perché papa Francesco, nell’omelia del 13 marzo 2015, ha detto che il giubileo consiste nel fatto che la chiesa deve innanzitutto riconoscersi perdonata. Siamo peccatori perdonati. Altrimenti la nostra misericordia è una forma di paternalismo.

La misericordia, possiamo dire, è la parola chiave del pontificato di Francesco, come un filo rosso che attraversa e collega i suoi discorsi, le sue omelie e i suoi gesti. Il papa con le parole e con il suo atteggiamento vuole mostrare al mondo il Dio di Gesù Cristo. E in realtà è proprio questo l’intimo significato del giubileo della misericordia che va al cuore della crisi di fede di un mondo che rischia di smarrire il volto di Dio, il quale a molti appare distante, freddo, o comunque sbiadito, a volte proprio a partire dall’idea di un “giudizio” inteso in senso inquisitorio e punitivo. L’altro aspetto rilevante dell’anno giubilare è di sostenere e incoraggiare la chiesa nella sua “missione di portare a ogni persona il vangelo della misericordia”.

Papa Francesco esprime così il punto centrale, il cuore del messaggio del giubileo: “Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio. Tutti conoscono la strada per accedervi, e la chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta. Le sue porte rimangono spalancate, perché quanti sono toccati dalla grazia possano trovare la certezza del perdono”.

Che cosa è significativo, nel cristianesimo, per l’uomo di oggi? Che cosa può essere attraente? Non certo la pretesa di un’autorità religiosa di dettare norme e giudizi sulla vita e sull’intimità delle persone. Essa verrebbe percepita come la pretesa di esercitare un potere e un controllo. Si sottomettono ciecamente a un’autorità le persone in fuga dalla libertà, le quali reprimono se stesse pur di trovare rifugio dalle proprie paure e insicurezze. Non è la volontà di Gesù, il quale non è venuto per essere servito, ma per servire (cf. Mc 10,45) e vuole che nessuno perda o rovini se stesso, la propria vita (cf. Mt 16,24-27; Mc 8,34-38; Lc 9,23-26).

Il cristianesimo non riguarda un premio nell’aldilà da guadagnare per un’anima disincarnata; è il cammino verso una vita piena, sfuggendo a una vita vuota, fin da ora, verso un modo migliore di vivere nel mondo già oggi. E questa pienezza, secondo il vangelo, si trova solo nell’amore ed è solo l’amore vissuto, sperimentato, che ce lo fa comprendere. È l’amore come senso dell’esistenza. Anche la chiesa, soprattutto oggi, viene riconosciuta come autorità solo se è autorevole e credibile nel testimoniare l’amore.

 Christian Albini, L’arte della misericordia

Fine e venuta

Leggi tutto: Fine e venutaL’Antico Testamento prepara la via a Cristo, rappresentandolo nel tempo e nella scena della storia tramite delle “figure”. Prima di trovare in lui il loro compimento, gli eventi storici erano in fondo una profezia che indicava in modo specifico Cristo. Le profezie denunciavano costantemente l’ingannevole rivestimento esterno che velava la verità del Regno del Messia veniente, il Regno di grazia e verità, spirito e vita, fino a quando questo si è mostrato definitivamente e noi lo abbiamo visto e lo abbiamo toccato con le nostre mani nella Parola di Vita, Gesù Cristo, il quale è Spirito di profezia. Cristo era ed è il perno attorno al quale l’intera Torà e la totalità della storia dell’umana salvezza si decide. Tra le immagini più belle del Messia di Israele, vi è forse la visione di Daniele del Messia quale Figlio dell’uomo. In essa il Messia di Israele, centro della salvezza, del regno e della gloria di Israele, diventa immagine del Messia dell’intera umanità, che abbraccia la totalità della creazione umana e diventa il centro di una salvezza, di una gloria e di un regno che trascendono la realtà di questo mondo: “Guardando nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno simile a un figlio di uomo … tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno ... e il suo regno non sarà mai distrutto” (Dn 7,13-14). Questa verità era uno degli aspetti più eminenti dell’insegnamento dei rabbini e dei maestri ispirati di Israele nel periodo precedente la nascita di Cristo. Essi insistevano che non c’era profezia alcuna al di fuori del Messia. “Tutti i profeti profetizzarono solo riguardo ai giorni del Messia”. “Il mondo intero fu creato per il Messia”. È la stessa verità che fonda gli scritti del Nuovo Testamento. Cristo stesso la conferma come un fatto degno della massima attenzione: “E cominciando daMosè e da tutti i Profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,27). Ecco il fondamento della fede impressa nella mente della chiesa primitiva. “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui” (Col 1,16-17).

Il culto giudaico però si allontanò dal vero significato messianico che aveva nell’intenzione divina. Le Scritture e le profezie non furono più interpretate nel loro significato essenziale; invece di convergere nella persona del Messia che doveva venire quale Salvatore del mondo attraverso Israele, furono comprese come una descrizione di un Messia che sarebbe venuto come padrone del mondo, strumento per restaurare la gloria del popolo di Israele. Così, non appena Cristo fece la sua comparsa in pubblico, scoppiò un conflitto tra lui e i capi dei giudei: nonostante il suo insegnamento fosse di origine divina, quanto più la sua predicazione ignorava lo scrupoloso attaccamento agli insignificanti dettagli della legge, le purificazioni e gli eccessi di religiosità, la gloria mondana e la supremazia di Israele, tanto più Cristo veniva respinto dai sacerdoti, dai dottori della legge e dalle frange zelote del popolo. Tuttavia, questo offuscamento del significato essenziale della fede nel Messia all’interno dei gruppi dei sacerdoti, degli scribi, dei farisei e dei sadducei non era generale. Rimaneva una parte del popolo di Israele che seppe conservare ancora lo spirito autentico del culto e aderire alle fedeli promesse di Dio. Questo resto di uomini pii anelava con fede ardente alla venuta del Messia, poiché lo avevano intravisto nello studio dei profeti e dei maestri di Israele. Il Nuovo Testamento, nelle prime pagine degli evangeli, ci dà alcuni esempi di questi credenti: il vecchio Simeone, la profetessa Anna, il sacerdote Zaccaria, Elisabetta e la santa vergine Maria.

 Matta el Meskin, Comunione nell'amore

Salvezza. Amicizia di Gesù per noi

Leggi tutto: Salvezza. Amicizia di Gesù per noiTorniamo alla nostra domanda: che cos’e la salvezza? È il Cristo, il Signore dell’universo; è quindi in lui che tutto l’universo, dal più grande fra i nati da donna all’ultimo filo d’erba o granello di sabbia, trova vita e ragion d’essere. Ma solo la comunità dei credenti in lui, la chiesa, lo sa; solo essa ne può essere testimone, ma lo sarà nella misura in cui lo segue sulla sua via, la quale finisce sulla croce. Ecco ciò che Zaccheo ha vissuto nell’incontro con Gesù: si è reso povero, perché aveva trovato la sua ragion d’essere non più nelle ricchezze che cercava di moltiplicare all’infinito, ma nello sguardo posto su di lui da Gesù. In questo modo Zaccheo ha potuto anticipare il momento della salvezza che Dio riserva per tutta la sua creazione. La salvezza è l’amore con il quale Dio ci ama in Gesù Cristo, che fa di noi dei figli di Abramo, e più ancora dei figli di Dio. La nostra missione, in quanto chiesa, consiste nel proclamare Gesù proprio attraverso una vita di spoliazione, di umiltà e di povertà che indichi, per via negativa, dove sta la nostra ragione di vivere (e anche di morire) e il fondamento della nostra gioia, perché anche gli altri possano anticipare questa salvezza e viverne già ora.

La salvezza però incontra ostacoli. Nel caso di Zaccheo: la sua piccola statura e la folla. Ambedue impediscono a Zaccheo di vedere Gesù. Il primo attiene alla sua natura: se fosse più grande, se dominasse in altezza tutti gli altri, lo potrebbe vedere. Il secondo dipende dagli altri, che formano come un muro tra Zaccheo e Gesù. Anche nel nostro caso incontriamo due tipi di ostacoli. Il primo dipende da noi: è il nostro peccato; il secondo dipende dalla società e da altri fattori indipendenti da noi: i nostri impegni, il nostro lavoro, ciò che gli altri si aspettano da noi, magari anche la stessa comunità alla quale apparteniamo. Se Zaccheo ha saputo superare questi due ostacoli, anche noi li possiamo superare, ma allo stesso prezzo di quello pagato dal pubblicano di Gerico: rinunciare all’immagine che ci facciamo di noi stessi. Salendo sul sicomoro, Zaccheo si è fatto come bambino, lasciando perdere la sua dignità e il suo rango. Così per vincere il nostro peccato dobbiamo umiliarci e riconoscere il peccato commesso. Allo stesso modo, per vincere l’ostacolo costituito dagli altri, è necessario rinunciare allo spirito di competitività, al paragonarci con gli altri, al voler essere migliori degli altri, al giudicarli …

Ma l’importante non è nemmeno questo: il Cristo riesce a superare tutti questi ostacoli, persino le nostre durezze, perché, come già detto, anche se Zaccheo non avesse fatto nulla, Gesù lo avrebbe trovato, perché doveva entrare e dimorare in casa di lui, perché “il figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (v. 10). E allora la salvezza, alla fine, non è altro che l’amicizia di Cristo nei nostri confronti. Dio non cesserà di cercarci finché il Cristo non sarà pervenuto, fosse al prezzo della croce, a entrare in noi per immettere nei nostri corpi e nei nostri cuori le energie della sua vita divina. E la prova della riuscita di Cristo sarà la nostra capacità – capacità data anch’essa da Cristo – di vincere in noi il peccato, di accogliere gli altri come fratelli e sorelle, di vivere insieme a loro nella gioia dell’amore fraterno. In questo modo, in Cristo, Dio sarà riuscito a far entrare il cammello – e persino l’elefante – per la cruna dell’ago, come ci è riuscito per Zaccheo!

Daniel Attinger, Evangelo secondo Luca

In Gesù: per la pace dell’umanità

Leggi tutto: In Gesù: per la pace dell’umanitàTutti gli esseri umani, anche i primitivi e i poco civilizzati, hanno in sé, quale caratteristica di esseri umani che sanno sentire con gli altri, la capacità di formarsi una mentalità umanitaria. Anzi, essa è già presente in loro, come un materiale infiammabile che attende di essere acceso da una fiamma che si avvicini.

Tutta una serie di popoli, appartenenti a una determinata area culturale, è stata educata all’idea che un giorno arriverà un regno di pace. In Palestina questa visione viene espressa per la prima volta dal profeta Amos, nel secolo VIII a.C., e continua a vivere in seguito come speranza del regno di Dio, nella religione ebraica e in quella cristiana. Questa idea appartiene alla dottrina professata dai grandi pensatori della Cina, Laozi e Confucio nel vi secolo a.C. e dai loro discepoli. È sostenuta da Tolstoj (1828-1910) e da altri pensatori europei. È stata considerata un’utopia; oggi però la situazione è arrivata a un punto tale per cui essa, in qualche modo, deve diventare realtà se l’umanità vuole sopravvivere.

Sono consapevole di non aver detto nulla di nuovo, con quanto ho esposto sul problema della pace. Sono convinto che potremo dare una risposta a questo problema soltanto se rifiutiamo la guerra in base a motivi etici, perché essa ci rende colpevoli di disumanità. Già Erasmo da Rotterdam e alcuni dopo di lui hanno annunciato questo principio come una verità da tenere in considerazione.

L’unica cosa che oso rivendicare come originale è che, nella mia visione, questa verità è accompagnata anche dalla certezza che lo spirito del nostro tempo vuole creare una mentalità etica. Con tale certezza io annunzio questa verità, nella speranza di contribuire al fatto che essa non venga messa da parte come una delle tante verità che vengono espresse bene solo a parole ma di cui non si tiene conto in vista della realtà. Infatti alcune verità sono rimaste a lungo prive di efficacia, o anche del tutto inefficaci, solo perchè non è stata presa in considerazione la possibilità che divenissero realtà.

Soltanto nella misura in cui, attraverso lo spirito, si risveglia nei popoli una mentalità di pace, le istituzioni create per mantenere la pace possono realizzare quanto viene loro richiesto e quanto si spera che esse possono fare … Quelli che tengono in mano il destino dei popoli possano riflettere, per evitare tutto ciò che potrebbe peggiorare la situazione in cui ci troviamo e metterci in ulteriore pericolo, e possano prendere a cuore quella meravigliosa parola dell’apostolo Paolo: Per quanto sta in voi, state in pace con tutti (Rm 12,18). Tali parole non sono rivolte soltanto ai singoli, ma anche ai popoli. Possano questi procedere insieme nell’impegno per il mantenimento della pace fino all’estremo limite delle possibilità, in modo che allo spirito rimanga il tempo per rafforzarsi e operare!

Albert Schweitzer, in I cristiani di fronte alla guerra

Gesù: una figura troppo umana?

Leggi tutto: Gesù: una figura troppo umana?I cristiani del nostro tempo non possono riconoscere Gesù vero uomo se non considerandolo come un uomo, un individuo dotato di una propria personalità e libertà, cosciente di sé in quanto uomo, soggetto responsabile della propria storia, e tutto questo credendo nel contempo che il Verbo di Dio era destinato da tutta l’eternità a identificarsi con lui nel tempo, che il Logos preparava da sempre la venuta di Gesù nella storia e si è donato a lui in modo definitivo fin dal primo istante della sua esistenza. Questo dono può essere inteso come il carattere del Figlio di Dio, impresso dal Padre nell’esistenza, nella coscienza e nella libertà di Gesù affinché egli lo riconoscesse come Padre identificandosi, da parte sua e nella sua evoluzione stessa, con la vivente Parola deposta in lui …

Gesù nella storia non ha assunto l’atteggiamento dell’intermediario tra Dio e gli uomini: non ha trasmesso oracoli né messaggi da parte di Dio, né imposto leggi a suo nome, non ha istituito di sua iniziativa un culto nuovo. Perché Dio era in Gesù: parlava agli uomini dall’interiorità di Gesù servendosi delle parole umane che Gesù rivolgeva agli altri, ed è nell’interiorità di Gesù che troviamo accesso a Dio mediante lo Spirito santo che unisce a Gesù, in un solo corpo, quelli che amano i loro fratelli come lui ha insegnato loro a fare. È nella persona e nell’evento Gesù – e in particolare nella sua morte e nella sua resurrezione – che Dio si è rivelato a noi, in modo singolare, come Dio degli uomini, Dio per noi, Dio che è amore; ed è facendoci scudo del suo Nome, mettendoci in rapporto con Dio con lo stesso tipo di relazione che Gesù ha avuto con lui, che osiamo chiamare Dio “Padre”. Dio si è rivelato nella carne di Gesù: ecco perché il rapporto, il legame che non può venir meno con quest’uomo appartiene all’identità stessa di Dio. È questa la peculiarità del cristianesimo.

Ciò che Gesù ha di eccezionale non è di ordine religioso, ma umano: proprio perché porta in se stesso l’immagine eterna del Dio invisibile, a somiglianza del quale siamo stati creati e diveniamo uomini, ci è dato di vedere la luce di Dio riflettersi dalla sua figura umana su ogni volto umano e possiamo lasciarci guidare da essa fino a Dio sulle vie di umanità che Gesù ha tracciato …

Associare “vangelo” e “umanesimo”: sfida che la fede cristiana non può rifiutare. Se la rifiutasse si chiuderebbe nel giro di breve tempo nella sua identità comunitaria, e questo la renderebbe incapace di comunicare con il mondo moderno, cioè di svolgere la sua missioneL’incarnazione, o umanizzazione del Verbo di Dio in Gesù, elemento distintivo del cristianesimo rispetto a tutte le altre religioni, lo predetermina a tenere un discorso di portata universale: il vangelo ne offre la testimonianza e un linguaggio sempre nuovo. Decidere di diffonderne il messaggio rappresenta un’opportunità, per i cristiani di questi tempi di incertezza, per scoprire un nuovo modo di stare insieme e di stare nel mondo senza cadere nella tentazione settaria, e di lavorare alla salvezza della storia, nel tempo e nello spazio della sua evoluzione, proprio in un momento in cui sembra minacciata da tragici errori. Ed è per cogliere tale opportunità che vale la pena di arrischiarsi nell’associazione tra vangelo e umanesimo.

Joseph Moingt, L’umanesimo evangelico

Beati e viventi

Leggi tutto: Beati e viventiCerchiamo di ascoltare le beatitudini tentando di individuare cosa dicono dell’esistenza dell’uomo nel mondo le parole qui radunate e articolate le une alle altre in modo così paradossale. Associandole liberamente si potrà far emergere un senso che illumini di luce particolare questo o quell’aspetto dell’esistenza umana nel mondo.

Traduciamo makários con il termine “vivente”, con un rimando non alla nozione di vita biologica, ma a quella che potremmo chiamare vita “psichica” o “spirituale”, quella che proviene dal soffio vivente che Dio insuffla in ogni uomo. “Viventi” sono coloro che non sono pieni di se stessi, delle loro ricchezze materiali o intellettuali, ma che hanno lasciato che si scavasse in loro uno spazio per l’avvento di qualcosa d’altro rispetto a ciò che già esiste e che essi padroneggiano. In altri termini, “vivente” significa aperto, disponibile alla vita del desiderio dentro di sé. Intesa in tal senso, ogni beatitudine apre a una dimensione “altra”, che instaura un modo nuovo di essere uomini.

Viventi i misericordiosi” (Mt 5,7)

I misericordiosi sono coloro che sono in grado di ascoltare l’altro, senza accorgersene e rendersi conto che l’hanno fatto (cf. 6,2-3): costoro a loro volta troveranno ascolto. Misericordioso è colui che si lascia toccare dalla debolezza dell’altro. La misericordia non è pietà, è un dono fatto nel segreto (cf. 6,3-4); solo il Padre sa ciò che hai donato o che l’hai fatto e lui solo “ti renderà” (6,6). Usciamo dalla logica della reciprocità. Il Padre è presente come terzo. Chi fa misericordia a sua insaputa, e non per averlo deciso, non si identifica con l’immagine del misericordioso. Né reciprocità, né identificazione con un’immagine. Viventi, voi che potete essere misericordiosi.

Viventi siete voi … a causa di me” (Mt 5,11)

L’interpretazione cristologica qui è esplicita: “a causa di me”. Ci può essere un odio che si scatena contro il vivente, un odio contro il desiderio. Ma felici coloro che ne sono oggetto, perché lo sono per il fatto di essere viventi della vita in Cristo. “A causa di me” è la relazione vivente che resiste a venti e maree. La persecuzione non verte sull’io (l’immaginario), ma sull’Altro, grazie al quale io sono figlio di Dio: la persecuzione ha di mira il soggetto che è la verità dell’essere umano. Questa relazione vivente può essere minacciata, perseguitata. L’essenziale allora è rallegrarsi non di essere perseguitati, ma di quell’“a causa di me” che unisce il soggetto vivente al suo fondamento. La ricompensa promessa non è da ricercare nella persecuzione o nel sacrificio, ma nei suoi effetti di gioia: è ricompensa nei cieli. Essa non obbedisce alla logica del benessere mondano. È costituita da elementi che si collocano in un altrove (“nei cieli”). Neanche la morte può vanificare questo altrove.

Élian Cuvillier, Paradossi del vangelo

Colui che è scelto, resta scelto

Leggi tutto: Colui che è scelto, resta sceltoMa la chiesa non è il “nuovo popolo di Dio”? Come intendere questa formula? È bene ricordare anche ciò che la Nostra aetate nel 1965 citava della Lettera ai Romani: “... essi sono israeliti, ai quali appartengono l’adozione a figli, la gloria [cioè la presenza di Dio nel suo popolo], i patti di alleanza, la legge, il culto e le promesse” (Rm 9,4). Non è detto: “a cui appartenevano”, all’imperfetto, come se si trattasse di qualcosa che è scaduto. Tutto questo è loro patrimonio, Dio non glielo ha sottratto ed è ciò che li fa vivere.

Qualunque cosa facciamo, Dio resta fedele, e colui che egli sceglie resta scelto. Noi possiamo temporaneamente allontanarci da lui, venir meno all’Alleanza, poi ritornare; egli attende pazientemente, è sempre pronto a riprendere di nuovo la sua relazione d’amicizia con ogni uomo, nel quadro della sua Alleanza. Paolo ce l’assicura: “Se noi siamo infedeli, egli resta fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2Tm 2,13). Aveva già detto, a proposito del popolo di Israele: “I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,19).

Questo è anche ciò che ci garantisce che le nostre infedeltà non causeranno mai un rigetto collettivo definitivo da parte di Dio. Se avesse rigettato il popolo della prima Alleanza, perché non sarebbe stato tentato, più di una volta nel corso della storia, di rigettare il popolo cristiano sovente così poco fedele al vangelo, per ripartire da zero con un altro gruppo fino al prossimo tradimento?

Tutto ciò ci porta a comprendere quanto il popolo ebraico, così com’è, con le sue grandezze e le sue debolezze, abbia un posto speciale nella storia della salvezza di Dio, nel passato come nell’oggi, in grazia di una libera scelta di Dio. Si è lontani dall’idea di un popolo ebraico che, dopo aver svolto un ruolo di preparazione, sarebbe scomparso dalla scena …

Alla mente del credente cristiano può presentarsi un’obiezione: non abbiamo noi la pienezza della luce nel Nuovo Testamento? Che cosa abbiamo ancora da ricevere da quelli che ci hanno preceduto? Forse non abbiamo capito la Bibbia finora? Certamente, il cristiano che avesse perfettamente assimilato tutto il contenuto dell’Antico e del Nuovo Testamento (ma esiste un uomo simile?) possederebbe una ricchezza incomparabile. Ma quando Dio ha aperto ai popoli pagani il tesoro svelato dapprima a Israele, ha preso ogni popolo e ogni uomo nel suo stato primitivo e l’ha fatto progredire con pazienza di secolo in secolo. Dio prende ciascuno là dove si trova e lo conduce passo dopo passo a un livello morale e spirituale più elevato.

Così avviene ancor oggi per molti membri dei cosiddetti popoli “cristiani”. Un cristiano del nostro mondo moderno, che la domenica sente un passo del vangelo, non è sovente rimasto un pagano che Dio tenta di formare a poco a poco con la sua parola e la sua grazia? L’autore francese Péguy ha detto: “È necessaria tutta una vita perché l’acqua del battesimo versata sulle nostre fronti giunga fino ai piedi”. La stessa cosa si potrebbe estendere a un intero popolo.

Jochanan Elichaj,Ebrei e cristiani.Dal pregiudizio al dialogo