Laviamo le nostre vesti e partecipiamo al banchetto

Leggi tutto: Laviamo le nostre vesti e partecipiamo al banchettoVedo che molti partecipano al corpo di Cristo in modo superficiale e così come capita, facendolo più per abitudine e tradizione che per riflessione e intima convinzione. Quando è venuto il tempo della santa Quaresima, dice qualcuno, in qualunque condizione uno si trovi, può partecipare ai santi misteri, così come nel giorno dell’Epifania. Eppure non è questo il momento opportuno per accostarsi, perché né l’Epifania, né la Quaresima rendono degni di accostarsi, ma solo la sincerità e la purezza dell’anima! Se le possiedi, accostati sempre; altrimenti, non farlo mai …

Tu, accostandoti al sacrificio di fronte al quale perfino gli angeli rabbrividiscono, ne circoscrivi l’azione a determinati periodi di tempo? E come potrai presentarti davanti al tribunale di Cristo, se sei così audace da toccare il suo corpo con mani e labbra contaminate? Tu che non oseresti baciare un re terreno con l’alito cattivo, vuoi baciare il Re del cielo con l’anima maleodorante? Questo è un vero affronto! Dimmi: oseresti accostarti al sacrificio con le mani non lavate? Non credo. Preferiresti semmai non accostarti affatto, piuttosto che farlo con le mani sporche. Ebbene, tu che sei così scrupoloso per una piccola cosa, ti accosti con l’anima insozzata e hai l’ardire così di toccare il corpo del Signore? Eppure tra le mani viene tenuto solo per un momento, mentre nell’anima esso viene assorbito completamente. E allora? … Vedo una grande incoerenza in questo comportamento …

Rifletti, ti prego. La mensa regale è qui presente, ci sono gli angeli che servono, c’è il Re in persona, e tu resti in piedi sbadigliando? Hai le vesti sudicie e non hai alcuna giustificazione? Oppure le tue vesti sono pulite? Allora siediti a mensa e prendi parte al banchetto! Il Signore viene ogni giorno a vedere i commensali e a parlare a tutti. Anche ora dice alla coscienza di tutti: “Amici, come potete star qui senza avere l’abito nuziale?” (cf. Mt 22,12)21. Egli nella parabola non ha detto: “Perché ti sei seduto a mensa?”, ma gli disse che era indegno di entrare, ancor prima che di sedersi. Non gli ha detto infatti: “Perché ti sei messo seduto?”, ma: “Perché sei entrato?”. Questo è ciò che egli dice anche adesso a noi tutti che ce ne restiamo in piedi in modo impudente e sfrontato. Chiunque infatti non partecipa ai misteri, resta in piedi in modo impudente e sfrontato …

(Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera agli Efesini 3,4-5)

Vai al libro: Entrare nei misteri di Cristo

"Libertà a immagine di Dio"

Leggi tutto: Ogni uomo è una persona unica, dissimile e irripetibile: è un’alterità esistenziale. Tutti gli uomini hanno una natura o essenza comune ma essa esiste solo come alterità personale, come libertà e autotrascendimento delle determinazioni naturali e della necessità naturale …

La creazione dell’uomo è opera dell’amore di Dio, non della “sua buona disposizione” ma del suo amore che costituisce l’essere come fatto esistenziale di comunione e relazione personali. L’uomo è stato creato per comunicare al modo personale di esistenza, cioè alla vita di Dio, e per partecipare alla libertà dell’amore che è la “vera vita” … Certo, l’uomo non smette di essere creatura: la sua natura è una natura creata; la sua individualità naturale è corruttibile e mortale. Ma in questa natura creata e mortale Dio ha impresso la “sua immagine”, “ha soffiato un alito di vita” (Gen 2,7), la possibilità della vera vita al di là dello spazio, del tempo e della necessità naturale …

La verità della relazione personale con Dio, positiva o negativa, ma sempre relazione esistenziale, è la definizione dell’uomo, il modo nel quale l’uomo è. Egli è un fatto esistenziale di relazione e comunione, è “persona”: ciò significa che ha il volto verso qualcuno o verso qualcosa, è davanti a qualcuno o a qualcosa (“in relazione”, “in rapporto”). La natura umana creata in ogni sua realtà personale è “davanti” a Dio, esiste come rapporto e relazione con Dio.

L’alterità personale costituisce l’immagine di Dio nell’uomo: è il comune modo di esistenza di Dio e dell’uomo, l’ethos della vita trinitaria che è stato impresso nell’esistenza umana. Nell’ambito della chiesa e della teologia ortodosse vediamo l’uomo come immagine di Dio e non Dio come elevata e assolutizzata immagine dell’uomo. La rivelazione del Dio personale nella storia ci manifesta la verità dell’uomo, il suo ethos, la nobiltà della sua origine.

 Christos Yannaras, La libertà dell’ethos

Vivere altrimenti

Chi siamo noi monaci? Siamo quelli che comprendono le cose, la realtà, il mondo altrimenti. E siccome comprendiamo altrimenti, viviamo anche altrimenti …

Noi monaci siamo là e non abbiamo uno scopo, se non quello di tentare di vivere l’evangelo. Non abbiamo nessuna funzione particolare nella chiesa; altri sono nella chiesa per fare qualcosa: i vescovi e i presbiteri per governare il popolo di Dio, i frati per predicare, le suore per aiutare i poveri e i malati… I monaci sono senza un’opera specifica, non hanno nulla da fare in particolare, nessuna meta, nessun traguardo nella loro vita. Non si fa carriera nella vita monastica, non ci sono promozioni: si resta sempre fratelli e sorelle, poveri laici. “Noi siamo semplici laici senza importanza”, come diceva Orsiesi, discepolo di Pacomio, al vescovo Teofilo di Alessandria.

Quanto all’amore, anche qui c’è un altrimenti. Mentre nella vita normalmente prima si conosce qualcuno e poi lo si ama, i monaci decidono di amare l’altro prima di conoscerlo: l’altro è l’ospite, è il viandante, è colui che chiede di entrare in comunità. Quest’accoglienza universale è possibile anche perché sono celibi. Vivere il celibato dà inoltre ai monaci una libertà e una possibilità ulteriore e diversa di interiorizzazione, di pensiero, di solitudine e di silenzio: tutti strumenti per fare una vita monastica che è ricerca di Dio (cf. Regola di Benedetto 58,7) e, insieme, ricerca dell’uomo (cf. Regola di Benedetto, Prologo 15).

Ogni monaco rinuncia a possedere in proprio qualsiasi cosa. Tutti i beni sono comuni e tra i monaci non circola denaro … Lavorano tutti, per guadagnarsi da vivere e non dipendere da nessuno: tra di loro c’è chi guadagna poco e chi guadagna molto, ma questa differenza non significa nulla nelle relazioni perché tutto è messo in comune, senza che chi guadagna possa trattenere qualcosa per sé. Inoltre tutti, intellettuali e no, fanno lavori manuali: cucinare, lavare i piatti, pulire le case, fare lavori nel bosco o nell’orto. È in queste relazioni, in queste condizioni diverse e diseguali che i monaci tendono all’uguaglianza e alla fraternità, cercando sempre di vivere il primato del comandamento nuovo. Così facendo, giorno dopo giorno imparano ad amare, si esercitano nell’amore, si sentono un corpo, gli uni membra degli altri (cf. Rm 12,5; 1Cor 12,20; Ef 4,25) …

I monaci amano la notte e vivono la notte prima del giorno. Alla sera presto (verso le 20) entrano in cella e vanno a riposare, ma al mattino (tra le 2,30 e le 4,30, a seconda dei monasteri) si svegliano anticipando la luce del giorno e vegliano. Vegliare è la lampada della vita monastica. Non ci si alza presto per fare penitenza, ma per vivere la notte, quel tempo benedetto in cui si è soli, c’è assoluto silenzio e si può ascoltare Dio che parla al cuore. Di giorno il monaco incontra i fratelli, gli ospiti, gli uomini; di giorno il monaco lavora e prega con gli altri fratelli; ma tutto questo avviene dopo alcune ore passate a vegliare nella notte in attesa del giorno.

Questi elementi che costituiscono l’altrimenti della vita monastica convergono in un’istanza centrale, che li riassume e li ri-significa: i monaci vogliono essere una memoria della communitas, un antidoto alle forze centrifughe, disgreganti, individualistiche. Tutto è per loro comune, e la stessa personalità del singolo non deve diventare singolarità contro gli altri o senza gli altri.

Enzo Bianchi, Nella libertà e per amore

Chiesa: unità di tutta la creazione in Cristo

Leggi tutto: Chiesa: unità di tutta la creazione in CristoLa chiesa è cattolica non perché obbedisce a Cristo, perché cioè compie certe azioni o si comporta in una certa maniera: essa è cattolica prima di tutto perché è il corpo di Cristo. La sua cattolicità dipende non da se stessa, ma da lui. È cattolica perché si trova dove c’è Cristo. Possiamo comprendere la cattolicità come una dimensione ecclesiologica, soltanto se la comprendiamo come una realtà cristologica …

Il carattere cristologico della cattolicità risiede nel fatto che la chiesa è cattolica non in quanto comunità che ha di mira un certo scopo etico (l’apertura, il servizio al mondo, eccetera), ma come comunità che sperimenta e rivela l’unità di tutta la creazione, a tal punto che questa unità costituisce una realtà nella persona di Cristo. Per essere credibili, questa esperienza e questa rivelazione suppongono un certo éthos cattolico, ma non c’è cattolicità autonoma, non c’è éthos cattolico che possa essere compreso in se stesso. Sono l’unità e la cattolicità appartenenti a Cristo che la chiesa rivela nel suo essere cattolica. Questo significa che la cattolicità propria della chiesa non è né un dono da possedere né un ordine oggettivo da realizzare, ma una presenza, una presenza che unisce in un’unica realtà esistenziale simultaneamente ciò che è dato e ciò che è ricercato, la presenza di colui che è garanzia in sé della comunità e della creazione intera poiché è esistenzialmente incluso nelle due. La chiesa è cattolica unicamente per il fatto che si trova dove c’è questa presenza (cf. Ignazio di Antiochia), cioè è inseparabilmente unita a Cristo, e ne costituisce la vera presenza nella storia.

Divenire anche solo simbolicamente per il mondo un segno reale della cattolicità della chiesa nella storia è opera dello Spirito santo … La sua vocazione alla cattolicità è una chiamata non a una progressiva conquista del mondo, ma a un’esperienza “kenotica” di lotta contro i poteri demoniaci anti-cattolici, e a una sottomissione continua al Signore e al suo Spirito. Una chiesa cattolica nel mondo, per quanto possa essere certa della vittoria di Cristo sul divisore, vive nell’umiltà e nel servizio, e soprattutto in una preghiera e in un culto costanti. Il modo con cui la cattolicità della chiesa è rivelata nella comunità eucaristica mostra che l’essenza ultima della cattolicità risiede nel superamento di tutte le divisioni in Cristo.

Vai al libro: Ioannis Zizioulas, L’essere ecclesiale

 

La divisione rende deboli

Leggi tutto: La divisione rende deboliNessuno di noi può dimenticare che l’unità dei cristiani è un preciso comandamento di Cristo. È proprio per l’unità dei cristiani che il nostro Signore e Salvatore pregò prima della sua passione sulla croce. La sua preghiera continua a risuonare come appello a operare tutto ciò che dipende da noi per ristabilire quell’unità che è stata rotta nel passato. Questa preghiera è per noi come una campana a martello, che insistentemente ci ricorda la pressante necessità di realizzare il compito che il Signore stesso ha posto dinanzi a noi. L’assenza dell’unità tra i cristiani è uno scandalo per il mondo intero e per le nostre chiese. Non possiamo sfuggire alla responsabilità affidata a ciascuno di noi perché sia ristabilita l’unità dei cristiani

Siamo tutti stanchi di belle parole e dichiarazioni. Occorre che tra di noi parliamo apertamente dei problemi che ci preoccupano. Abbiamo il dovere di ricordarci l’urgenza del compito che ci sta davanti, la necessità dell’unità cristiana. Perché questo compito è cosi essenziale? Perché ogni giorno che passa nella divisione ci priva di quelle possibilità che avremmo uniti. Decine di migliaia di giovani perdono la vita per non essere riusciti a trovare una ragione per vivere, e noi siamo stati incapaci di indicarla loro. Muoiono vittime di stupefacenti, dell’alcool, dell’Aids, e i cristiani uniti avrebbero forse potuto mostrare loro efficacemente una speranza. Dovremmo pensare di più ai bisogni reali delle persone.

Vorrei terminare il mio intervento con un appello: non abbiamo paura a fare insieme tutto quello che possiamo. Ci sono molte cose che potremmo fare insieme, c’è un ampio campo per l’azione comune. Ma al contempo parleremo apertamente dei nostri disaccordi, senza temere di essere poco diplomatici, senza cercare di nasconderli dietro belle parole e garbati auguri. Se agiremo lungo queste due direzioni, forse, già qui in prospettiva storica, e non escatologica, potremo veder realizzata nella nostra vita la preghiera del Signore sull’unità dei cristiani.

 Ilarion Alfeev, Cristiani nel mondo contemporaneo

Battesimo di Cristo e battesimo del cristiano

Leggi tutto: Battesimo di Cristo e battesimo del cristiano“Ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito santo” (At 2,38).

Gesù, resuscitato dallo Spirito santo, è diventato sorgente dello Spirito per la sua chiesa, e il battesimo è il sacramento per eccellenza di tale dono. In questo senso, “nascere dall’acqua e dallo Spirito” (cf. Gv 3,5) è nascere dallo Spirito santo di cui l’acqua è segno: per questo l’Apostolo può dire che “siamo stati immersi, battezzati in un solo Spirito” (1Cor 12,13).

Il cristiano nasce dunque dallo Spirito santo e non può sottrarsi al “bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito” (Tt 3,5), perché resta sempre immerso nello Spirito santo. È lo stesso Spirito che resuscita il cristiano incorporandolo a Cristo risorto, e compiendo questa azione rimette e cancella definitivamente i peccati, sicché Dio non li ricorda più (cf. Is 43,25). Inizia proprio nel battesimo quella “conoscenza della salvezza” sperimentata “nella remissione dei peccati” (Lc 1,77) – come cantiamo nel Benedictus –, l’unica esperienza di salvezza che ci è donato di fare durante la nostra vita terrena. Nel battesimo lo Spirito santo distrugge l’uomo vecchio (cf. Rm 6,6), fa rivestire il cristiano di Cristo (cf. Gal 3,27), lo rende uomo nuovo (cf. Ef 4,24), creatura nuova (cf. 2Cor 5,17) conforme a Gesù Cristo, il nuovo Adamo (cf. 1Cor 15,45). Efrem il Siro (iv secolo) legge il battesimo di Gesù come discesa nell’acqua di Gesù e dello Spirito che era presso di lui: lo Spirito santo invisibile si è mescolato all’acqua visibile, in modo che chi è immerso lo sia non solo nell’acqua ma anche nello Spirito mescolato ad essa. Secondo Efrem nel battesimo la remissione dei peccati avviene grazie all’immersione nello Spirito santo. Battesimo di Cristo e battesimo del cristiano non si oppongono ma si completano, perché “come lo Spirito è sceso su Gesù nel suo battesimo” (cf. Mc 1,10 e par.), così è donato attraverso il suo battesimo: “Ecco il fuoco e lo Spirito santo sul fiume in cui tu sei stato battezzato [o Cristo], fuoco e Spirito nel nostro battesimo”.

Enzo Bianchi, Effusione dello Spirito santo e remissione dei peccati

Tre arpe, beatitudine della chiesa

Leggi tutto: Tre arpe, beatitudine della chiesaNel giorno dell’Epifania il vangelo conferma e rilancia la grande promessa di Dio ad Abramo, che lo zelo del Signore compirà: “In te si diranno benedette tutte le genti della terra” (Gen 12,3).

Nella venuta dei magi inizia a risplendere l’adempimento del mistero nascosto nei secoli nella mente di Dio. Da sempre il Signore vuole che tutti gli umani siano salvati, arrivando a conoscerlo, e con loro tutte le creature: cioè la salvezza che Dio ha preparato è coestensiva alla creazione. Dio ha creato solo ciò che ha amato: ciò che non avesse amato, non l’avrebbe neppure creato, come dice il libro della Sapienza. Tutto è stato creato nel Verbo, e tutto sarà ricapitolato, re-intestato nel Verbo, cioè è abitato dal Verbo già ora. In vista di questa salvezza Dio ha eletto Abramo, Israele e la chiesa. Anche l’elezione e la vocazione del servo del Signore sono per le moltitudini. Non c’è salvezza che non sia salvezza per tutti. Mentre attendiamo che tutte le genti si dicano benedette nel Signore Gesù, e che Israele si rallegri, si possa rallegrare di riconoscerle benedette nel suo Messia, noi, chiesa dalle genti, possiamo forse leggere in questa pagina quel mandato che Efrem il Siro chiamava la beatitudine della chiesa, cioè far risuonare le tre arpe gloriose: le Scritture sante di Israele, il vangelo e la creazione …

La terza arpa è la creazione. Una meravigliosa stella, prodigiosa come tutte le stelle, ha saputo indicare, brillando di gioia, colui che l’aveva creata (cf. Bar 3,35). I magi hanno saputo scrutare con enorme sapienza amorosa il cielo stellato, e hanno saputo ascoltare da lui un racconto del Creatore fino a giungere a Gerusalemme. Per crescere nella conoscenza del Signore dobbiamo imparare dalle genti tutte, dalla loro obbedienza alla creazione, a decifrare quel canto che le creature, per amore di Dio, sanno fare. La rivelazione non spegne affatto né rende superfluo questo canto, anzi: fu grandissima la gioia dei magi nel rivedere la stella, dopo aver ricevuto l’annuncio delle Scritture. Gesù, che qui è cercato grazie a una stella, saprà scrutare sia le Scritture che la creazione, alla quale sapeva di appartenere, e saprà leggere la promessa della resurrezione sia nella pagina del roveto ardente sia nel chicco di grano caduto a terra…

 

Vai al libro: Maria dell’Orto, La follia del vangelo