Una felicità senza misura

Leggi tutto: Una felicità senza misuraLa ricerca della felicità è vecchia quanto l’uomo: ma come vivere una vita felice, premesso il fatto che la nostra condizione umana è segnata dalla finitezza e dagli imprevisti dell’esistenza (malattia, cattiva sorte, catastrofi di ogni genere, perdita delle persone care e, a scadenza più o meno ravvicinata, la prospettiva della propria morte)? Nell’antichità si riteneva che gli dèi fossero “felici” perché sfuggono alla sorte dei mortali, godendo così della felicità eterna. Quanto agli uomini, continuano incessantemente a cercare la felicità e la individuano nella salute, nell’amore, nel denaro, nella sapienza, nella bellezza, nel potere, nella pietà, nella protezione degli dèi. Su tale questione della felicità e delle condizioni alle quali è possibile le beatitudini dell’Evangelo di Matteo (cf. 5,3-12) rappresentano un contributo originale. Il loro intento è in effetti per lo meno paradossale: Gesù vi proclama che la felicità si riceve in una condizione di povertà di spirito, al cuore della prova e più in generale in situazioni di carenza e di umiltà, a priori poco conformi ai canoni abitualmente associati alla felicità. Gesù non afferma certo che la felicità nasce dalla sofferenza, tuttavia egli sostiene non soltanto che essa trova la sua sorgente nell’attesa di qualcosa la cui origine va collocata all’esterno di questo mondo (quello che Matteo chiama “il regno dei cieli”), ma anche che può essere vissuta proprio al cuore della prova: è una definizione di felicità che non corrisponde a nulla di ciò a cui siamo abituati!

Si potrebbe dire che il discorso della montagna elabora una “logica paradossale”, paradossale nel senso che va controcorrente rispetto all’opinione comune. Infatti il discorso della montagna ha la capacità misteriosa di suscitare una comprensione del rapporto con se stessi e con gli altri che trascende ciò che abitualmente pensiamo di una vita buona e felice. Il dono debordante, che non attende ricompensa alcuna, e la fiducia assoluta fondata unicamente sulla promessa di una parola ne sono i due pilastri …

La logica della dismisura del dono e della fiducia nella gratuità è possibile nel quotidiano? La storia dell’umanità, e la nostra personale esperienza di credenti mostra che, in generale, tale logica paradossale appare come un emergere improvviso, come un qualcosa di inatteso, un dono che viene da altrove e non dalla nostra volontà. La logica della dismisura del dono e della fiducia nella gratuità è piuttosto un lasciare che in noi operi la Parola, che interviene allora come una grazia. Bisogna però accoglierla in noi quando si manifesta. Noi non possiamo prevederla, programmarla, padroneggiarla. Dobbiamo semplicemente riconoscerla, a cose fatte, quando ne contempliamo gli effetti in noi e attorno a noi.

Élian Cuvillier, Paradossi del vangelo

Nelle mani i colori dell’arcobaleno

Leggi tutto: Nelle mani i colori dell’arcobalenoNel corpo così piccolo, così effimero, vive tutto un universo, e se potesse darebbe la sua vita per la vita del mondo. Nel nostro corpo si rivela il desiderio di Dio. In fin dei conti, quel che ci mormora la dottrina dell’incarnazione è che Dio fin dall’eternità ha voluto avere un corpo come il nostro …

Ma il corpo non è soltanto sorgente che deborda: è braccia che accolgono.

L’orecchio che ascolta il lamento, in silenzio, senza dir nulla...
La mano che ne stringe un’altra...
La poesia, magia che transustanzia il mondo mettendovi delle cose invisibili, rivelate solo dalla parola...
La capacità magica di ascoltare le lacrime di qualcuno, lontano, mai visto, e anche di piangere...

Il mio corpo deborda e fertilizza il mondo...

Il mondo deborda, e il mio corpo lo riceve...

Così semplice, così bello. Ma è successo qualcosa di strano. Qualcosa ci ha tentato, e noi abbiamo cominciato a cercare Dio in luoghi perversi. Abbiamo pensato di incontrare Dio dove il corpo finisce: e l’abbiamo trasformato in bestia da soma, in esecutore di ordini, in macchina per il lavoro, in nemico da mettere a tacere, e così l’abbiamo perseguitato, al punto da far l’elogio della morte come via verso Dio, come se Dio preferisse l’odore delle tombe alle delizie del paradiso. E siamo diventati crudeli, violenti, abbiamo permesso lo sfruttamento e la guerra. Perché se Dio si trova al di là del corpo, allora al corpo tutto può essere fatto.

Ho scritto queste cose come celebrazioni della resurrezione. Nella speranza della resurrezione dei morti. Per esorcizzare la morte, che noi stessi alimentiamo con la nostra carne. Invocazioni di gioia e bellezza. Chi ha gioia e ama la bellezza lotta meglio.

I corpi risuscitati sono guerrieri più belli perché portano nelle loro mani i colori dell’arcobaleno. E allora i corpi si trasformano in seme che feconda la terra perché nasca il futuro...

Rubem A. Alves, Il canto della vita

Colti di sorpresa!

Leggi tutto: Colti di sorpresa!I primissimi testimoni della resurrezione sono terrorizzati e non sanno trovare le parole per comunicare quello che hanno visto, perché hanno visto Dio porre il suo sigillo sul Gesù crocifisso, dichiararsi nel Gesù morto, sconfitto e abbandonato. Nell’evento misterioso della tomba vuota Dio dice: “Non è stata la fine: sono vivo in Gesù”. E la prima volta che fu udito questo messaggio, la reazione non fu la sensazione di un blando sollievo religioso, ma piuttosto un senso di terrore. Non siate dunque in preda allo sgomento, dice perciò Marco ai lettori, se a una prima lettura anche voi troverete ciò terribile o spaventoso.

Ma all’interno di ciò giace uno stimolante paradosso. È evidente che le donne dissero qualcosa,altrimenti il vangelo non sarebbe stato scritto. Alla fin fine fu loro possibile trovare le parole per ciò di cui mai avevano immaginato di poter parlare. Se dunque tu sei perplesso, sconcertato e attonito dinanzi al mistero della croce e della resurrezione, non disperare. Altri hanno trovato le parole, delle vite sono state vissute nella fede: per questo ti è dato il vangelo, perché qualcuno riuscì a parlare di questi eventi. Anche tu puoi farlo.

La misteriosa conclusione di Marco fa sì che ora tocchi decisamente a noi decidere che cosa fare. La resurrezione non è solamente qualcosa che è possibile additare, quasi a dire: “Ecco Gesù che esce dalla tomba camminando e che mostra al sommo sacerdote, a Pilato e a tutti gli altri quanto si fossero sbagliati”. La resurrezione è la ri-creazione di un rapporto di fiducia e di amore, proprio laddove la realtà umana si fa estrema: nella sofferenza, nell’abbandono, nella morte. È su questo che la storia della resurrezione fa convergere il nostro sguardo. Dunque la conclusione del vangelo ci dice che la fede nel Gesù crocifisso e risorto è possibile, e che dobbiamo continuare a leggere e ad ascoltare finché non l’avremo trovata, a leggere e ad ascoltare finché non avremo colto che cosa Gesù ha smantellato e abolito … Nel testo evangelico vi è la prova che è possibile trovare le parole per parlarne, purché si sia sufficientemente pazienti e coraggiosi da porsi in loro attesa …

È come se si confidasse nel fatto che un giorno tutte queste cose acquisiranno un senso alla luce dello schema globale della profezia ebraica, sebbene non vi si sia ancora giunti. L’evento pasquale fu abbastanza nuovo, abbastanza strano e abbastanza preoccupante da far sì che non si disponesse, per parlarne, di alcuna struttura preconfezionata. Malgrado le profezie poste sulle labbra dello stesso Gesù, i suoi seguaci continuano a essere colti di sorpresa, come se il mero fatto brutale della sua morte umiliante avesse cancellato ogni ricordo di qualsivoglia speranza espressa da Gesù.

Rowan Williams, Il Dio di Gesù nel Vangelo di Marco

Ritorno alla luce

Leggi tutto: Ritorno alla luceL’ingresso nella grande settimana suggerisce l’idea di un esodo, un cammino di liberazione che permette di passare da un mondo a un altro. Non bisogna mai temere di mettersi in cammino, né di abbandonare per un breve intervallo di tempo quel clima di superficialità nel quale il più delle volte viviamo. Per ritrovare il significato profondo della grande settimana e gustarla in tutto il suo spessore i cristiani devono imparare a dedicarvi tempo. Ci vuole coraggio per sbarazzarsi di tutto il “vecchiume”, ciò che è abitudinario, le pose “inacidite”, i vecchi orizzonti, le solite occupazioni e preoccupazioni, le vecchie angosce… La vera domanda da porsi per il cristiano è: sono disposto a perdere del tempo per poterlo ritrovare come dono alla sorgente? Il cristiano grazie alla liturgia, ai suoi testi, ai suoi canti, alla ricchezza dei suoi segni, accede alla visione della grazia pasquale. La Pasqua nella liturgia diventa per lui visione, precisamente nel senso in cui ne parlano i testi sacri.

La fede del cristiano? Disarmante semplicità: è vivere la pasqua! È questo, è tutto qui… Non è che questo: in ogni istante, in ogni prova, in ogni vertigine che ti coglie. Una volta che tu sai che “pasqua” vuol dire “passaggio”, comprendi che si tratterà costantemente di operare un passaggio: dalla notte al giorno, dal male al bene, dalla sofferenza alla pace, dalla carenza all’abbondanza. O l’inverso. In ogni caso mai come un sovrapporsi statico di esperienze, ma come cammino dinamico. Il credente sa decifrare la forza costante di questa creazione interiore, spirituale, al cuore stesso di tutti gli istanti della propria vita. Pasqua è vivere costantemente questo passaggio in Dio di tutto il nostro essere …

Semplicità. Scopriamo qui la possibilità di accedere a un’altra realtà, completamente trasfigurata, del mondo. In fondo, Cristo riporta la materia alla sua origine di luce, la rivela come in un fotogramma; cosa riconducibile al mistero dello Spirito. Come comprendere altrimenti la parola che ci dice che “Dio è luce” (1Gv 1,5)? Non vi è altra prova che rischiare di persona, come ricorda un proverbio cinese che non mi stanco mai di citare: “La farfalla conosce la fiamma alla quale si consegna”. A chi chiede di conoscere la fede cristiana mi viene sempre voglia di rispondere: “Vuoi conoscere la luce della Pasqua? Celebrala! E lasciati bruciare d’amore fino al culmine, la croce”. La grande settimana celebra questo ritorno alla luce. Il mondo è nato, ci dice la fisica contemporanea, da un’eccedenza di fulgore. Tutto è partito da quella sorgente originaria che è l’atto più bello; immaginiamo quell’istante, un frammento, un’esplosione di luce candida. Nel mistero della resurrezione vi è qualcosa che assomiglia a un ritorno della materia al mistero di Dio. In Cristo l’intero cosmo è tornato alla sorgente, nel suo splendore e nella sua luce.

André Gouzes, La notte luminosa

Gesù Servo e Signore

Leggi tutto: Gesù Servo e SignoreQuando celebra nella gioia e nell’azione di grazie la cena del Signore, la chiesa apostolica non può dimenticare che quella cena la rimanda alla cena di Gesù Servo, che si reca al suo martirio. Nella presenza del Signore, operante en pneumati al cuore di essa, è l’atteggiamento del Servo ciò di cui l’assemblea eucaristica fa memoria. Infatti sa, per la sua fede, che la cena del Signore celebra nei segni essenzialmente l’atteggiamento interiore – esternato e concretizzato negli eventi della pasqua – con il quale, entrando in totale comunione con il volere del Padre, Gesù perviene alla gloria del Kyrios. Il Kyrios è inseparabile dal Servo, incomprensibile senza un riferimento a quest’ultimo: la sua signoria non è altro che la glorificazione da parte dello Spirito della sua povertà di Servo. Croce e resurrezione costituiscono un solo mistero non semplicemente per il fatto che rappresentano gli estremi di un unico e indivisibile movimento.

Per la tradizione apostolica la cena del giovedì santo ha dunque il suo fulcro nella presenza del Servo in mezzo ai discepoli. Gesù instaura in quel momento tra sé e ciascuno dei commensali, per il semplice fatto di mangiare e bere con loro, un profondo legame di fraternità. Gesù dunque inscrive la sua eucaristia in questa valenza unitiva del pasto, conferendole un livello di profondità completamente nuovo …

Inoltre, benché Gesù in questa comunità occupi il posto principale, vi appare comunque in un rapporto di comunione orizzontale con i commensali. Invitandoli alla sua tavola, li fa partecipare a ciò che anche lui riceve da Dio, li associa al suo bene personale. Questo spiega le reazioni violente dei farisei per i suoi pasti con gli empi e i peccatori. Per quel che concerne in particolare la cena del giovedì santo, è importante sottolineare che Gesù in quell’occasione fa accedere i suoi a una comunità conviviale propriamente messianica, legata alla sua missione personale e alla sua qualità di Servo. Infatti siamo già nel clima della passione. Questo è ulteriormente accentuato dal fatto che le tradizioni evangeliche ci immergono nell’atmosfera della cena pasquale, che com’è noto ha una dimensione messianica. Pasto del Servo che va al martirio, l’ultima cena è dunque il pasto di coloro che sono ammessi a formare la prima cellula del popolo messianico, il popolo nuovo della nuova creazione.

Il semplice fatto di essere con Gesù alla tavola dell’ultima cena permette già di accedere alla comunione con lui. Si comprende allora la grande affermazione, che alimenta la speranza, riferita da Luca in questo contesto: “... perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio Regno” (Lc 22,30). La comunità conviviale eucaristica – in tutta la sua realtà ma anche in tutta la sua precarietà, dovuta al fatto che l’uomo non può mai essere certo della propria fedeltà – annuncia la koinonia definitiva nel Regno a venire. Il mistero del popolo nuovo viene cosi visto alla luce di tale comunità conviviale, radicata nell’economia della creazione.

Jean-Marie R. Tillard, Eucaristia e fraternità

Il serpente e la croce: vie per tornare a Dio

Leggi tutto: Il serpente e la croce: vie per tornare a DioL’elemento di novità introdotto dal racconto dei Numeri è la guarigione, che sorprendentemente giunge portando in sé l’immagine del peccato: il serpente. Deve essere stato visto come uno scandalo il fatto che la causa della malattia potesse aver parte nella guarigione. Tuttavia la guarigione dei figli di Israele da parte del serpente di bronzo non era neppure lontanamente scandalosa quanto l’immagine della crocifissione. Il potere di guarigione posseduto dal serpente di bronzo si basava sull’atto di pentimento e umiliazione davanti a Dio. Un autentico pentimento poteva avvenire solo quando i figli di Israele ammettevano il loro peccato e ne capivano la natura. Allo stesso modo, la croce rappresenta il rimedio del peccato dell’umanità. Gesù salì sulla croce allo scopo di offrire se stesso a quanti, fissandolo come avevano fatto i figli di Israele nel deserto, ammettono i loro peccati, riconoscono la loro morte spirituale e la loro separazione da Dio, e chiedono di essere nuovamente uniti a lui. Ecco perché, soprattutto per la chiesa primitiva, l’immagine di Cristo sulla croce era un’immagine di trionfo. Cristo nella sua morte trionfò sul peccato, e la contemplazione di Cristo crocifisso trionfante è la via che conduce alla nostra salvezza. Il segno della croce ci offre questa contemplazione: un modo per interiorizzare lo scandalo della croce e un modo per cercare la riunione con Dio e con Cristo crocifisso …

Da noi stessi non abbiamo la forza di astenerci dal peccato, perché siamo nati nella malattia del peccato. Nulla ci autorizza a pensare di poter giungere a una santità basata sulle nostre proprie forze. “Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo” (Gv 3,13). Giovanni chiarisce che nessuno giunge alla salvezza da se stesso, ma solo mediante Cristo. Gesù, quale secondo Adamo, ha introdotto la medicina, laddove il primo Adamo ha introdotto la malattia.

Il segno della croce è un riflesso di questa medicina dataci da Cristo. È un segno di contemplazione sul nostro peccato, e in quanto tale combina umiltà e desiderio di trionfare sul peccato e la tentazione. Al tempo stesso esso riconosce le nostre limitazioni e richiede l’assistenza di Dio nella nostra ascesa e maturazione spirituale. Il segno della croce riflette il nostro personale impegno a guarire la malattia del peccato e le conseguenze della caduta. È uno dei primi passi del nostro ritorno a Dio: dato che riconosciamo la nostra posizione e ci mettiamo davanti alla sua misericordia e sotto la sua guida, noi come i figli di Israele nel deserto possiamo essere guariti dalla morte spirituale.

Andreas Andreopoulos, Il segno della croce

“Non fate più nulla, lasciatevi fare!”

Leggi tutto: “Non fate più nulla, lasciatevi fare!”I padri affermano che c’è una preghiera che è la preghiera di Dio in noi, sulla quale essi non possono dire nulla, perché è insegnata dallo Spirito. Vi è un tipo più ordinario di preghiera del quale si è detto quasi tutto e soprattutto come non coincida con l’atto di pregare: mi riferisco all’attitudine dell’uomo che è abitato dalla preghiera e a essa sacrifica tutto. I mistici la conoscono bene, ma quel tipo di preghiera (ancora umana) non li riguarda più … Il problema che hanno non è sforzarsi di pregare senza sosta o di amare Dio alla follia, ma far fronte alla preghiera di Dio che li invade e li sommerge. Tutto questo è assolutamente al di là dei canoni razionali. Non si tratta più di pregare incessantemente, ma di far fronte a un uragano che affascina, che assomiglia al vento impetuoso della pentecoste e non è più commisurato all’uomo che prega Dio, ma a Dio che prega l’uomo. Colui che percepisce in sé questa preghiera di Dio cerca di farvi fronte come può e comprende la vanità degli sforzi fatti in passato nel suo desiderio di giungere alla preghiera continua. Si lascia portare dall’onda e… succeda quel che deve succedere! Avrà bisogno di tutta la flessibilità dello Spirito che “piega ciò che è rigido” per sopportare uno sconvolgimento del genere e lasciarsi portare da una preghiera che egli non comprende e della quale quasi si rallegra di non comprendere nulla.

In effetti, questo aldilà della preghiera supera i limiti del comprensibile e l’uomo sembra allora perdersi in una nube più tenebrosa di quella che guidava gli ebrei nel deserto … In certi giorni il pesante silenzio di Dio è insopportabile e il cuore è come avvolto in una cappa di disperazione. Dio viene sentito come terribilmente assente, a livello della coscienza, ma vi è come un filo conduttore molto misterioso che fa supporre la sua presenza al di qua o al di là della sofferenza. Sì, vi è un aldilà della preghiera… “anche se fonda è la notte”

Fintanto che si parla di cose umane si può ancora credere che ciò che si dice abbia importanza; ma riguardo a Dio e alla preghiera dello Spirito in noi la cosa interessante è ciò che non si dice, ciò che non si vede, ciò che non si sa. Questa zona dell’impensabile non è più oggetto di riflessione ma di contemplazione, una sorta di punto interrogativo, di lungo grido silenzioso: “Mio Dio, chi sei. Per dire qualcosa che valga la pena di ascoltare bisognerebbe parlare della preghiera come facevano i padri della chiesa, o Giovanni della Croce, o Teresa d’Avila. Ma pur dicendo cose bellissime, essi si affrettavano a dimenticarle, perché il loro sguardo era orientato altrove. Ed è appunto per questo che dicevano cose così belle. Ogni parola sulla preghiera ci conduce fin sulla soglia del mistero, là dove non vi sono più sentieri tracciati e dove solo lo Spirito ci fa scrutare il mistero delle profondità divine.

Jean Lafrance, La preghiera del cuore