Comunicato stampa conclusivo

XXII Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
BEATI I PACIFICI
Bose, 3-6 settembre 2014
in collaborazione con le Chiese Ortodosse

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COMUNICATO STAMPA CONCLUSIVO

“Per la pace dell’intero mondo, per la pace delle sante chiese di Dio e per il bene di tutti, preghiamo il Signore”. Continuamente l’invocazione della pace come dono di Dio ritorna nella Divina Liturgia ortodossa.

Questa parola, divenuta inattuale, quasi scandalosa, nel tempo drammatico di crisi e conflitti che viviamo, è risuonata all’inizio e alla fine del XXII Сonvegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, dedicato al tema Beati i pacifici (Mt 5,9), che si è tenuto presso il monastero di Bose dal 3 al 6 settembre 2014. Per quattro giorni, circa duecento partecipanti da tutto il mondo, e rappresentanti di tutte le Chiese ortodosse, della riforma e della Chiesa cattolica hanno pregato e riflettuto insieme sull’evangelo della pace, che chiede ai cristiani di essere un fermento di riconciliazione e di pace tra le donne e gli uomini contemporanei.

Come ha ricordato nel suo indirizzo di saluto p. Enzo Bianchi, Priore di Bose e presidente del comitato scientifico del convegno, “la pace è un dono del Signore, un dono dall’alto, una promessa messianica”, mentre “l’inimicizia, la violenza, la guerra continuano a essere la grande seduzione per gli uomini”: occorre intraprendere un itinerario per discernere le radici della violenza e offrire le ragioni di un’autentica educazione alla pace, nell’ospitalità del diverso, nell’operosità della riconciliazione, nella fatica del perdono.

Giunto alla sua ventiduesima edizione, il Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa è diventato un punto di riferimento internazionale per il dialogo ecumenico e lo studio della tradizione spirituale dell’oriente cristiano, secondo una visione ampia del dialogo interculturale e interreligioso, che include l’Europea orientale, l’Ucraina, la Russia e il Medio Oriente.

La partecipazione delle Chiese

Particolarmente ricca è stata la presenza dei delegati delle Chiese, documentata dai messaggi inviati al Convegno dai capi delle chiese. In apertura del Convegno Enzo Bianchi, priore di Bose, ha letto il saluto espresso a nome di papa Francesco dal cardinale Pietro Parolin, segretario di stato di Sua Santità. Il metropolita Athenagoras del Belgio ha rappresentato il patriarca Bartholomeos di Costantinopoli, e l’archimandrita Athenagoras Fasiolo il metropolita d’Italia Ghennadios. La delegazione del patriarcato di Mosca è stata guidata dal vescovo Kliment di Krasnoslobodsk, che ha portato il saluto del patriarca Kirill e letto il messaggio del metropolita Ilarion di Volokolamsk. Della delegazione russa facevano parte l’igumeno Arsenij (Sokolov) e padre Aleksej Dikarev del Dipartimento delle relazioni esterne; ai lavori ha partecipato anche l’arcivescovo Zosima di Vladikavkaz e Alanija. La Chiesa ortodossa ucraina è stata rappresentata dai vescovi Filaret di Leopoli e Galizia, che ha recato il saluto del metropolita di Kiev Onufrij, e Ilarij di Makariv, vicario di Kiev; erano inoltre presenti l’archimandrita Filaret (Egorov) e gli ieromonaci Dosifej (Michailiuk) e Leontij (Tupkalo) della Lavra delle Grotte di Kiev; il vescovo Stefan di Gomel e Žlobin, che con padre Nikolaj Bolochovskij ha rappresentato la Chiesa ortodossa bielorussa, ha letto il messaggio del metropolita Pavel di Minsk. Il vescovo Andrej Čilerdžić (Vienna) ha letto il messaggio del patriarca Irinej di Serbia, padre Atanasie Rusnac il saluto del patriarca Daniel di Romania; della Chiesa ortodossa romena ha preso parte ai lavori anche il metropolita Serafim di Germania. Per la Chiesa ortodossa bulgara erano presenti i metropoliti Dometian di Vidin e Antonij (Mihalev) d’Europa occidentale, che ha letto il saluto del patriarca Neofit. La Chiesa di Cipro è stata rappresentata dal vescovo Gregorios di Mesaorias, che ha letto il messaggio di Chrysostomos II, arcivescovo di Cipro e quella di Grecia dal metropolita Ioannis di Thermopylon, con il messaggio di Hieronymos II, Arcivescovo di Atene; la Chiesa ortodossa d’America dai vescovi Alexander di Toledo e Melchisedek di Pittsburgh. Il patriarca di Antiochia Youhanna X è stato rappresentato da padre Porphyrios (Giorgi); padre Adam (Makaryan) ha letto il messaggio di Karechin II, Catholikos di tutti gli Armeni, e il vescovo Jonathan Goodall di Ebbsfleet il messaggio di Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury.

Per la Chiesa Cattolica hanno partecipato ai lavori presenti l’arcivescovo Antonio Mennini, Nunzio Apostolico nel Regno Unito, i vescovi Marco Arnolfo di Vercelli, Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, Pier Giorgio Debernardi di Pinerolo, Alberto Silvani di Volterra, mons. Andrea Palmieri e p. Hyacinthe Destivelle, delegato del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che ha dato lettura del messaggio del suo presidente, il cardinale Kurt Koch. Nel corso del Convegno sono stati letti i messaggi del card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le chiese orientali e di monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale italiana.

Michel Nseir ha letto il messaggio di Olav Fykse Tveit, Segretario generale del consiglio ecumenico delle chiese. Tra gli altri numerosi messaggi pervenuti, quelli del patriarca di Alessandria Theodoros II, del vescovo anba Raphail, segretario del santo Sinodo della Chiesa copta ortodossa, dei metropoliti Antonij di Boryspil’, rettore dell’Accademia Teologica di Kiev, e Chrysostomos di Messinia.

Alla giornata inaugurale del Convegno ha partecipato S.E. Aleksandr Avdeev, ambasciatore della Federazione Russa presso la Santa Sede. Particolarmente significativa la presenza di numerosi monaci e monache d’Oriente e Occidente.

I lavori del Convegno

L’ascolto e lo studio della Scrittura, l’esperienza liturgica, le parole sulla pace nei padri della Chiesa, l’insegnamento dell’esperienza monastica e spirituale dell’Oriente cristiano, la testimonianza dei martiri, sono le tappe che hanno scandito il percorso del Convegno.

Aristotle Papanikolaou (New York) ha tenuto la relazione inaugurale, Per un’antropologia cristiana della pace, mostrando come “la virtù del perdono, sia in grado di offrire risorse per illuminare e trasfigurare l’esperienza umana della violenza”, e innestarsi nell’aspirazione dell’uomo alla theosis – la comunione divino-umana. D’altra parte la purificazione della violenza inizia con un’ermeneutica della Scrittura che sappia discernere in se stessi l’inimicizia e al tempo stesso la misericordia di Dio, per esempio secondo l’itinerario proposto da Michail G. Seleznev (Mosca) nella sua analisi della “violenza, riconciliazione e pace nei Salmi”, e da Christos Karakolis (Atene), che ha parlato della “pace, dono del Cristo risorto”, con riferimento a Gv 20,19-21. Sorgente della pace è, infatti, il mistero pasquale, celebrato nella Divina Liturgia, epiclesi di pace, di cui ha parlato il vescovo Andrej Čilerdžić (Vienna).

Se gli uomini operano la giustizia e fanno misericordia, la pace abita la terra, come non si stancano di ripetere i padri d’Oriente e d’Occidente, il cui messaggio è stato approfondito da diverse angolature: storiche, esegetiche, spirituali. Porphyrios Georgi (Balamand, Libano) ha presentato la comprensione della pace nei commenti dei padri; Daria Morozova (Kiev) la figura storica e di un grande padre artefice di riconciliazione nella Chiesa, san Clemente vescovo di Roma, e la sua ricezione nella tradizione antico-slava. John Behr (New York) ha esaminato l’attività di s. Ireneo di Lione tra le comunità cristiane di Roma nel promuovere la pace tra le chiese facendo appello alla tolleranza e alla diversità. Symeon Paschalidis (Tessalonica) ha studiato la complessa dinamica spirituale del conflitto e della riconciliazione nella tradizione ascetica orientale.

Se i padri della Chiesa privilegiarono l’aspetto spirituale della pace rispetto alla sua dimensione politica e sociale, pensare la pace resta una sfida aperta per la teologia contemporanea. La tradizione della santità in Oriente e in Occidente offre una risposta a questa ricerca come stile di vita capace di narrare un’altra possibilità di abitare il mondo e immaginare un futuro di pace per l’umanità lacerata da antagonismi economici, sociali, religiosi.

È quello che si è proposta la sezione “Testimoni di pace”, introdotta dalla riflessione di Cyril Hovorun (Yale) sul ricorso, nella storia, alla coercizione da parte delle chiese, e sulla necessità di una purificazione evangelica del rapporto tra sfera politica e teologica, centrata sulla libertà della persona.

La testimonianza di autentici operatori di pace antichi e moderni, monaci e laici, ha costituito la parte centrale del convegno. Sono state presentate e discusse le figure di san Francesco di Assisi (Panagiotis Yfantis, Tessalonica), del santo vescovo armeno Nerses di Lambron del xii secolo (Adam Makaryan, Etchmiadzin), di san Silvano dell’Athos (sr. Magdalene, Maldon, Essex), di Nikolaj Nepluev (1851-1908) e la sua fraternità operaia dell’Esaltazione della Croce (Natalija Ignat’ovič, Mosca), del patriarca Atenagora di Costantinopoli (Athenagoras Peckstadt, metropolita del Belgio), del teologo ortodosso bulgaro Stefan Zankov, pioniere del movimento ecumenico (Viktor Mutafov, Sofia), di padre André Scrima, grande testimone del dialogo tra le religioni (Anca Manolescu, Bucarest).

I cristiani nel mondo sono chiamati a un’esistenza di riconciliati, per tradurre la novità della pace cristiana nell’oggi della storia. Gli interrogativi pressanti che ci sono consegnati dal tempo che viviamo sono stati affrontati nella Tavola rotonda coordinata da Jim Forest, segretario internazionale dell’Associazione ortodossa per la pace, cui hanno preso parte Amal Dibo (Beirut), Pantelis Kalaitzidis, (Volos), Aleksandr Ogorodnikov (Mosca) e Konstantin Sigov (Kiev). La pace come pratica dell’amicizia a tutti i livelli, interpersonale, sociale, internazionale, indica una via alternativa alle strutture di paura che generano oppressione e guerra.

La tavola rotonda è stata preceduta da alcuni minuti di preghiera, per ricordare insieme le vittime delle guerre in corso, in particolare i due vescovi di Aleppo, Paul Yazigi, della Chiesa Ortodossa di Antiochia, e Youhanna Ibrahim della chiesa Siro-Ortodossa, che si trovano tuttora nelle mani dei rapitori insieme a numerosi altri ostaggi.

La giornata conclusiva del Convegno, ha grazie alle relazioni di John Chryssavgis (Boston) e del metropolita di Diokleia Kallistos di Diokleia (Oxford), ha offerto indicazioni concrete. La prima ha proposto una lettura dell’intera serie delle beatitudini matteane, sulla falsariga dell’invocazione liturgica “per la pace del mondo intero”, che – com’è stato rilevato – “include ogni angolo della creazione di Dio, fino all’ultimo granello di polvere” consegnandolo alla responsabilità dei cristiani. La seconda, fondandosi soprattutto sull’analisi dei testi liturgici e patristici, ha messo in luce i vari aspetti della pace cristiana, che è “l’irruzione del regno escatologico nell’attuale ordine mondano”, e perciò una realtà “rivoluzionaria” e tutt’altro che una condizione passiva. La pace “che viene dall’alto”, da Dio, ha necessarie e precise implicazioni sociali, da adempiere nella compagnia degli uomini, che chiamano ciascun credente ad aprirsi al servizio e alla carità: “La dossologia deve diventare diakonia”.

Le conclusioni del convegno, a nome del Comitato scientifico del Convegno, sono state affidate a p. Michel Van Parys, che ha tra l’altro ricordato “lo stretto legame tra l’unità della chiesa e la pace nel mondo”. Al termine, il priore di Bose Enzo Bianchi, a nome della Comunità, ha espresso un ringraziamento al Signore per questi giorni di grazia e di pace, che ancora una volta, nel mistero dell’incontro reciproco, hanno permesso di rinnovare la fiducia gli uni negli altri. Educare alla pace, infatti, “è per ciascuno di noi una verifica della propria qualità comunitaria”, e un seme di trasformazione della società.

La XXIII edizione del Convegno si terrà il prossimo anno, dal 9 al 12 settembre 2015.

Conclusioni del Convegno

XXII Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
BEATI I PACIFICI
Bose, 3-6 settembre 2014
in collaborazione con le Chiese Ortodosse

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CONCLUSIONI DEL CONVEGNO

Pronunciate da Michel Van Parys a nome del Comitato Scientifico

Quando la comunità monastica di Bose, un anno fa, al vedere le atrocità commesse durante la guerra civile in Siria, ha scelto come tema del XXII Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa il versetto di Mt 5,9: “Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio”, non poteva certo ancora prevedere la drammatica urgenza delle settimane scorse e dei giorni scorsi nel Vicino e Medio Oriente e in Ucraina.

Proviamo un disagio estremo, cent’anni dopo il genocidio armeno seguito da tanti altri nel corso del XX secolo, a parlare di pace, a constatare l’impotenza che ci afferra di fronte alle sofferenze di tanti bambini, genitori, nonni

Come parlare? Ma come possiamo non parlare, non riflettere e non pregare? È ciò che abbiamo fatto insieme mettendoci sotto lo sguardo di Cristo Gesù, nostra pace.
Proverò, come conclusione, a rilevare qualche linea di forza dei nostri scambi, e di suggerire qualche punto che meriterebbe ulteriori approfondimenti.
Diverse relazioni hanno abbozzato una riflessione teologica e antropologica sulla violenza subita e inflitta nella Sacra Scrittura, e più precisamente nei Salmi e nel Vangelo secondo Giovanni (cf. E. Bianchi, La violenza e Dio, Milano 2013)

Non ignoriamo che il cristianesimo, a partire dall’illuminismo, così come il giudaismo e l’islam, sono accusati d’intolleranza. Non possiamo eludere tale questione. Si è citata l’interpretazione allegorica praticata dai padri della Chiesa; essa, se non altro, mostra che la chiesa primitiva era pienamente consapevole del problema, e ha sviluppato un’esegesi che trasponeva la violenza fisica al livello del combattimento spirituale del cristiano contro il principe di questo mondo, il diavolo, padre della menzogna e omicida (cf. Gv 8,44).

Ma forse oggi potremmo proporre al popolo di Dio anche un’altra tradizione patristica complementare, quella tipologica, che, ad esempio, inserisce i salmi nella storia della salvezza, leggendoli alla luce di un tipologia messianica. Non potremmo cercare insieme, noi chiese ancora divise, un’interpretazione “cristica” dei salmi, della violenza che attraversa la Bibbia, dal martirio di Abele ad opera di suo fratello Caino alla guerra totale, escatologica, di cui ci parla il libro dell’Apocalisse (cf. Ap 12; 19,11-21; 20)

Giovanni il Teologo attesta che Gesù, il Cristo, ha vinto il male e la morte con l’agape, l’amore, (eis télos egápesen hautoús), “li amò fino alla fine”, o “fino all’estremo” (Gv 13,1).
Ad esempio: il salmo 4, al versetto 5, si può tradurre dall’ebraico: “Lottate per non peccare, ma custodite il silenzio”. La LXX traduce: “Adiratevi, ma non peccate” (Irascimini et nolite peccare, nella versione latina). L’ira è un impulso necessario per l’aggressività, ma il Signore Gesù ci dà, a più riprese, l’esempio di un’indignazione, di un’ira, che non ha altro fine se non quello di neutralizzare l’ipocrisia o l’indurimento del cuore, personale o comunitario.

Lo possiamo dire en passant: le antiche traduzioni greche e latine della Bibbia hanno già dato avvio a una rilettura del testo ebraico, un’interpretazione infinita che è compito di ogni generazione cristiana, interpretazione che sappia trarre profitto da tutto ciò che le scienze umane possono apportare alla comprensione della Parola di Dio.

I racconti biblici e i salmi riflettono la pedagogia dello Spirito santo, parlano della pazienza di Dio che ci conduce per mano da là dove noi siamo per farci entrare passo a passo nella salvezza che egli ci offre gratuitamente nel e attraverso il Verbo incarnato. Ci parlano anche, se non ancora di più, del nostro indurimento (cf. Sal 94 [95],9), della nostra resistenza a questa offerta della salvezza personale e comunitaria. Le parole “violente” ci ridicono incessantemente il cammino che dobbiamo percorrere: dal rifiuto del fratello al perdono del nemico. Dare un nome alle nostre passioni, ai nostri sentimenti di odio, ai nostri desideri è già una terapia. Dare un nome significa esorcizzarli, discernerli, guarirli. È bene dare un nome agli abissi del cuore umano peccatore. La Bibbia ci aiuta a prenderne coscienza.

I padri della chiesa hanno esplorato la ricchezza della pace, dono di Dio, in Cristo e attraverso il Cristo risorto. Cristo Gesù ci lascia la pace, ci dona la pace, la da non come la da il mondo (cf. Gv 14,27).

La pace ha la sua fonte in Dio, Padre, Figlio e Spirito santo. Per noi essa ha il volto del Figlio incarnato, servo sofferente, mite e umile di cuore, che ritornerà come giudice dei vivi e dei morti. La pace che ci è donata con Dio, riconciliazione tra gli angeli e gli uomini, deve regnare nella chiesa di Dio, tra le chiese e nel cuore dei credenti.

I padri si sono concentrati soprattutto sulla pace interiore, quella del cuore. Quale è la sinergia del battezzato con la grazia? Come si realizza il lungo lavoro della conversione, della metánoia? Con grande realismo hanno riconosciuto che le virtù dell’anima, sempre con l’aiuto dello Spirito santo, indirizzano lungo la via dell’amore, preparano la deificazione. Hanno fatto ricorso, con discernimento, agli strumenti che le tradizioni filosofiche non-bibliche mettevano a loro disposizione per insegnare il cammino dell’amore, che irradia la pace, e per fornire “le armi” contro tutto ciò che ostacola la crescita dell’agape: l’orgoglio, l’invidia, la gelosia, l’angoscia, la collera, l’avarizia, i cattivi desideri… (cf. Mt 15,19; Mc 7,20-23).

La pace, dono del Cristo e frutto dello Spirito santo (cf. Gal 5,22), deve manifestarsi nell’unità e attraverso l’unità della chiesa e delle chiese. Abbiamo ascoltato quanto hanno scritto Clemente di Roma e Ireneo di Lione. Consideriamo come rivolto a noi oggi il problema posto dalla concisa affermazione del vescovo di Lione a papa Vittore di Roma: “Il disaccordo (diaphonía) sul digiuno conferma l’accordo (homónoia) della fede” (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica V,24,12-13).

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Al pari della santa Scrittura, la dottrina dei padri della chiesa deve essere accolta da ogni nuova generazione di credenti. Potremmo forse ampliare l’affermazione di Ireneo di Lione riproponendola in questi termini: “Il disaccordo sulle osservanze e la diversità delle formulazioni teologiche confermano la nostra unanimità nella fede?”. Sappiamo che nel sinodo del 362, ad Alessandria, Atanasio stesso ne ha dato conferma: la diversità delle formulazioni teologiche è legittima se la confessione di fede è unanimemente concorde.

Diverse volte si è citato, quasi incidentalmente, Basilio il Grande. I dissensi nella chiesa di Cristo sono stati per lui oggetto di grande sofferenza. Più di altri padri ha lavorato per la pace e l’unità della chiesa, vi ha riflettuto instancabilmente. Ritrovare la pace e l’unità della chiesa per la quale il Signore Cristo ha versato il suo sangue sulla croce, non lo si può fare che a una sola e unica condizione: l’obbedienza integrale delle chiese e dei credenti alla parola di Dio. Quando Basilio parla del raffreddamento dell’amore (cf. Mt 24,12), parla della disobbedienza alla parola di Dio. Ascoltiamo un passo tratto da una lettera alla chiesa di Tarso:

C’è bisogno di dire a dei figli della pace che cos’è il bene della pace? Poiché, dunque, questa cosa grande, mirabile e degna di essere ardentemente cercata da tutti quelli che amano il Signore, corre ormai il rischio di essere ridotta a un puro nome, poiché l’iniquità si è moltiplicata a motivo del raffreddamento dell’amore presso i più (cf. Mt 24,12), ritengo sia bene che quelli che servono il Signore in tutta sincerità e verità abbiano come unico scopo delle loro fatiche quello di ricondurre all’unità le chiese divise tra loro in tante frazioni e in tanti modi… Niente è proprio del cristiano quanto lavorare per la pace; perciò il Signore ci ha promesso per questo una grandissima ricompensa (cf. Mt 5,9) (Basilio il Grande, Lettere 114).

Qual è il legame tra l’unità della chiesa e la pace nel nostro mondo? Ci è parso che questo legame esista e che sia molto stretto. “Il vincolo della pace” (syndesmós tês eirénes) può e deve placare i conflitti e le guerre di cui l’umanità è vittima… Le chiese hanno un’enorme responsabilità nella promozione della pace in questo mondo.

La Divina liturgia racchiude un’immensa ricchezza a questo proposito. Essa ridice instancabilmente il dono della pace che le dona il Cristo risorto. Subito dopo la benedizione del regno di Dio, Padre, Figlio e Spirito santo, l’assemblea eucaristica è invitata a “pregare il Signore nella pace” (en eiréne toû Kyríou deethômen), a invocare la pace con il fratello, anche con quello che ha qualcosa contro di noi, pace tra le chiese di Dio, pace per il mondo intero. Vi è qui una possibilità di catechesi a partire dalla pace annunciata nella Divina liturgia che dovrebbe ispirare la predicazione dei pastori.

Non sarebbe anche il caso di togliere, o di non utilizzare più, gli anatemi presenti nei libri liturgici contro le altre chiese? Pensiamo agli anatemi contro papa Leone o contro Severo di Antiochia. Forse avevano una certa utilità pastorale in una determinata epoca, ma oggi non finiscono per rinchiuderci in un’identità ecclesiale esclusiva?

Le nostre chiese hanno tutte accettato, quando ne avevano la possibilità, la “coercizione”, il ricorso alla violenza, con o senza l’appoggio del “braccio secolare” per reprimere l’eresia, a motivo della sua diversa formulazione dogmatica. La politica ha abusivamente utilizzato la chiesa, le chiese, così come le chiese hanno abusato della loro influenza sulla società. Quale sinfonia tra trono e altare, nel rispetto di ciò che spetta a Dio e di ciò che spetta a Cesare?

Permettetemi di raccontare a questo proposito un’esperienza personale. Ormai molti anni fa, avevo studiato gli atti e la storia dei concili di Efeso (431) e di Calcedonia (451). Avevo appreso che il patriarca Flaviano di Costantinopoli era morto in seguito ai maltrattamenti inflittigli dai monaci copti nel sinodo di Efeso del 449 (il famoso latrocinio della storiografia calcedonese). Quando visitai per la prima volta il monastero di San Macario a Scete, fui invitato a venerare le reliquie del vescovo Macario, morto in seguito ai colpi e alle ferite inflitte dai monaci calcedonesi. Per me fu uno choc salutare! Non posso far altro che sperare che i due racconti siano frutto di leggende, ma questi due racconti la dicono lunga sulla costruzione e sul mantenimento nel corso del tempo nella memoria della chiesa dei torti subiti da parte dell’altra chiesa, dimenticando il torto inflitto dalla propria chiesa.

Il problema che ci viene posto, e che resta attuale, è quello della responsabilità delle nostre chiese e, in particolare, dei loro pastori e teologi, di de-costruire, attraverso una catechesi irenica, le immagini fittizie o reali dell’altra chiesa. Come de-costruire queste immagini falsate? Certamente attraverso l’ascolto del racconto delle sofferenze comunitarie e personali dell’altro; poi, attraverso l’umile e paziente lavoro dell’investigazione storica; infine, con la metánoia, la conversione, assumendo il passato della “coercizione” morale o fisica attuata dalla mia chiesa o dalla mia nazione. Riconoscere questo passato come proprio, purifica la nostra memoria e ci conduce a chiedere perdono. Non si tratterebbe di una delle forme dell’amore per i nemici che tanto aveva a cuore Silvano del Monte Athos?

Un primo passo in questa direzione sarebbe quello di rinunciare a riattivare la memoria delle ferite del passato. Non si tratta di negarle, perché le ferite cicatrizzate del corpo risorto di Gesù restano. Ci è sembrato che le chiese siano chiamate a discernere “gli spiriti che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6,12), a non lasciarsi sedurre dalla propaganda ideologica e manipolatrice dell’opinione pubblica, a trascendere le passioni nazionalistiche o identitarie.

Le nostre chiese sono chiamate a diventare dei laboratori della pace di Dio (ergastéria tês eirénes toû Theoû), a cercare con impazienza di purificarsi per ricevere dal loro Signore il dono dell’unità. È questa la condizione assolutamente necessaria per la credibilità della loro testimonianza dell’amore di Dio e della pace che egli dona loro, “perché siano una cosa sola, come noi” (Gv 17,11).

Abbiamo parlato anche dei testimoni della pace.

I santi, canonizzati o meno, confortano la nostra speranza: anche noi possiamo diventare “artefici di pace” (Mt 5,9). Sono state evocate davanti ai nostri occhi sette figure di “pacificatori”: Francesco di Assisi, Nerses di Lambron, Silvano del Monte Athos, padre Stefan Zankov, padre André Scrima. A questi occorre aggiungere Nikolaj Nepluev, la cui fraternità ha fatto “abbracciare la giustizia [sociale] e la pace” (cf. Sal 84 [85],11), e, infine, il patriarca Athenagoras, al quale dobbiamo tutti un’immensa gratitudine. È stato artefice di pace con Paolo VI abolendo gli anatemi tra la chiesa di Roma e la chiesa di Costantinopoli. Il 7 dicembre del 2015 celebreremo il cinquantesimo di questo evento. Ho un sogno… Perché il prossimo anno non canonizzare nello stesso giorno Paolo VI a Roma e il patriarca Athenagoras al Phanar? Sarebbe un segno che la loro santa amicizia continua a portare il frutto dello Spirito, la pace, nelle nostre chiese. La speranza non delude!

Termino con una storia dei padri del deserto, che ci parla di umili artigiani di pace, che a loro rischio e pericolo continuano ad agire e a sperare. Questa storia ci fa pensare. La riporto come conclusione:
Vi era un anacoreta, un uomo di grande discernimento, che desiderava abitare alle Celle e non trovava una cella pronta. Un altro anziano, che aveva una cella vuota, venuto a conoscenza del desiderio dell’anacoreta, lo supplicò di venire a stabilirsi in quella cella, finché non ne avesse trovata un’altra. L’anacoreta allora vi andò e vi si stabilì. Alcuni anziani del luogo cominciarono a fargli visita, come a un ospite, e ciascuno gli portava quel che poteva. Egli li accoglieva e li ospitava. Ma l’anziano che gli aveva dato la cella, cominciò a provare invidia e a dir male di lui. Diceva: “Io sono rimasto qui per tanti anni, praticando una severa ascesi, e nessuno veniva da me; questo impostore invece è qui da pochi giorni ed ecco che tutti vengono da lui!”. E disse al suo discepolo: “Va’ a dirgli: ‘Va’ via di qui, perché ho bisogno della cella’”. Ma il discepolo andò dall’anziano e gli disse: “Il mio abba chiede come stai”. Quello rispose: “Digli che preghi per me, perché ho mal di stomaco”. Ritornato da chi l’aveva inviato, il fratello disse: “L’anziano ha detto: ‘Ho visto un’altra cella e me ne vado’”. Due giorni dopo, l’anziano disse di nuovo al discepolo: “Va’ e digli che, se non se ne parte, vengo io a scacciarlo con un bastone”. Il fratello ritornò dall’anacoreta e gli disse: “Il mio abba ha saputo che sei malato; ne è molto dispiaciuto e mi ha mandato a farti visita”. Quello gli rispose: “Digli che, grazie alle sue preghiere, sto bene”. Il discepolo ritornò dal suo anziano e gli disse: “Ha detto: ‘Aspetta fino a domani e, se Dio vuole, me ne andrò’”. Giunse la domenica e l’anacoreta non uscì dalla cella. L’anziano allora prese un bastone e partì con l’intenzione di percuoterlo e cacciarlo via. Mentre stava per partire, il discepolo gli disse: “Ti precedo nel caso che si trovino là dei fratelli e ne restino scandalizzati”. L’anziano glielo permise. Il fratello allora corse avanti e disse all’anacoreta: “Il mio abba viene a trovarti e ad accoglierti nella sua cella”. Quello, vedendo l’amore dell’anziano, uscì incontro a lui e gli fece una metanìa da lontano dicendo: “Vengo verso la tua santità, padre. Non ti affaticare”. Dio allora, vedendo l’opera del giovane, mosse a compunzione l’abba che, gettato via il bastone, corse ad abbracciare l’anacoreta. Lo abbracciò e lo condusse nella sua cella, come se quello non avesse udito nulla di quanto egli gli aveva mandato a dire; quindi disse al suo discepolo: “Non gli hai riferito niente di quello che ti avevo detto?”. Quello rispose: “No”. E l’anziano, a queste parole, fu pieno di gioia e capì che l’invidia proveniva dal Nemico e così lasciò in pace l’anziano. Poi cadde ai piedi del suo discepolo e gli disse: “Tu sei mio padre e io tuo discepolo, perché grazie a quello che hai fatto, le nostre due anime sono salve”. (Detti dei padri, N 451, in Detti editi e inediti, a cura di L. Cremaschi e S. Chialà, Qiqajon, Bose 2002, pp. 190-192).

Sintesi dei lavori di mercoledì 3 settembre 2014

XXII Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
BEATI I PACIFICI
Bose, 3-6 settembre 2014
in collaborazione con le Chiese Ortodosse

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SINTESI DEI LAVORI DI MERCOLEDÌ 3 SETTEMBRE 2014

La prima giornata del convegno si è aperta e si è svolta in un clima di pace e di fraternità tra i partecipanti. Il priore di Bose e presidente del comitato scientifico del convegno, fr. Enzo Bianchi, ha salutato l’inizio dei lavori sottolineando la (purtroppo) scottante attualità del tema, a causa delle numerose guerre che in questo momento sono in corso in vari luoghi del pianeta, e ha ricordato a tale proposito le recenti parole del Santo Padre Francesco, secondo il quale siamo oggi di fronte alla “terza guerra mondiale, anche se combattuta a capitoli” e non tutta insieme. Prima dell’inizio dei lavori, è stata data lettura dei principali messaggi dei capi delle chiese rappresentate in sala, che hanno voluto rivolgere il loro saluto ai partecipanti ed esprimere la loro piena consonanza sul bisogno di una riflessione seria riguardo al tema della pace: il Metropolita Athenagoras del Belgio ha letto il messaggio di S. S. il Patriarca Ecumenico Bartholomeos; il vescovo Kliment, a capo della delegazione del Patriarcato di Mosca, ha letto il messaggio del Metropolita Ilarion di Volokolamsk a nome di S. S. il patriarca di Mosca Kirill; infine lo stesso priore Enzo ha dato lettura del telegramma del Card. Pietro Parolin, segretario di Stato di Sua Santità, che ha trasmesso la benedizione del Santo Padre Francesco. Di seguito, la relazione iniziale di Aristotle Papanikolaou, dell’università di Fordham, è servita a impostare il tema nelle sue linee generali: attraverso una sapiente lettura, che cercava di combinare le fonti tradizionali della teologia ortodossa (Bibbia e Padri) con i dati delle scienze umane, il relatore, ha proposto un’antropologia cristiana della pace, indicando l’amore (declinato come perdono) come la via cristiana della pace, che pur non cancellando o superando la violenza, permette tuttavia di convivere con essa, di viverla dall’interno in un’altra dimensione (il Cristo risorto, ha ricordato, conserva le ferite ricevute sulla croce, nonostante esse siano ormai assunte nella sua condizione di risorto). In modo simile il secondo relatore, il biblista russo Michail Seleznev, nel cercare di giustificare la scandalosa presenza della violenza nel Salterio, il libro per eccellenza della preghiera ebraico-cristiana, ha proposto di vedere in questi testi un mezzo per confessare e manifestare onestamente di fronte a Dio (senza nasconderla) la violenza che abita l’uomo, come necessaria premessa della sua trasfigurazione in una prospettiva più propriamente cristiana.

Aristotle Papanikolaou, Per un'antropologia cristiana della pace (TESTO INTEGRALE)

 

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Le conferenze del pomeriggio hanno completato la presentazione generale del tema, affrontandolo dal punto di vista della teologia neotestamentaria, in particolare del vangelo di Giovanni (Christos Karakolis), della teologia liturgica (Metropolita Andrej di Austria, Svizzera e Malta) e della teologia patristica (Porphyrios Giorgi). Il pomeriggio si è concluso con una vivace discussione, con numerosi interventi da parte del pubblico presente in sala, in cui sono state poste alcune delle questioni più spinose con cui si confrontano oggi le chiese cristiane, in particolare ortodosse (“la pace evangelica è pura utopia?”, “in che misura si può ammettere una violenza legittima?”, “la chiesa può benedire le armi?”, “cosa fare di fronte all’oppressore dell’innocente?”). In linea generale, comunque, la condanna della violenza e la sua impossibile conciliazione con la prospettiva cristiana ed evangelica è stata unanime da parte dei relatori. Le chiese, è stato affermato, se sono fedeli alla loro missione, possono solo essere ponti di unione e di pace, mai elemento che favorisce la guerra e la divisione.

Sintesi dei lavori di giovedì 4 settembre 2014

XXII Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
BEATI I PACIFICI
Bose, 3-6 settembre 2014
in collaborazione con le Chiese Ortodosse

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La seconda giornata del convegno è stata dedicata ad approfondire il tema della pace nella tradizione spirituale delle chiese cristiane, già impostato nelle sue linee generali durante il primo giorno. Le tre conferenze del mattino, in particolare, sono state dedicate a tre case studies, che in contesti diversi mostrano declinazioni e aspetti particolari della pace evangelica: san Clemente di Roma, l’autore della celebre Prima lettera ai Corinti (ma anche il Clemente “costruito” dalla tradizione agiografica posteriore soprattutto slava) è il santo vescovo che ristabilisce la pace all’interno del corpo ecclesiale minacciato dalla divisione (Daria Morozova); sant’Ireneo di Lione, il grande padre della chiesa e teologo del II secolo, è il portatore di pace nei conflitti tra le comunità, che promuove uno stile di riconciliazione inter-ecclesiale capace di considerare le differenze nella pratica come una testimonianza dell’unità nella fede (John Behr); i padri della tradizione ascetico-monastica del deserto, infine, nella loro vita come nei loro scritti, pur non ignorando gli altri aspetti, danno una preminenza all’aspetto interiore della pace, la “pace di Dio in noi” che vince le passioni che abitano l’uomo (Symeon Paschalidis).

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La prima conferenza del pomeriggio (Cyril Hovorun) ha affrontato il tema cruciale (con ricadute ancora molto attuali) dell’uso della violenza e della coercizione nel quadro delle relazioni tra chiesa e stato, mostrando come la chiesa nella tarda antichità, a partire dalla “pace costantiniana”, abbia troppo facilmente rinnegato le proprie radici evangeliche per lasciarsi influenzare dai metodi coercitivi propri dell’istituzione imperiale romana: solo la modernità e l’avvento del pluralismo l’hanno aiutata a superare progressivamente questa grave e indebita alterazione del messaggio evangelico per riscoprire la propria autentica natura non-violenta. Le ultime tre conferenze del pomeriggio sono state dedicate a tre grandi figure di “testimoni della pace” che, per appartenendo a tre diverse tradizioni ecclesiali ufficialmente non in comunione tra di loro (quella cattolica-latina, quella armena, e quella bizantino-slava), hanno manifestato la loro intima sintonia, vivendo e testimoniando in modo simile l’autentica pace evangelica: san Francesco di Assisi (Panaghiotis A. Yfantis), san Narses di Lambron (Adam Makaryan) e san Silvano dell’Athos (Sr. Magdalen di Maldon). Quest’ultimo, in particolare, è uno dei grandi santi del XX secolo, che nei suoi scritti ha mostrato lo stretto e intimo legame tra la pace intesa in senso evangelico e l’amore dei nemici, il punto più alto della scala dell’amore, perché – affermava – “chi non ama i suoi nemici non troverà mai pace, neppure se fosse posto in paradiso”; ma noi possiamo amare i nemici solo in virtù di una grazia dello Spirito santo.

LEGGI: Panaghiotis A. Yfantis, Francesco di Assisi, un testimone della pace (testo completo)

LEGGI: Sr. Magdalen di Maldon, La pace interiore e l’amore per il nemico: san Silvano dell’Athos (testo completo)

I lavori del convegno, come il giorno precedente, sono stati scanditi dalla preghiera liturgica della Comunità, che oggi ha celebrato la memoria di san Mosè profeta, che la tradizione biblica e patristica ricordano come “l’amico di Dio” e “il più mite tra tutti gli uomini”.

Dopo il pranzo un gruppo di ortodossi partecipanti al convegno, su invito del vescovo + Filaret di Leopoli e Galizia, si è radunato nella chiesa della comunità per celebrare una supplica (litia) in memoria del centenario della deportazione, da parte delle autorità austro-ungariche, degli ucraini rumeni nel campo di concentramento di Talerhof (Austria).

Nel pomeriggio, l'Archimandrita Athenagoras Fasiolo, della Metropoli ortodossa d'Italia, nel rivolgere ai partecipanti il saluto e il ringraziamento del Metropolita Ghennadios d'Italia, ha reso nota l'iniziativa intrapresa dalla comunità monastica di Montaner (Treviso) per la ricostruzione della chiesa del suo monastero recentemente distrutta a causa di un incendio

Sintesi dei lavori di venerdì 5 settembre 2014

XXII Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
BEATI I PACIFICI
Bose, 3-6 settembre 2014
in collaborazione con le Chiese Ortodosse

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SINTESI DEI LAVORI DI VENERDÌ 5 SETTEMBRE 2014

Nella terza mattinata del convegno è proseguita la presentazione dei “testimoni della pace”, focalizzandosi su quattro grandi figure della recente storia della chiesa, che hanno aperto cammini di pace e di riconciliazione contribuendo ad abbattere i muri della divisione e del sospetto: 1) Nikolaj Nepluev (Natalija Ignatovich), fondatore in Russia della “Fraternità ortodossa di lavoro dell’Esaltazione della croce”, che cercava di promuovere l’ideale della pace tra gli uomini attraverso una vita evangelica basata sulla fede, sull’amore e sul lavoro; 2) il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Athenagoras (Athenagoras del Belgio), uomo evangelico di pace e promotore del “dialogo della carità” tra le chiese, che riteneva che “senza ritorno alla religione dell’amore e del perdono, la pace non potrà regnare”; 3) il teologo bulgaro Stefan Zankov (Viktor Mutafov), uno dei pionieri del movimento ecumenico, che lavorò ugualmente per aprire la strada al dialogo tra i cristiani delle diverse confessioni; 4) André Scrima (Anca Manolescu), teologo rumeno, archimandrita del Patriarcato ecumenico, promotore di un dialogo profondo tra le religioni, che faccia spazio a quel “silenzio” trascendente di Dio che precede ogni parola umana, e a quella “pace” presente al cuore delle stesse religioni che assicura la possibilità stessa del dialogo, e ciò allo scopo di giungere ad approfondire insieme il mistero di Dio, tendendo parallelamente verso la sua infinità di vita e di senso. Nelle discussioni in sala si è accennato ai frutti viventi e concreti che l’opera di questi autentici “pacificatori” hanno lasciato in eredità alle rispettive chiese, plasmando un’ortodossia serenamente aperta all’incontro e al dialogo con gli “altri”. La via aperta da questi pionieri – si è sottolineato – è senza ritorno e, nonostante le resistenze da parte di gruppi minoritari (ma spesso molto capaci di far sentire la propria voce, facendola passare per “la voce dell’ortodossia”), è largamente accolta dall’insieme del popolo di Dio presente nelle varie chiese ortodosse.

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Al pomeriggio si è svolta una tavola rotonda sul tema del convegno, presiedeuta da Jim Forest e con la partecipazione di Amal Dibo (Beirut, Libano), Pantelis Kalaitzidis (Volos, Grecia), Aleksander Ogorodnikov (Mosca, Russia), Konstantin Sigov (Kiev, Ucraina). Alla discussione ha preso parte attiva anche il pubblico presente. Molte le questioni affrontate, alcune delle quali, come era prevedibile, direttamente legate alla recente attualità delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente. Da parte di molti è stata affermata la necessità che le chiese ortodosse si liberino dal nazionalismo e dai legami con gli stati nazionali in cui si trovano a vivere: la fede cristiana – è stato affermato – non ammette la sacralizzazione di nessuna terra, poiché “tutta la terra appartiene a Dio”, e ovunque i cristiani si trovino a vivere, devono avere sempre la coscienza di essere anche e soprattutto cittadini di un’altra terra, quella celeste ed escatologica, e che nessuna terra quaggiù può appartenere loro in modo stabile. Si è affermata quindi l’urgente necessità per la Chiesa – per ogni chiesa – nel contesto degli attuali conflitti, di non difendere soltanto i “suoi”, ma tutte le vittime senza distinzioni, di tutte le guerre e di ogni violenza: gli stessi cristiani, del resto, per lo più subiscono violenza negli attuali conflitti (ad esempio in Medio Oriente) non in quanto cristiani, ma in quanto vittime indifese della folle violenza di regimi che utilizzano la religione solo come pretesto per i loro scopi. Il silenzio delle chiese di fronte al dramma delle popolazioni dei paesi del Medio Oriente è quindi intollerabile. In sala è stata posta la domanda: “la chiesa può benedire le armi?”. Per quanto retorica possa apparire dal punto di vista del Vangelo (che non ammette dubbi su questo tema), la domanda porta la chiesa a un serio esame di coscienza sul proprio agire: di fatto le armi sono state e ancora vengono benedette, sia letteralmente che in senso metaforico. Ma oggi più che mai – hanno detto alcuni – esiste per le chiese un’alternativa a tale comportamento: usare la parola di cui dispongono per denunciare apertamente e con coraggio la violenza e le guerre e ciò che ad esse conduce.

La tavola rotonda è stata preceduta da alcuni minuti di preghiera, per ricordare insieme le vittime delle guerre in corso, in particolare i due vescovi di Aleppo, Paul Yazigi, della Chiesa Ortodossa di Antiochia, e Youhanna Ibrahim della chiesa Siro-Ortodossa, che si trovano tuttora nelle mani dei rapitori insieme a numerosi altri ostaggi.

Sintesi dei lavori di sabato 6 settembre 2014

XXII Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
BEATI I PACIFICI
Bose, 3-6 settembre 2014
in collaborazione con le Chiese Ortodosse

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La quarta e ultima giornata del convegno, iniziata con la divina liturgia ortodossa celebrata nella chiesa del monastero dall'archimandrita Athenagoras Fasiolo, ha previsto due relazioni conclusive di John Chrissavgis e di Kallistos di Diokleias. La prima ha proposto una lettura dell’intera serie delle beatitudini matteane, sulla falsariga dell’invocazione liturgica “per la pace del mondo intero”, che – come è stato sottolieato – “include ogni angolo della creazione di Dio, fino all’ultimo granello di polvere” consegnandolo alla responsabilità dei cristiani. La seconda, fondandosi soprattutto sull’analisi dei testi liturgici e patristici, ha messo in rilievo i vari aspetti della pace cristiana, sottolineando come in definitiva essa significhi “l’irruzione del regno escatologico nell’attuale ordine mondano” e come essa sia “rivoluzionaria” e tutt’altro che una condizione passiva. Ogni cristiano che partecipa alla liturgia eucaristica riceve il preciso mandato di “procedere in pace”, ovvero di trasmettere al mondo circostante quella pace eucaristica e quella speranza di cui lui stesso è stato colmato: “Cristo ha dato se stesso per te; ora tu sei chiamato a dare te stesso per gli altri!”. La pace “che viene dall’alto”, da Dio, ha necessarie e precise implicazioni sociali, da adempiere quaggiù sulla terra, che chiamano ciascun credente a non rimanere chiuso in sé, ma ad aprirsi al servizio e alla carità: “la dossologia deve diventare diakonia”.

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Il convegno si è poi terminato con le Conclusioni presentate da p. Michel Van Parys a nome del Comitato scientifico del Convegno, che ha fatto sintesi degli stimoli e dei contributi emersi dalle varie relazioni, sottolineando tra l’altro “lo stretto legame tra l’unità della chiesa e la pace nel mondo”, e che tutte le chiese devono “decostruire le false immagini che hanno le une delle altre”, riconoscendo nel pentimento e nella conversione (metanoia) ciascuna le proprie colpe, e che infine le chiese tutte insieme “portano una grave responsabilità nella promozione della pace in questo mondo”. Ha concluso consegnando all’uditorio, a mo’ di congedo e come stimolo di riflessione, un apoftegma dei padri del deserto che ci parla di uno dei quegli “artefici di pace” che a proprio rischio e pericolo ha continuato a sperare e ad agire:

Vi era un anacoreta, un uomo di grande discernimento, che desiderava abitare alle Celle e non trovava una cella pronta. Un altro anziano, che aveva una cella vuota, venuto a conoscenza del desiderio dell’anacoreta, lo supplicò di venire a stabilirsi in quella cella, finché non ne avesse trovata un’altra. L’anacoreta allora vi andò e vi si stabilì. Alcuni anziani del luogo cominciarono a fargli visita, come a un ospite, e ciascuno gli portava quel che poteva. Egli li accoglieva e li ospitava. Ma l’anziano che gli aveva dato la cella, cominciò a provare invidia e a dir male di lui. Diceva: “Io sono rimasto qui per tanti anni, praticando una severa ascesi, e nessuno veniva da me; questo impostore invece è qui da pochi giorni ed ecco che tutti vengono da lui!”. E disse al suo discepolo: “Va’ a dirgli: ‘Va’ via di qui, perché ho bisogno della cella’”. Ma il discepolo andò dall’anziano e gli disse: “Il mio abba chiede come stai”. Quello rispose: “Digli che preghi per me, perché ho mal di stomaco”. Ritornato da chi l’aveva inviato, il fratello disse: “L’anziano ha detto: ‘Ho visto un’altra cella e me ne vado’”. Due giorni dopo, l’anziano disse di nuovo al discepolo: “Va’ e digli che, se non se ne parte, vengo io a scacciarlo con un bastone”. Il fratello ritornò dall’anacoreta e gli disse: “Il mio abba ha saputo che sei malato; ne è molto dispiaciuto e mi ha mandato a farti visita”. Quello gli rispose: “Digli che, grazie alle sue preghiere, sto bene”. Il discepolo ritornò dal suo anziano e gli disse: “Ha detto: ‘Aspetta fino a domani e, se Dio vuole, me ne andrò’”. Giunse la domenica e l’anacoreta non uscì dalla cella. L’anziano allora prese un bastone e partì con l’intenzione di percuoterlo e cacciarlo via. Mentre stava per partire, il discepolo gli disse: “Ti precedo nel caso che si trovino là dei fratelli e ne restino scandalizzati”. L’anziano glielo permise. Il fratello allora corse avanti e disse all’anacoreta: “Il mio abba viene a trovarti e ad accoglierti nella sua cella”. Quello, vedendo l’amore dell’anziano, uscì incontro a lui e gli fece una metanìa da lontano dicendo: “Vengo verso la tua santità, padre. Non ti affaticare”. Dio allora, vedendo l’opera del giovane, mosse a compunzione l’abba che, gettato via il bastone, corse ad abbracciare l’anacoreta. Lo abbracciò e lo condusse nella sua cella, come se quello non avesse udito nulla di quanto egli gli aveva mandato a dire; quindi disse al suo discepolo: “Non gli hai riferito niente di quello che ti avevo detto?”. Quello rispose: “No”. E l’anziano, a queste parole, fu pieno di gioia e capì che l’invidia proveniva dal Nemico e così lasciò in pace l’anziano. Poi cadde ai piedi del suo discepolo e gli disse: “Tu sei mio padre e io tuo discepolo, perché grazie a quello che hai fatto, le nostre due anime sono salve”. (Detti dei padri, N 451, in Detti editi e inediti, a cura di L. Cremaschi e S. Chialà, Qiqajon, Bose 2002, pp. 190-192).

Il priore, a nome della Comunità, ha espresso un ringraziamento al Signore per questi giorni di grazia e di pace, che hanno permesso ancora una volta, nel mistero dell’incontro reciproco, di rinnovare la fiducia gli uni negli altri (v. testo integrale), e ha dato appuntamento a tutti per il prossimo anno.

Ringraziamenti finali di Enzo Bianchi

XXII Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
BEATI I PACIFICI
Bose, 3-6 settembre 2014
in collaborazione con le Chiese Ortodosse

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Io vorrei semplicemente esprimere un grande ringraziamento innanzitutto al Signore. Non è difficile per noi riconoscere che il Signore ci accompagna in questi convegni, che il Signore ci custodisce e ci permette di rinnovare la fiducia gli uni negli altri, la fiducia nel confronto, nel dialogo, la fiducia nel poter camminare insieme verso una comunione più profonda che lo Spirito Santo prepara in ciascuno dei nostri cuori, nelle nostre comunità e nelle nostre chiese. Il ringraziamento al Signore è quello che noi esprimiamo sempre nella preghiera, perché ogni preghiera è eucaristia, è ringraziamento, per tutti i doni che il Signore ci fa. Ma di tutti i doni il più importante è il dono della sua misericordia, l’unico dono di cui abbiamo veramente bisogno. E se noi abbiamo la misericordia del Signore su di noi, diventiamo anche noi misericordiosi, a immagine del suo Nome santo e glorioso, e dalla sua misericordia traiamo la possibilità di essere operatori di pace. Al termine di questo XXII Convegno Ecumenico, il ringraziamento si lega forzatamente a una epiclesi, a una domanda di pace. Questa domanda noi la facciamo al Signore perché le nostre chiese sempre hanno bisogno della sua pace ma in questo momento ne hanno particolarmente bisogno. Alcuni interventi, alcuni contributi al convegno hanno certamente indicato una pista di meditazione perché noi diventiamo costruttori di pace, proprio accogliendo la nostra debolezza e riconoscendo il nostro peccato e invocando la misericordia del Signore. La pace non viene dalla forza, la pace non viene da nessuna superiorità, la pace non viene da nessuna grandezza mondana, la pace non viene da nessun potere e da nessun riconoscimento di questo mondo. L’uomo di pace, non dimentichiamolo, secondo il Vangelo è l’Adam debole, l’uomo per eccellenza: Gesù Cristo, che flagellato e incoronato di spine è presentato da Pilato come l’uomo vero, l’uomo che Dio ha sempre pensato, l’uomo che dà la vita per gli altri, l’uomo nel quale Dio stesso si è dato per tutti noi amandoci fino a consegnare suo figlio. Nelle nostre vite, come diceva l’archimandrita Sofronio, la pace è una forza di dolcezza e di mitezza, una mitezza e una dolcezza che possono essere accolte da ciascuno di noi, se noi sappiamo invocare il Signore. Allora la pace che vogliamo costruire nelle nostre comunità e nelle nostre chiese è una pace che tiene sempre davanti agli occhi la comunione, perché se noi cristiani non sappiamo vivere la comunione, non sappiamo cercare la comunione non sappiamo neanche darci la pace. Non dimentichiamo che al cuore di ogni nostra liturgia eucaristica di tutte le chiese il Signore che si fa presente in mezzo a noi fa come suo dono la pace: “La pace sia con voi”. Ecco la fonte della nostra pace. Ma nel quotidiano noi dobbiamo impegnare tutte le nostre energie e predisporre tutto nelle nostre vite perché lo Spirito Santo possa agire e possa ispirare pensieri e azioni di pace. Il nostro convegno è stato un incontro, credo che possiamo dire anche molto leale. Alcune volte ha anche toccato dei punti difficili e scottanti, che potevano essere causa di una certa contraddizione, ma non lo sono stati: abbiamo mantenuto la pace perché il Signore ha regnato al di sopra di noi e nei nostri cuori più dei nostri pensieri e delle nostre parole. Ed ecco allora questo convegno - che come tutti gli altri ha avuto la benedizione del Patriarcato ecumenico e del Patriarcato di Mosca, che ci hanno sempre sostenuto e incoraggiato, ma anche dalle altre chiese ortodosse - questo nostro convegno vuole essere sempre un’occasione di pace e di amicizia, qualunque tema sia alla nostra considerazione.

E allora permettetemi di concludere davvero con i ringraziamenti. I ringraziamenti sono sempre un insieme di nomi e possono sembrare sonoramente anche qualcosa di noioso, ma quando diciamo il nome di una persona noi lo diciamo in Dio e davanti a Dio e allora il nostro ringraziamento diventa qualcosa che possiamo seguire con convinzione, con il cuore, come una vera e propria epiclesi. Ecco allora, il ricordo del Patriarca di Costantinopoli Bartholomeos e del Metropolita delegato Athenagoras del Belgio, del Metropolita di Diokleia Kallistos, senza dimenticare l’arcidiacono John Chryssavghìs e l’archimandrita del Trono Ecumenico Athenagoras. Li ringraziamo. E la celebrazione della Divina Liturgia sta mattina, che non abbiamo condiviso però ci ha fatto sentire come l’unico battesimo ci faceva riconoscere Cristo presente come Risorto in mezzo a noi. Il Patriarca di Mosca Kiril, il Metropolita Zossìma, che è tornato con grande bontà in mezzo a noi, il Vescovo Kliment capo delegazione, con padre Alexei e padre Arsenij; i vescovi Filaret di Lviv e Galizia, delegato del Metropolita Onufrij della Chiesa ortodossa ucraina e il Vescovo Ilarij di Makariv; i monaci della lavra delle grotte; il Vescovo Stefan di Gòmel e Zlobin, dell’Esarcato di Bielorussia, ritornato in mezzo a noi per rappresentare il Metropolita Pavel. Ringrazio tutte le Chiese che hanno inviato i loro rappresentanti o messaggi di fraterna partecipazione, che voi troverete tutti sul sito internet della nostra comunità. E ci ha rallegrato molto il messaggio del Patriarca di Bulgaria, Neofìt, e del Santo Sinodo della Chiesa copta ortodossa.

I Vescovi che hanno frequentato il convegno e ci hanno visitato. La lista è lunga. Nomino quelli che sono qui: l’ArciVescovo Antonio Mennini, Nunzio apostolico in Gran Bretagna, il Vescovo di Volterra Alberto Silvani; poi i membri e delegati del Pontificio consiglio per l’Unità dei cristiani: padre Hyacinthe Destivelle, monsignor Andrea Palmieri e padre Milan Zust; padre Porfyrios decano di Balamand, rappresentante del Patriarca greco ortodosso di Antiochia Yuhanna, il Vescovo Andrej di Austria, delegato del Patriarca Irinej di Serbia, col fedele monaco Vassilj Grolimund, il Metropolita Serafim di Germania della Chiesa ortodossa romena, grande amico tanto fedele; il Metropolita Antonij dell’Europa centrale e occidentale e il Metropolita Dometian di Vidin del Patriarcato di Bulgaria; il Vescovo Grigorios della Chiesa ortodossa di Cipro e il Metropolita Ioannis di Thermopyli della Chiesa ortodossa di Grecia, la delegazione di Kalamàta, insieme ai monaci di Kardìtsa e ai professori di Atene e di Tessalonica; Melchìsedek, Vescovo di Pittsburgh, e Alexander, Vescovo di Toledo, della Orthodox Church of America, oltre a padre John Behr, decano dell’Istituto teologico St. Vladimir a New York. Grazie anche a padre Makaryan, rappresentante della Chiesa Apostolica Armena, al Vescovo Jonathan Goodall, rappresentante dell’Arcivescovo di Canterbury, al canonico Hugh Wybrew e a Michel Nseir delegato del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Ringrazio anche i membri del comitato scientifico, alcuni sono miei fratelli, mie sorelle, ma tra loro soprattutto, Michel Van Parys, Antonio Rigo, ed Hervè Legrand che ci offrono sapienza e discernimento. Ringrazio tutti i monaci d’Oriente e d’Occidente che sono qui. Noi monaci sentiamo sempre una comunione molto forte e la nostra vocazione straordinaria ci rende semplicemente poveri cristiani ma con il grande impegno di essere vigilanti e oranti per la Chiesa. Ringrazio gli interpreti e il tecnico di sala signor Panzìca e i suoi collaboratori. Tutti gli amici che fedelmente ritornano e accompagnano con la preghiera questi convegni.
E allora arrivederci all’anno prossimo. Intanto ancora una volta, con buona fedeltà dei miei fratelli e delle mie sorelle, sono usciti gli Atti del XXI Convegno: “Le età della vita spirituale”. Il tema del prossimo convegno lo sceglieremo in un prossimo comitato scientifico e le date le manteniamo, il prossimo anno saranno dal 9 al sabato 12 settembre. Il Signore davvero sia con voi adesso che ritornate alle vostre chiese, e non dimenticate che la nostra comunità vive una continua intercessione per ciascuna delle vostre chiese, d’Oriente e d’Occidente, chiedendo al Signore di affrettare il giorno in cui potremo celebrare un’unica eucarestia. Grazie a tutti. La nostra comunità vi ama e vi accompagna con la preghiera.