Beati voi!
1 agosto 2025
Contraddetti, siamo tentati di ripiegarci e difenderci. Incontrando rifiuto e indifferenza, siamo tentati di contrapporci con inimicizia al mondo o al contrario di isolarci e nasconderci.
Contraddetti, siamo tentati di ripiegarci e difenderci. Incontrando rifiuto e indifferenza, siamo tentati di contrapporci con inimicizia al mondo o al contrario di isolarci e nasconderci.
Il quotidiano è la tavolozza alla quale il Cristo, narratore di parabole, attinge colori, forme, movimenti, personaggi per raccontare il Regno, come la rete a strascico dei pescatori o lo scriba chino sui suoi testi.
Gesù è creativo, e usa la sua immaginazione e la sua enorme capacità di osservazione nel lungo discorso all’interno del quale si trovano i versetti di oggi. Gesù sta cercando di farci comprendere ciò che lui è venuto ad annunciarci con la sua vita: il Regno dei cieli. Un uomo che semina, il lievito, un piccolo granello di senape, una rete. Immagini semplici, tratte dal vissuto quotidiano, comprensibili per gli uomini e le donne che lo ascoltavano.
“Tocca fare tutto a me in questa casa”, sarà stato uno dei possibili pensieri di Marta durante la visita di Gesù vedendo la sorella del tutto incurante dello sforzo che stava facendo per mettere a proprio agio l’ospite.
Gesù può essere visto e come seme e come campo e come colui che semina. La parabola è come un prisma con aspetti diversi e più prospettive affinché la luce del Regno possa scintillare ai nostri occhi.
Matteo ha fin qui presentato l’attività generosa e rassicurante del seminatore e l’accoglienza differenziata e problematica della “Parola del Regno” (v.19). Ora Gesù inizia a descrivere il Regno dei cieli e, con il primo di una serie di paragoni, continua a parlarci del campo in cui viviamo e che siamo, ma portando l’attenzione non tanto sul “dopo” quanto sul “prima”.
Giacomo, figlio di Zebedeo, del quale facciamo memoria oggi, è uno dei primi discepoli scelti da Gesù, insieme con Giovanni, suo fratello, e subito dopo Pietro e Andrea. Tutti e quattro erano pescatori, per cui la loro dimora era praticamente il lago di Tiberiade che gli evangelisti Marco e Matteo preferiscono chiamare “mare di Galilea”, cosa che permette di vedere nella loro chiamata una liberazione dalle potenze del male che in fondo al mare hanno il loro antro.