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L'uomo che cammina

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Bose, 27 dicembre 2006 - 1°gennaio 2007

Da Abramo a Gesù di Nazareth,
camminare con Dio
nell’Antico e nel Nuovo Testamento

con Enzo Bianchi, priore di Bose
Lisa Cremaschi
e Luciano Manicardi, monaci di Bose

Abramo e Lot: due modi di camminare

L'itinerario geografico è identico, quello spirituale completamente diverso.
Abramo fa memoria, ricorda; in altri termini ha un terreno nel quale affondare le proprie radici. E Abramo ringrazia, riconosce di fronte a sé qualcuno che gli ha fatto un dono.
Lot non costruisce altari, non ha memoria del passato - così come, del resto, non si sente oggetto di una promessa riguardo al futuro -; Lot non ritiene di dover ringraziare nessuno.

Sono due modi di stare nell'esistenza. Abramo, il padre della fede, si sente inviato dentro la vita, percepisce la sua esistenza come un dono del quale ringraziare. In questa prospettiva l'essere nati in un luogo determinato, in un tempo determinato, dal tal padre e dalla tal madre non è irrilevante. Attraverso le umane mediazioni, si giunge a riconoscere nella fede che Qualcuno mi ha voluto - proprio me! -, mi ha inviato dentro la trama della storia per diventare una parabola del suo amore. Lot che non sa dire «grazie», che non sa riconoscere alcun dono, nè alcuna presenza d'amore davanti a sé o dietro di sé, mi pare esemplificazione di una vita trascorsa nella logica dell'attimo, del caso, del fortuito.

 

O Cristiano dove corri?
Il cielo è in te;
perchè dunque lo cerchi
ad un altra porta?

Angelo Silesio, Il pellegrino cherubico, Paoline, Cinisello Balsamo 1989, p.158

Gesù e gli uomini: quando le fragilità si incontrano

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Bose, 28 aprile - 1°maggio 2007

Cosa succede
quando Gesù si manifesta
fragile e vulnerabile?
Gesù incontrando gli uomini sulla sua strada
e presentandosi
nella sua umanità e nella sua debolezza
cosa mette in atto?

“Beato l’uomo che conosce la sua debolezza. Questa conoscenza sarà per lui fondamento di ogni cosa buona e bella” (Isacco di Ninive): parole paradossali che raccontano il tragitto dell’uomo Gesù. Nel racconto delle tentazioni (Luca 4,1-13) Gesù entra in una dimensione di debolezza, si conosce nella sua piena umanità, conosce la sua fragilità. Vive il faccia a faccia con le possibilità di distorsione dell’umano e di Dio che sono in noi. Rifiuta di mettere Dio dove noi lo metteremmo (il miracoloso, lo straordinario, il magico, la potenza), resta attaccato alla Scrittura e alla fragilità del suo corpo. Impara ad accogliere i propri limiti, la propria costitutiva imperfezione umana alla luce della relazione con il Padre. Ma grazie a questo incontro con sé può entrare nell’incontro con gli altri.

Incontra attraverso essa gli altri uomini, senza paura e nella libertà. Incontra Zaccheo (Luca 19,1-10), incontra una donna di Samaria (Giovanni 4,1-42) e osando manifestare la sua debolezza e povertà (“Oggi devo fermarmi a casa tua” … “Affaticato dal viaggio … Gesù disse: ‘Dammi da bere’”) si apre all’incontro e al dialogo, dà all’altro la possibilità di uno sguardo su di sé diverso, libero dal giudizio. Gesù non fa della sua appartenenza religiosa una corazza, ma sa accogliere l’altro nella sua alterità etnica, di genere, religiosa e vincere l’inimicizia categoriale che nasconde i volti. Questo permette a chi lo incontra, di incontrarsi con la propria fragilità non più vista come minaccia o maledizione, di essere restituito alla sua piena soggettività umana e di aprirsi alla comunione con gli altri riconosciuti nella loro umanità come fratelli.