Nuova forza dal sepolcro
30 marzo 2024
Una salma che ancora attira l’attenzione: chiusa nel sepolcro sigillato è sottratta allo sguardo… il peso dalla grande pietra posta all’ingresso del sepolcro non ha però chiuso il discorso…
Una salma che ancora attira l’attenzione: chiusa nel sepolcro sigillato è sottratta allo sguardo… il peso dalla grande pietra posta all’ingresso del sepolcro non ha però chiuso il discorso…
«La tua tomba, sorgente della nostra risurrezione, o Cristo, si è rivelata portatrice di vita, più bella in verità del paradiso, più splendente di qualsiasi talamo regale». Così canta la liturgia bizantina, che chiama il sepolcro del Cristo dormiente «divino forziere di vita», «sorgente della risurrezione di Cristo».
In questo venerdì santo, in cui ricordiamo la passione e morte di Gesù, contempliamo, attraverso la preghiera di un manoscritto silvestrino del quattordicesimo secolo, le sette parole di Gesù sulla croce. E poi uno stralcio di un’omelia di Origene.
Sulla soglia del grande triduo santo, giorni in cui, accompagnati dalle liturgie, rivivremo il grande mistero della passione, morte e resurrezione del Signore Gesù, prima di immergerci nella luminosità della grande cena, questa mattina siamo messi ancora una volta di fronte all’incomprensione, ai dubbi, dei discepoli, del discepolo che è ciascuno di noi.
Una parabola, un modo di narrare, quello di Gesù, che conduce a cerchi concentrici da un apparente lontano a un vicino dove siamo noi stessi uditori, di ieri, di oggi. Due quadri. Il primo descrive la cura che il padrone del campo ha per la sua vigna, metafora della cura che Dio ha per il suo popolo che in Gesù si rende manifesta come estesa all’umanità intera.
Gesù è circondato da ostilità crescente: i capi dei sacerdoti e gli scribi cercano di catturarlo. Gesù non si ritrae, non fugge, resta fedele alla volontà di bene del Padre, e neppure si incupisce, si chiude nel cinismo. Resta nella passione di amore per il Padre e per quell’umanità quotidiana che lo attornia e che non capisce bene il dramma che egli sta vivendo.
Siamo all’inizio della Settimana Santa e leggiamo una pagina del Vangelo secondo Marco in cui da un lato Gesù maledice una pianta e compie dei gesti violenti nel cortile del Tempio, dall’altro c’è l’unico insegnamento di Gesù sulla preghiera in questo vangelo che collega il pregare al perdono. Questo ci turba, perché il fico non ha colpa, se non ha ancora frutti. Non è il tempo in cui si raccolgono i fichi. Gesù sembra in preda alla collera.