Si viaggia alla ricerca di se stessi

Si decide il viaggio per cambiare se stessi, alla ricerca di una nuova identità, quanto meno, per conoscersi meglio, più a fondo, in un contesto più leggero, meno inibente. Si viaggia, in una parola, alla ricerca di se stessi, ma poi, giunti alla meta, si trova che la propria anima è cambiata … A un certo punto il dolore, la dissonanza fra individuo e società, fra famiglia e lavoro, non è più sopportabile. Decido: mi alzo; esco; parto, partiamo … Si parte, anche senza saperlo, per trovare qualche cosa che si è perduto, un bene andato smarrito, ma non si trova la cosa desiderata, il valore sognato. Se ne trova un altro. Ma non si sa ancora che cosa sia, che cosa comporti. Di fatto, si parte alla ricerca della propria identità smarrita o debole o confusa, ma nel corso del viaggio l’identità che si va cercando cambia, inevitabilmente, si fanno nuovi incontri, e alla fine del viaggio ci si ritrova con una nuova, inedita, inaspettata identità. Uno parte alla ricerca di se stesso e finisce per ritrovare un altro che non gli somiglia, un sé sconosciuto, un intruso. Talvolta, basta un incontro in treno, un caffè preso insieme per caso, un amorazzo apparentemente insignificante, e la vita è cambiata. Il viaggio decongela l’identità, la rende mobile, itinerante, problematica. In questo senso, il viaggio … ha un effetto di deritualizzazione dell’esperienza personale, che può, al limite, intaccare i modi consueti dell’esperienza psichica e religiosa, provocarne un riorientamento profondo (Franco Ferrarotti, Partire, tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio, Donzelli, Roma 1999).

 

Vi sono partenze senza ritorno

Se per la Grecia la vocazione umana è quella di un “ritorno” verso l’io autentico, la Bibbia in generale e la figura di Abramo in particolare propongono un’immagine molto diversa della condizione umana: quella della “partenza senza ritorno”. La vera vita è oltre il mondo conosciuto e il prezzo dell’esistenza autentica è elevato perché comporta il rischio di perdere tutto senza sapere quello che potrà essere “trovato” al termine dell’avventura. Ulisse torna a casa sua e ritrova suo padre Laerte; Abramo abbandona suo padre , se ne allontana e definitivamente. Ulisse ritrova suo figlio Telemaco; Abramo è invitato a sacrificare suo figlio. Ulisse ritorna a liberare la fedele Penelope dai pretendenti che vogliono sposarla; Abramo se ne va verso una destinazione sconosciuta con una sposa sterile, che non gli ha assicurato una discendenza. All’“odissea” di Ulisse si contrappone l’“esodo” di Abramo: “Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese” (Genesi 15,7). Ulisse trova la sua identità nel mondo del 2prprio”, mentre Abramo va a cercarla “altrove”, nell’universo dell’“altro”. Non bisogna però spingere troppo oltre la contrapposizione. Da una parte e dall’altra, in realtà, l’avventura umana è un lungo itinerario. L’importante è mettersi in cammino. Ulisse e Abramo ne hanno fatto esperienza ognuno a odo suo. Ma il fatto che Abramo parte per non tornare più, permette anche di toccare con mano la singolarità delle fede biblica, e non bisogna quindi stupirsi che tale singolarità appaia già come una delle caratteristiche principali del “padre dei credenti” (Jean-Louis Ska, Abramo e i suoi ospiti. Il patriarca e i credenti nel Dio unico, EDB, Bologna 2002).

 

Partire è affrontare il rischio

“Lasciare” implica un “partire da”, ma anche un “andare verso”. Dio invita Abramo a dirigersi “verso al terra che io ti farò vedere”. L’oscurità della destinazione contrasta con la chiarezza di ciò che Abramo deve abbandonare. Il paese non è nemmeno nominato; non è dunque faciel sapere quale strada prendere per recarvisi. Ogni chiamata a una nuova missione implica il lasciare dietro di sé ciò che è conosciuto, la propria sicurezza, per addentrarsi nell’ignoto e affrontare il rischio (Walter Vogels, Abraham. L’inizio della fede, San Paolo, Milano 1999).

Abramo l’uomo del mattino

La storia di Abramo inizia con un comando: “Va verso te stesso” (Genesi 12,1) e termina con lo stesso comando: “Va verso te stesso” (Genesi 22,2). Il primo quando ad Abramo viene ingiunto di lasciare la sua terra, la sua patria e la casa di suo padre, cioè di staccarsi dal suo ambiente di origine, di rompere con il suo passato. Il secondo quando ad Abramo è chiesto di sacrificare suo figlio Isacco, di rinunciare alla promessa divina, al suo futuro … In entrambi i casi, all’inizio come alla fine della sua vita, Abramo “partì senza sapere dove andava” (Ebrei 11,8): verso una terra, verso un monte che gli sarebbero stati rivelati soltanto dopo … “Da un capo all’altro della storia di Abramo è questione di spaesamento” (Midrash Rabbà). Per Abramo si tratta sempre di ricominciare da capo, di mettersi in cammino verso l’ignoto. Di rinunziare sia alle garanzie del passato, sia alle promesse del futuro, dall’inizio alla fine della sua vita. Questo è lo spaesamento di cui parla il Midrash: essere sempre proiettati verso qualcosa che ancora non si sa, non si conosce. Verso quale terra, verso quale luogo? Verso una terra che non è terra, verso un luogo che non è luogo … Il viaggio verso questo “Luogo” è un’avventura infinita. La terra neppure non è terra: è e sarà sempre per Abramo “terra di soggiorno”, terra di residenza, terra in cui si vive da forestiero … “Vattene”: difficile tradurre diversamente il lek leka di Genesi 12,1, che letteralmente sarebbe “Va a te” … Ti conviene andare, è meglio che tu vada.


Ma anche: “Mettiti in movimento verso te stesso” … Una ricerca di Dio e al tempo stesso una ricerca di sé. Altra ricerca inesauribile … Abramo mal sopporta di installarsi da qualche parte, non ne sopporta la monotonia, avverte una specie di claustrofobia. È sempre in movimento, sempre orientato ”a sé”, dentro di sé, cioè altrove. Se la situazione spirituale di Abramo è quella di un uomo in costante ricerca … il problema non è di sapere dove sta andando Abramo … Non è la destinazione che conta, ma quel che capita durante al strada. Non è della destinazione che ci dobbiamo preoccupare, ma di che cosa dobbiamo fare lungo il cammino … Se siamo tutti in cammino verso una destinazione sconosciuta il problema non è sapere dove andiamo, ma : come mettersi in cammino. Il tema centrale di Abramo è dunque: come cominciare? E ciò che rende paradossale questo tema è che Abramo in fondo abbai cominciato tardi (Genesi 12,4) … Non si finisce mai di cominciare. Abramo è l’uomo capace di mettersi in cammino a ogni età della sua vita … Noi non sappiamo come Abramo non sa, dove ci porta il cammino. Ma sappiamo che cosa dobbiamo fare durante il cammino. Ci sono dei volti, nel nostro cammino, che suscitano la nostra premura, la nostra responsabilità. Solamente se rispondiamo alle attese, ai bisogni di quanti ci stanno intorno e condividono la nostra storia o magari la continueranno, siamo anche degli uomini, delle donne che si svegliano presto al mattino. Sennonché queste responsabilità pesano, affaticano. Abramo è chi ricomincia sempre, ogni mattino. Essere sempre disposti a ricominciare. Abbiamo noi al forza di alzarci presto, come Abramo?

Alberto Mello 

Viaggiare insegna il tempo come durata

A ben guardare, oggi non si viaggia più. Si viene alla lettera, catapultati da un luogo all’altro, più precisamente da un aeroporto all’altro … In una manciata di ore si è scaraventati da un punto all’altro del globo. Il viaggio è stato abolito. Esistono solo il punto di partenza e il punto di arrivo. Il tempo come sequenza segmentata di unità discrete, separate l’una dall’altra e perfettamente conteggiabili, che definisce il tempo della società industriale, ha travalicato i cancelli della fabbrica, ha investito la società nel suo complesso, ha quasi completamente espunto e fatto dimenticare il tempo come qualità vissuta, esperienza individuale, il tempo come durata. La durata è stata ridotta, contratta, annullata. Da un luogo all’altro, da una città all’altra, da un continente all’altro. Tutto questo è presentato come una conquista, un privilegio concesso dalla tecnologia più raffinata. Ma intanto la traversata, il tragitto, i giorni e le notti dello spazio intermedio, la fatica e l’attesa, il momento sorprendente dell’arrivo dopo i sacrifici sono stati aboliti, ridotti al dormiveglia di una notte in aereo. Si viene trasportati, ma il viaggio come impresa umana non c’è più (Franco Ferrarotti, Partire, tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio, Donzelli, Roma 1999).