Vincere in noi ciò che è estraneo a Dio
Il giudizio definitivo della nostra coscienza non appartiene né a noi, né a quelli che ci conoscono, ma a Dio. L'evangelo ci illumina sulla sua parola, sulla sua giustizia; eppure noi raramente sappiamo fare riferimento a esso con discernimento e con piena trasparenza. Se leggiamo attentamente le pagine dell'evangelo con semplicità di cuore, senza cercare di trarne più di quanto siamo capaci di ricevere, e a maggior ragione più di quanto potremmo mettere in pratica nella nostra vita, se le accogliamo con rettitudine e senza sotterfugi, vediamo che possono suddividersi in tre categorie.
Ci sono passi dell'evangelo la cui autorevolezza salta agli occhi, ma che non scuotono la nostra anima, e ai quali acconsentiamo facilmente. A livello teorico li assimiliamo, il nostro cuore non insorge contro di essi, ma non ce ne sentiamo toccati nella nostra vita. Questi passi dell'evangelo ci dicono che la nostra intelligenza, la nostra capacità di comprensione delle cose si collocano alla frontiera di qualcosa che né la nostra volontà né il nostro cuore sono ancora in grado di raggiungere. Essi ci fanno sentire il peso di tutto il nostro immobilismo e della nostra inazione; senza aspettare che il nostro cuore gelido si riscaldi, questi brani evangelici esigono da noi che compiamo la volontà di Dio, semplicemente per il fatto che siamo suoi servi.
Se poi prendiamo in considerazione altri passi dell'evangelo in piena onestà, se guardiamo lealmente nella nostra anima, ci rendiamo conto che li evitiamo, che siamo in disaccordo con il giudizio di Dio e con la volontà del Signore. E se avessimo l'infelice coraggio e la forza di ribellarci, ci ribelleremmo come hanno fatto al loro tempo e come fanno di secolo in secolo tutti coloro che all'improvviso prendono coscienza che il comandamento del Signore sull'amore li spaventa, che esige il sacrificio, la rinuncia totale a ogni egocentrismo, a ogni egoismo, e molte volte noi preferiremmo che non esistesse affatto.
Molti di quelli che circondavano Cristo desideravano che facesse un miracolo, per essere sicuri che il suo comandamento fosse veritiero, certi di poter andare alla sua sequela senza correre pericolo per la loro persona, per la loro vita; certuni sicuramente si sono recati alla terribile crocifissione di Cristo con il pensiero che, se non fosse sceso dalla croce, se il miracolo non si fosse verificato, questo significava che egli non era nella verità, che non era un uomo di Dio e che quindi si poteva dimenticare la sua parola inquietante secondo la quale l'uomo deve morire a se stesso e vivere soltanto per Dio e per gli altri.
Quando ci rechiamo in chiesa, molto spesso noi ci accostiamo alla mensa del Signore con circospezione: purché la verità del Signore non ci colpisca a morte, non esiga da noi l'ultima cosa che ci resta, la rinuncia a se stessi! Quando il comando dell'amore, o qualche altro comandamento con il quale Dio c'illumina sull'infinita varietà di forme che può assumere un amore intelligente e creativo, ci suggerisce di verificare in noi stessi questo sentimento, allora noi possiamo misurare quanto siamo lontani dallo spirito del Signore, dalla sua volontà, e pronunciare su noi stessi un giudizio di condanna.
Infine ci sono passi dell'evangelo che fanno nascere in noi le parole dei pellegrini di Emmaus dopo che il Signore ebbe conversato con loro lungo la via: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?" (Luca 24,32).
Questi passi, anche se fossero poco numerosi, hanno un grande valore perché ci fanno comprendere che vi è in noi la possibilità di formare con Cristo un solo spirito, un solo cuore, una sola volontà, un solo pensiero; che noi siamo divenuti suoi intimi, che facciamo già parte dei suoi. Questi passi dobbiamo custodirli nella memoria come un tesoro prezioso, perché possiamo vivere in conformità a essi senza dover sempre lottare contro il male che è in noi, ma sforzandoci di dare libero corso alla vita e di lasciar trionfare ciò che dentro di noi già appartiene al divino, a ciò che è vivente, a ciò che è pronto a essere trasfigurato e a diventare una briciola di vita eterna.
Se noi sappiamo cogliere con attenzione queste diverse categorie di eventi, di comandamenti, di parole di Cristo, ben presto ci apparirà la nostra stessa immagine, vedremo chiaramente che tipo di uomini siamo, e quando andremo a confessarci discerneremo chiaramente non soltanto il giudizio della nostra coscienza o quello degli altri, ma anche il giudizio di Dio. Lo percepiremo non solo con angoscia, non solo come una condanna, ma anche come la rivelazione di tutto un cammino e di tutte le possibilità che sono in noi: la possibilità, talora, di divenire in ogni istante e di rimanere esseri pieni di luce, con l'anima ricolma di gioia, e la possibilità a causa di Cristo, a causa di Dio, a causa degli uomini, a causa della nostra salvezza personale, di vincere in noi ciò che è estraneo a Dio, ciò che è mortifero, ciò che non può dare accesso al regno dei cieli.
A. Bloom, {link_prodotto:id=338}
Qiqajon, Bose 2002