Gesù, luogo di Dio
9 novembre 2025
Dedicazione della Basilica Lateranense
 Giovanni 2,13-22 (Ez 47,1-2.8-9.12 – 1Cor 3,9c-11.16-17)
di Luciano Manicardi
13Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». 17I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. 
 18Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». 19Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». 20Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». 21Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Poiché la XXXII domenica dell’annata C del tempo Ordinario in quest’anno 2025 cade il 9 novembre, data in cui viene celebrata la memoria della Dedicazione della Basilica Lateranense, la liturgia cattolica romana fa prevalere, per l’Italia, tale festa sulla domenica e così le letture bibliche presenti nella liturgia sono testi al cui cuore si trova il riferimento al Tempio di Gerusalemme. La prima lettura è un passo tratto dalla profezia di Ezechiele che presenta la visione della sorgente d’acqua vivificante e sanante che sgorga dal Tempio (Ez 47,1-2.8-9.12); la seconda è un passo paolino che attribuisce ai cristiani la qualità di “Tempio di Dio” (1Cor 3,9c-11.16-17); infine, il vangelo è il brano giovanneo che narra l’incidente del Tempio, pericope spesso – in modo inadeguato – chiamata “purificazione del Tempio” (Gv 2,13-22).
Il Tempio di Gerusalemme – erede del Tabernacolo, la tenda smontabile e trasportabile che accompagnava il popolo d’Israele nelle peregrinazioni nel deserto – era segno della presenza misteriosa del Signore in mezzo al suo popolo e luogo di culto. In quanto tale esso, attraverso il sistema sacrificale e la mediazione sacerdotale, assicurava al popolo i poli della riparazione e della comunione. Ovvero, la possibilità di ristabilire le condizioni della presenza di Dio e dell’alleanza con lui quando queste erano ferite dal peccato e dunque anche il ritrovamento della comunione con Dio stesso. Il passaggio attestato da Paolo dal Tempio gerosolimitano alla comunità dei cristiani di Corinto, espresso con le potenti affermazioni “siete Tempio di Dio … santo è il Tempio di Dio che siete voi” (1Cor 3,16-17), è tanto più sconcertante se si pensa che, quando Paolo scrisse quelle parole, il Tempio era ancora attivo, frequentato da folle di credenti, splendido nella sua magnificenza. La strutturazione liturgica della comunità cristiana attorno al battesimo e al pasto eucaristico, assicurando ritrovamento e celebrazione della comunione con il Signore, motivano l’audace affermazione paolina. Che tuttavia trova il suo vero e rivoluzionario fondamento nel fatto che Gesù stesso, il Cristo morto e risorto, è il “luogo” di incontro e comunione con Dio. Egli è la dimora di Dio tra gli uomini. Il prologo del IV vangelo afferma che il Verbo “pose la sua tenda (eskénosen) tra di noi” (Gv 1,14), manifestandosi così come Shekinah, presenza di Dio tra gli umani. Dice Giovanni 1,14: “La Parola si fece carne, e pose la sua Dimora fra noi e noi abbiamo visto la sua Gloria”. I termini parola (Memra’), dimora (Shekinah), gloria (Jeqarah), ricorrono nei commenti giudaici (targumim) a indicare il Signore nelle sue relazioni con il mondo. Il Nuovo Testamento afferma quindi il passaggio dal Tempio al corpo. Il corpo di Cristo, ovvero Gesù nella sua relazionalità, nella sua piena umanità, narra e attualizza la presenza di Dio tra gli uomini. Lo Spirito santo, che secondo le Bibbia è la libera volontà di comunicazione e comunione di Dio con l’umanità, abita in Gesù, lo accompagna nel suo vivere, è indissociabile da lui e rende la sua persona il luogo di Dio nel mondo. Se Dio si è manifestato fin dalla creazione attraverso la parola e il soffio (cf. Gen 1,2-3), il corpo di Gesù, nel suo respirare inspirando la vita che viene da Dio ed espirando la vita che dona agli uomini, parlando la parola di Dio con voce e parole umane, è il Tempio di Dio. Questa affermazione è al cuore della pericope evangelica di oggi che opera il passaggio dall’edificio al corpo: “Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere … Egli parlava del Tempio del suo corpo” (Gv 2,19.21). Purtroppo la traduzione italiana non diversifica i vocaboli greci usati dal IV evangelista per indicare l’edificio templare. In 2,14-15 Giovanni impiega il termine hieròn, mentre in Gv 2,19.20.21 utilizza il vocabolo naòs. Il primo termine indica l’insieme dell’edificio templare, il complesso dell’intero recinto sacro, e possiamo tradurlo con “Tempio”; il secondo designa l’interno del Tempio, il penetrale, il luogo della presenza di Dio, e si può tradurlo con “Santuario”, sebbene per noi oggi questo termine abbia assunto un significato che indebolisce il senso e smarrisce la pregnanza del naòs di cui parla l’evangelista. In questo concentrare nel suo corpo il penetrale del Tempio di Gerusalemme e il “Santuario” che sarà rialzato, o, potremmo tradurre, che “risorgerà” (Gv 2,19.20.22: il verbo usato, egheírein, è utilizzato anche per la resurrezione), il vangelo orienta verso una realtà escatologica e di fatto, fin dalle sue primissime pagine, già annuncia l’evento pasquale, la morte e resurrezione di Gesù. Il passaggio dall’edificio al corpo di Cristo significa anche una riconfigurazione della comunità cristiana, che è corpo di Cristo (Col 1,24; 1Cor 12,12ss.). Dalla costruzione materiale (Tempio di Gerusalemme, basiliche, cattedrali, chiese) si passa all’organismo vivente che è una comunità, dai mattoni alle persone, dalle pietre saldate le une alle altre con malta e calce alle relazioni vive e dinamiche che intercorrono tra persone in uno spazio comunitario. Così, la presenza di Dio viene fatta abitare nel vivo delle esistenze dei credenti perché poi il luogo di culto autentico e di inveramento della liturgia è la vita. Altrove, Gesù dice che se nello “spazio sacro” in cui si trova l’altare, il credente si ricorda che un suo fratello ha qualcosa contro di lui, deve interrompere il suo gesto cultuale e andare prima a riconciliarsi col fratello (cf. Mt 5,23-24). La prima lettera di Pietro parlerà dei cristiani come di “pietre vive”, “costruiti come edificio spirituale” (1Pt 2,5), fondati su quella “pietra viva” (1Pt 2,4) che è il Cristo risorto. E la dimensione viva e vitale è assicurata dall’azione dello Spirito che porta i credenti a porsi in quella sequela dell’unico Signore che consente loro, assumendo i “modi” che furono del Signore stesso, di costruire quotidianamente una comunione all’interno della comunità. Queste affermazioni non possono non suonare anche come monito per noi credenti spesso portati a calcificare le relazioni, a etichettare le persone, a ingessare i carismi, a pietrificare le tradizioni, a rinchiudere la vivezza dell’esperienza cristiana in schemi rigidi, insomma a “spegnere lo Spirito” (cf. “Non spegnete lo Spirito”: 1Ts 5,19).
Le parole di Gesù che rivelano la sua morte e resurrezione sono precedute da un gesto profetico potente e scandaloso (Gv 2,13-17). Salito a Gerusalemme per la Pasqua, Gesù trova nel Tempio “gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiavalute” (v. 14). La cosa non ha nulla di strano né di illecito. Il Tempio prevedeva locali e spazi riservati ai commercianti che vendevano gli animali per i sacrifici. Una sorta di mercato-bestiame reso necessario dal fine religioso stesso dei sacrifici. Inoltre vi erano dei cambiavalute perché l’unica moneta il cui uso era autorizzato all’interno del Tempio era il siclo di Tiro, in cui dovevano essere convertite le diverse altre monete. E questo per impedire la profanazione del luogo santo facendovi circolare monete con l’effigie dell’imperatore e le scritte che lo divinizzano. Gesù allora, fatta una “frusta di cordicelle” (v. 15) scacciò “tutti” dal Tempio: cambiavalute, venditori di animali, gli animali stessi (v. 15). E accompagna il gesto con le parole che mettono in guardia dal rendere la “casa del Padre mio una casa di commercio” (oîkon emporíou: CEI traduce “mercato”: v. 16). Se i testi paralleli di Matteo e Marco dicono che Gesù scacciò anche “coloro che compravano” (Mt 21,12; Mc 11,15), Giovanni riferisce che scacciò solo i venditori. A indicare un gesto non puramente emotivo, ma guidato da discernimento: non vengono scacciati coloro che “devono” comprare gli animali per poter, attraverso i sacrifici, ritrovare o celebrare la comunione con Dio. Vengono colpiti coloro che intascano i soldi, non coloro che li sborsano. E vengono scacciati anche gli animali, le vittime designate per i sacrifici. È interessante notare che colui che scaccia gli animali del Tempio, salvandoli dalla macellazione, è stato presentato nel IV vangelo come Agnello di Dio (Gv 1,36) e morirà sulla croce come agnello pasquale a cui non viene spezzato nessun osso (Gv 19,33.36). Queste azioni di Gesù, che convergono nel colpire il sistema sacrificale, compongono il gesto dimostrativo, profetico-simbolico, di Gesù. Gesto che assume valenza messianica ed escatologica alla luce, da un lato, di quella sferza di cordicelle utilizzata da Gesù (solo lui ne parla tra gli evangelisti) e che appare in tradizioni giudaiche come strumento con cui il Messia porrà fine all’empietà del mondo e instaurerà il giorno del Signore (cf. Sanhedrin 98a), dall’altro, soprattutto, dalle parole successive di Gesù (v. 19), da quelle dell’evangelista (v. 21) e dalla memoria dei discepoli illuminata dalla Scrittura e dallo Spirito dopo la resurrezione (v. 22). Con il passaggio dal tempio di Gerusalemme al corpo di Gesù, viene operato un passaggio da un ordine di tipo cultuale a uno di ordine personale e relazionale, dal meccanismo di delega dell’offerta di animali alla dinamica dell’offerta personale fatta con libertà e per amore.