Discepoli inviati. Come?

Giovanni Frangi
Giovanni Frangi

6 luglio 2025

XIV domenica nell’anno
Luca 10,1-12.17-20 (Is 66,10-14c)
di Luciano Manicardi

In quel tempo 1il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa casa!». 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: «È vicino a voi il regno di Dio». 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: 11«Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino». 12Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città. 17I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». 18Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».


Nella prima lettura (Is 66,10-14c) l’annuncio che Dio, tramite il profeta, fa giungere al popolo ritornato dall’esilio babilonese è annuncio di pace (shalom: Is 66,12), di salvezza e di giustizia che trova la sua manifestazione in una Sion immaginata come madre: Gerusalemme diviene luogo di consolazione. Nel vangelo (Lc 10,1-12.17-20) l’annuncio che Gesù, tramite i settantadue (o settanta) discepoli, fa giungere alle città e villaggi nelle quali si sarebbe recato nel suo cammino verso Gerusalemme, è annuncio di pace, è proclamazione che il Regno di Dio si è fatto vicino. Pace e Regno di Dio sono manifesti in Gesù stesso.

Il testo evangelico odierno presenta le disposizioni che Gesù dà ai discepoli inviandoli in missione (Lc 10,1-12) e le parole che rivolge loro una volta ritornati dalla missione stessa (Lc 10,17-20). Nella narrazione lucana, il discorso di invio in missione fa seguito ai versetti in cui Gesù espone le esigenze radicali della sequela (Lc 9,57-62). Per l’evangelista, la missione non può che avvenire all’interno della medesima radicalità. La missione sta all’interno della sequela. Ovvero: l’obbedienza al mandato missionario che comporta scomodità e rischi (“vi mando come pecore in mezzo a lupi”: Lc 10,3); l’andare verso altri per evangelizzare annunciando che “il Regno di Dio è vicino” (Lc 10,11); il compiere il bene verso persone fino ad allora mai incontrate (“curate [therapeúete] i malati che incontrate” nelle città in cui vi recate: Lc 10,9), tutto questo non costituisce un titolo di merito, ma è una forma di sequela del Signore ed è interamente sottomessa alle sue esigenze. Per questo le direttive che Gesù impartisce sono così rigorose: “non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada” (Lc 10,4; in Lc 9,3, al momento dell’invio dei Dodici, troviamo indicazioni di tono analogo: “Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche”: Lc 9,3). Gli inviati devono narrare il vangelo con la coerenza della loro vita: come si potrebbe annunciare l’evangelo che ha i poveri come primi destinatari (Lc 4,18; 7,22) con mezzi potenti e sfoggio di ricchezza? Nelle parole di Gesù, in realtà, la ricchezza è semplicemente portare con sé l’essenziale, il necessario, l’indispensabile, ciò che buon senso e prudenza consiglierebbero non solo in vista di una missione più efficace, ma anche per proteggere e dare sicurezza all’inviato. Il non portare borsa (ballántion) proibisce di portare denaro con sé, ma anche di ricevere denaro. L’uomo si attacca facilmente a ciò che dà sicurezza e che può scongiurare le incertezze del domani, e il denaro arriva facilmente a impossessarsi del cuore umano. Non a caso altrove Luca scrive: “Vendete ciò che avete, datelo in elemosina, fatevi borse (ballántia) che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli dove i ladri non arrivano e la ti­gnola non consuma; perché dove è il vostro tesoro là è anche il vostro cuore” (Lc 12,33). La bisaccia è una borsa più grande che contiene viveri, vet­tovagliamenti. Pane, formaggio, spighe tostate, fichi: questi erano generalmente i cibi messi nelle bisacce (cf. Gdt 10,5). Si tratta di viveri essenziali, non superflui. Proibendo di portare la bisaccia Gesù chiede un atto di affidamento radicale a lui, ma indica anche agli inviati di contare sull’ospitalità e sulla cura che sarà riservata loro da coloro che li accoglieranno nelle loro case. È con tutta la sua persona che l’inviato deve narrare la fiducia nel Signore: altrimenti il suo predicare e suscitare fede e abbandono nel Signore viene contraddetto dal suo stesso stile di vita. Insomma, l’espressione lapidaria di Lc 9,3 riassume adeguatamente il “come” della missione: “Non portate niente per il viaggio”. L’inviato dev’essere ricco di questo niente perché solo così le sue parole evangelizzatrici saranno incarnate in un corpo, visibilizzate in un’esistenza e l’intera sua persona sarà annuncio evangelico. Tuttavia la redazione lucana delle direttive gesuane sulla missione, estremamente radicali anche negli altri sinottici (Mc 6,7-13; Mt 10,5-16), manifesta un’altra preoccupazione: la credibilità degli inviati. Questa preoccupazione emerge dalla considerazione di alcuni tratti del discorso di Gesù presenti solamente nel terzo vangelo: “rimanete in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno” (Lc 10,7); “non passate da una casa all’altra” (Lc 10,7); “in qualunque città entriate e vi accolgano, mangiate quello che vi sarà posto dinanzi” (Lc 10,8). Stabilire una comunione di tavola con chi dà ospitalità è fondamentale. Dunque non si devono nutrire preoccupazioni di purità alimentare: “Se un non credente vi invita e volete andare, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza” (1Cor 10,27). Ma Luca ha certamente in mente casi di missionari che hanno sovrapposto pretese e capricci alla sobrietà e al rigore della loro missione arrivando a depotenziare la missione stessa con la loro ricerca di case più confortevoli e cibi migliori. Si tratta di comportamenti meschini che scivolano nell’abuso: la missione diventa il pretesto per la soddisfazione delle proprie voglie, per una ricerca di comodità, per vivere alle spalle di altri. Il problema era noto alla chiesa primitiva: ne troviamo tracce anche nella Didaché, un testo del I sec. d. C.: “Ogni inviato che giunge da voi, accoglietelo come il Signore. Egli non rimarrà che un giorno solo; se vi fosse bisogno anche di un altro. Se rimane per tre giorni è un falso profeta. Con­gedandosi l’inviato non prenderà nulla... Se chiede denaro è un falso profeta” (XI,4-6); “se qualcuno dicesse per ispirazione: dammi del denaro o qualche altra cosa, non gli darete ascolto” (XI,12). La Didaché mette in guardia da chi “fa commercio di Cristo” (XII,5) mentre si presenta come annunciatore del vangelo. E conclude: “Guardatevi da gente simile” (XII,5). Questa dimensione di incoerenza e di abuso, pur mutando nei tempi e nei luoghi, per portata e dimensione, è una tentazione perenne della chiesa. Per Ilario di Poitiers, la radicalità delle direttive di Gesù mira a che “non ci sia niente di veniale nel nostro servizio e ad evitare che il premio del nostro apostolato diventi il possesso dell’oro o dell’argento”. Qualche Padre (p. es., Giovanni Crisostomo) ritiene che le misure drastiche indicate da Gesù vogliano rendere gli inviati al di sopra di ogni sospetto, ed evitare che essi predichino per ottenere guadagni, sovrapponendo interessi personali al mandato apostolico. Potremmo dire che sono misure che tendono alla trasparenza degli inviati. Paolo stesso, tracciando un bilancio della sua vicenda apostolica davanti agli anziani di Mileto, afferma: “Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno” (At 20,33). Al tempo stesso, la radicalità delle indicazioni di Gesù fa affidamento sull’ospitalità che gli inviati potranno trovare in chi li accoglierà fornendo loro alloggio e vitto. Così, le dure esigenze poste agli inviati vanno di pari passo con la sollecitazione della responsabilità di ospitalità e di accoglienza dei credenti. Infatti, “chi lavora ha diritto alla sua ricompensa” (Lc 10,7; 1Tm 5,18).

Gesù avverte i discepoli che la loro missione può fallire e loro stessi possono conoscere il rifiuto. Tuttavia, essi non potranno venir meno al loro compito di annunciare i tempi escatologici e anche alle città che avranno negato l’accoglienza, gli inviati dovranno proclamare che “il Regno di Dio è vicino” (Lc 10,11). La missione ha una dimensione escatologica costitutiva: la missione è il Dio che viene. E l’inviato questo deve annunciare e a questo deve preparare. Inviando i settantadue “davanti a sé” (Lc 10,1), Gesù indica che i missionari devono preparare la strada al Veniente dando segni della vicinanza del Regno in Cristo Gesù. In effetti, quando i discepoli ritornano dalla missione, esultano di gioia narrando come anche le potenze demoniache si sono sottomesse a loro. Il Regno di Dio è annunciato con potenza quando fa arretrare il regno di Satana. Infatti, a tutti coloro che Gesù ha inviato egli ha concesso “forza e potere su tutti i demoni” (Lc 9,1). E Gesù conferma la sconfitta di Satana grazie alla predicazione del Regno con l’immagine di Satana che precipita dal cielo. Tuttavia, la replica di Gesù all’entusiasmo dei discepoli è una correzione della loro gioia: “Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri cuori sono scritti nei cieli” (Lc 10,20). Quando c’è la povertà radicale, lo spossesso di sé, l’abbandono pieno e fiducioso al Signore richiesto da Gesù nelle direttive del discorso missionario, allora, una volta adempiuta felicemente la missione, la gioia dev’essere posta non nelle azioni compiute, nell’opera svolta, fosse pure l’opera di evangelizzazione, di cura e guarigione, ma nella gratuità della salvezza di cui si è destinatari. Rifacendosi all’immagine del libro celeste su cui sono scritti i nomi di coloro che sono graditi a Dio, Gesù invita a gioire sì, ma dell’essere amati da Dio e partecipi della vita che viene da lui.