Pane vivo dal Padre

Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)
Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)

11 agosto 2024

XIX domenica nell’anno
Giovanni 6,41-51
di Sabino Chialà

In quel tempo 41i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: «Sono disceso dal cielo»?».
43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi.  44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. 48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.  51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».


L’articolato discorso sul pane di vita, che Gesù pronuncia nella sinagoga di Cafarnao, continua nella pericope evangelica di questa domenica.

In uno stile tipicamente giovanneo, si susseguono affermazioni che come le onde del mare si ripropongono ingrossandosi. Così, anche qui, i temi si ripetono approfondendosi e articolandosi secondo un itinerario ben preciso che va dal passato al futuro: dall’esodo del popolo d’Israele dalla schiavitù verso la libertà, evento passato più volte evocato, alla Pasqua che il Figlio dell’uomo sta per vivere e al segno che ne lascerà ai suoi discepoli nell’eucaristia, orizzonte futuro verso cui tende l’intero discorso.

Nella pericope precedente Gesù, rivolgendosi alle folle, aveva invitato a distinguere tra il pane “che non dura” e quello “che rimane” (6,27); e, riferendosi al dono della manna nel deserto (6,31-32), aveva presentato se stesso come “pane dal cielo”, “pane di Dio” e “pane di vita” (6,32-35). Tre affermazioni non facili da comprendere e da recepire. Infatti, nei versetti che seguono immediatamente, omessi dal lezionario, (6,36-40), Gesù cerca di prevenire - e così attutire - la reazione dell’uditorio, dichiarandone l’incapacità a credere, ma garantendo tuttavia che lui è stato inviato dal Padre per dare la vita: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno” (6,39).

Queste parole però non bastano a evitare la reazione di scandalo da parte di un gruppo che da qui in avanti si distingue tra la folla: “i giudei”, espressione nella quale possiamo facilmente individuare i capi religiosi, che Giovanni è solito indicare con questo appellativo.

Essi reagiscono mormorando, altro riferimento all’esodo, quando il popolo d’Israele aveva mormorato ripetutamente contro Mosè e contro il Signore (cf. Es 15,22-17,7). Oggetto della contestazione è l’affermazione di Gesù: “Io sono il pane disceso dal cielo” che costoro ripetono, non rivolgendo una domanda di chiarimento a Gesù, ma discutendone tra loro. Tipico della mormorazione è infatti che la persona coinvolta resti assente: si parla “di” lui, non “con” lui. Così avviene anche qui: Gesù è indicato alla terza persona, non interpellato come un “tu” alla seconda; ed è introdotto da un freddo e distante “costui (hoûtos)”: “Costui non è forse…?” (v. 42). Ci sono tutti gli ingredienti del non-dialogo, di cui la mormorazione è manifestazione.

Pietra di scandalo è l’origine “nota” di Gesù: egli è figlio di Giuseppe, di lui costoro conoscono “il padre”. È significativo che, diversamente dal passo parallelo di Marco (Mc 6,3), qui si menzioni Giuseppe anziché Maria; anche se più avanti si dice: “Di lui non conosciamo il padre e la madre?” (v. 42). L’insistenza sul padre ha la sua ragione nel fatto che Gesù ha appena e ripetutamente rivendicato un’altra paternità: “Il Padre mio vi dà il pane dal cielo” (6,32). Il problema dunque non è il pane, ma l’origine di Gesù, che si presenta come “pane” che viene dal Padre, dal cielo, dall’alto: “Come può dire: ‘Sono disceso dal cielo?’” (v. 42). Come si può ritenere figlio del “Padre”, se è noto che suo “padre” è Giuseppe?

I “giudei” parlano tra di loro, mormorano senza dialogare. Gesù invece “risponde loro” (dal verbo apokrínomai). Dialoga anche con chi non ha l’intenzione di confrontarsi con lui e di interrogarlo. Innanzitutto li invita a cambiare atteggiamento: “Non mormorate tra voi” (v. 43). Quindi indica la via per comprendere un qualcosa che egli sa bene essere paradossale e difficile da comprendere. La via è quella della fede: l’opera per eccellenza, come l’aveva definita poco prima (6,29), che è chiave essenziale per comprendere l’intero discorso.

Nei versetti che seguono, con parole semplici e complesse allo stesso tempo, Gesù tenta così di introdurre i suoi interlocutori in quella che possiamo definire la dinamica della fede, che è attrazione operata dal Padre, è vita suscitata dal figlio, è insegnamento che si accoglie. Credere significa entrare in quello spazio che è generato dalla relazione tra il Padre e il Figlio. Il quarto vangelo torna spesso su tale relazione tra il Padre e il Figlio perché di capitale importanza non solo per comprendere l’origine divina di Gesù ma anche – e qui ci è detto chiaramente – perché quella relazione genera e descrive lo spazio della fede di ogni credente. È come se Giovanni dicesse: per credere è necessario dimorare nella relazione che unisce il Padre al Figlio. Al di fuori di essa nulla è comprensibile del suo discorso: resta solo lo scandalo, un comprensibile scandalo!

Per comprendere le parole di Gesù è necessario infatti essere attratti dal Padre: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (v. 44), se non cede a questa attrazione! Allora Gesù potrà “risuscitarlo nell’ultimo giorno” (v. 44), potrà comunicargli la vita piena per cui il Padre lo ha mandato. Questo gli è possibile perché lui “ha visto il Padre” e “viene da Dio” (v. 46), e per questo può dare la vita. Ma può darla a chi crede: “In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna” (v. 47).

Per comprendere è necessario un atteggiamento di fede. E la fede introduce alla vita, quella che dura per sempre, come il pane “che dura”. Non si tratta di aderire a dei concetti, ma di fare spazio a colui che viene dal Padre, che lo ha visto, che dimora in una intima relazione con lui.

Credere, appunto, significa entrare in questa relazione del Figlio con il Padre. E per questo è necessario aderire al Figlio, accoglierlo come “pane della vita”, diverso da quello mangiato nel deserto, passeggero, per cui i padri sono morti pur avendolo mangiato (v. 48-50). Anzi, si tratta di mangiare il “pane vivo”, come dice ancora Gesù riprendendo e rielaborando l’espressione usata precedentemente: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo” (v. 51). Così al “pane della vita (ho ártos tês zoês)” succede il “pane vivo (ho ártos ho zôn)”.

Gesù stesso è pane vivo, che trasmette la vita a chiunque lo mangi: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (v. 51). La fede in lui, l’adesione a lui come a “pane vivo disceso dal cielo” introduce nella vita, perché introduce nella relazione che unisce il Padre al Figlio.

Il discorso è già impegnativo e non facile da cogliere. Ma Gesù incalza ancora, dando all’immagine del pane vivo che i credenti assumono per riceverne la vita, una nuova consistenza, che si fa sempre più difficile da comprendere: il pane “che è” il Figlio, diventa la carne “del” Figlio. Carne che è necessario mangiare, che tutti sono invitati a mangiare, per ricevere la vita: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (v. 51).

Di qui in avanti la prospettiva futura, incentrata sulla passione del Figlio dell’uomo e sull’eucaristia, si fa sempre più evidente, prendendo decisamente il posto di quella passata, rivolta all’esodo dall’Egitto. Siamo qui allo snodo principale del discorso, che prepara allo sviluppo decisivo che Gesù offrirà ai suoi interlocutori nei versetti seguenti.


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