Smettere di affermare sé stessi
13 agosto 2025
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 16,24-28 (Lezionario di Bose)
In quel tempo 24Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni. 28In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell'uomo con il suo regno».
“Se uno vuole venire dietro a me…”. C’è una volontà che viene anzitutto messa in campo in queste parole di Gesù. Un desiderio. Il desiderio personale non è certo l’ultima parola per il discepolo né forse la più importante, ma è essenziale che un desiderio ci sia, per quanto confuso e indistinto. All’inizio di ogni cammino di sequela non c’è una necessità, una costrizione, e neppure una fuga o un bisogno di compensare una propria mancanza di personalità, ma deve esserci (almeno in germe) un desiderio: un fuoco, una fame, una sete (cf. Gv 7,27: “Chi ha sete venga a me e beva!”). Laddove questo desiderio libero di seguirlo c’è, almeno in germe, Gesù pone altre due condizioni per la sequela, che poi spiega con un detto proverbiale.
Le due condizioni sono: il “rinnegare sé stessi” e il “prendere la croce”. Parto dalla seconda. “Prendere la propria croce” è un’espressione molto nota, e come sempre potremmo essere tentati di credere di saper già cosa significa. Ma si tratta di intenderla con cautela, perché su di essa si sono fondati tanti eccessi nella storia della spiritualità cristiana. Non è certo un’espressione di autolesionismo, di dolorismo o di rassegnazione, quasi che la sofferenza e il dolore fossero cose da ricercare per sé stesse. Piuttosto, per il discepolo “prendere la croce” significa esser disposto a seguire il maestro dovunque egli vada (cf. Ap 14,4),partecipando alla sua vita, operando le sue scelte, condividendo il suo destino,fino in fondo.
Il cristiano, in quanto ha fatto propria la vita di Gesù, il Giusto (cf. Lc 23,27), e il suo stile di amore radicale, ovvero lostile di chi è disposto a lasciarsi crocifiggere invece di crocifiggere, è chiamato semplicemente a sopportare le conseguenze delle sue opzioni fondamentali. In questo senso, non è certo questione di “inventarsi” una croce. Si tratta piuttosto di “prendere”, meglio accettare, quella che ci è assegnata dalla vita, e ciascuno ha la propria. Per ciascuno vorrà dire non sottrarsi alle proprie responsabilità umane e cristiane, a costo di subire incomprensione, ingiustizia o violenza, soprattutto in quelle circostanze in cui il sottrarsi ad esse magari può significare esercitarle su altri.
Ma ciò che nella vita cristiana è forse ancora più fondamentale del “prendere la croce”, è l’atto che Gesù descrive con l’espressione “rinnegare se stessi”, ossia smettere di affermare sé stessi, una volta per tutte (il verbo è espresso all’aoristo e indica un’azione puntuale), smettere di conoscere solo sé stessi, di porre sé stessi al centro, come ultimo criterio. Perché solo chi smette di conoscere sé stesso, in questo senso, conosce Cristo, può cogliersi “in Cristo”, ritrovarsi in lui come nel proprio centro vitale (cf. Gal 2,20-21). Chi conosce innanzitutto se stesso, come punto di partenza, finisce per rinnegare Gesù, come fa Pietro quando dice: “Non conosco quell’uomo!” (Mc 26,74). E si noti come il verbo qui usato per dire “rinneghi se stesso” è proprio lo stesso che ritroviamo nella predizione del rinnegamento di Pietro: “prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte” (Mt 26,34).
Senza contestare certo che possa esistere una buona e sana “conoscenza di sé” (un esercizio spirituale che fin dall’antichità è all’origine della filosofia e che ha una lunga tradizione anche in ambito patristico e monastico) e di un buon “amore di sé”, che è non solo ammesso, ma necessario e indispensabile anche nella vita cristiana – il vangelo ci ricorda però in maniera netta e chiara una semplice verità: che la sequela e quindi il cammino spirituale cristiano iniziano solo nel momento in cui iniziamo a distogliere lo sguardo da noi stessi per fissarlo sul Signore. Non prima.
fratel Luigi