Chi è senza peccato?
19 maggio 2025
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 7,40-53
In quel tempo1 Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».
Il brano di oggi è ritenuto da molti esegeti un’inserzione posteriore nel testo giovanneo, che interrompe l’unità dei capp. 7-8; è omesso del resto nei codici più antichi. Ma quale che sia la sua origine, questo racconto ci offre un’istantanea che ha tutti i tratti dell’autenticità gesuana. E dopo tutto non ci è difficile intuire i motivi della sua travagliata vicenda editoriale: il messaggio che trasmette è talmente radicale, talmente contrario alla mentalità dell’uomo religioso, che anche i cristiani hanno fatto fatica ad accettarlo.
Chi però ha inserito il brano nel punto in cui si trova oggi, voleva forse suggerire che al cuore del confronto serrato tra i farisei e Gesù, che occupa i capitoli 7-8, c’era l’immagine di Dio. Gesù annuncia un Dio di amore e di misericordia, e i farisei, increduli, lo tentano proprio a partire da quell’immagine, insinuando in lui dubbi circa l’onnipotenza e la purezza di tale amore. Come se dicessero: “Ma il Dio che tu chiami “Padre”, che pretendi essere lo stesso Dio delle Scritture, è davvero tanto buono come dici? Mosè nella Legge che ci ha dato a nome di Dio ha ordinato di lapidare donne adultere come questa: come la mettiamo allora con il tuo Dio?”. Espressa o no con simili parole, una sfida come questa si ripete tante volte nella vita di Gesù (fin sotto la croce, quando i capi lo deridono proprio a causa di quel Dio buono che lo abbandona: cf. Mt 27,43): è solo un tranello per mettere Gesù in difficoltà e obbligarlo a riconoscere che la misericordia del Padre che egli annuncia continuamente, in fondo non è così assoluta, non è così incondizionata...
Ma Gesù non cede, non ritratta nulla di quel che ha detto; e questa volta non entra neppure nel dibattito specifico, piegandosi a rispondere nel merito, circa l’interpretazione del testo biblico, come pure fa altre volte (ad es. in Mt 19,3-8; 22,23-33). Adesso si limita confermare incondizionatamente il volto di misericordia del Padre. Senza lunghi discorsi. L’amore e la misericordia di Dio non sono per lui concetti astratti di cui disquisire a parole. Sono realtà da sperimentare, da accogliere, da vivere. Tutta la persona e la sua vita ne sono penetrate.
Chinandosi e mettendosi a scrivere per terra col dito, con calma studiata, Gesù sembra compiere un gesto diversivo, incurante della foga con cui i suoi interlocutori pretendono da lui una risposta. Forse vuole invitarli a cambiare sguardo, a guardare alla persona che hanno di fronte da una prospettiva diversa, “dal basso”. Ma soprattutto interrompe il flusso delle loro parole gridate e fa intervenire un lungo e solenne silenzio che li richiama all’attenzione, alla riflessione, al rispetto del mistero di quel Dio di cui essi troppo facilmente si proclamano interpreti, senza davvero conoscerlo.
E da quel profondo silenzio nasce una parola nuova, di un altro ordine rispetto alle parole udite fin qui: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei”. Un’affermazione che in realtà cela una domanda: chi può dire di essere senza peccato? E richiama ciascuno alla propria coscienza, alla propria intima verità, e insieme all’autentico “timore” di fronte a un Dio che con il suo sguardo “scruta la mente e saggia i cuori” (Ger 17,10) e tutto vede al di là delle apparenze, anche i peccati nascosti agli occhi umani, ma che pure pazienta e non condanna... Davanti a quello sguardo penetrante, evocato con tanta discrezione da Gesù, forse per un attimo, i suoi interlocutori si sentono attraversati da un brivido, chi sa. Fatto sta che all’istante lasciano cadere le pietre già raccolte per lapidare la donna e si defilano tutti in silenzio, a partire dai più vecchi – evidentemente quelli che hanno sulla coscienza un maggior numero di peccati.
Davanti alla donna resta solo Gesù, l’unico davvero senza peccato, che teoricamente potrebbe ancora scagliare una pietra contro di lei. Ma Gesù si affretta a rassicurarla e a congedarla con una parola autorevole, pronunciata di nuovo dal silenzio, a nome di quel Padre delle misericordie che ha rimesso ogni giudizio in mano al Figlio (cf. Gv 5,22): “Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più!”. E mentre restituisce alla donna tutta la sua dignità, apre di fronte a lei un nuovo cammino di libertà e di verità.
fratel Luigi