Crediamo all’amore?
28 aprile 2025
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 1,1-21
In quel tempo 1 vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. 2Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». 3Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio».
4Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. 7Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall'alto. 8Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
9Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». 10Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro d'Israele e non conosci queste cose? 11In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. 12Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? 13Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. 14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.
19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Ecco il dialogo tra Gesù e Nicodemo, dialogo che si svolge nella continua contrapposizione tra la rivelazione di Gesù e l’incapacità di comprendere di Nicodemo. Dialogo notturno, dell’oscurità della fede. Perché Nicodemo cerca la fede a partire dai “segni” compiuti da Gesù (v. 2), Gesù cerca invece di portarlo su un piano diverso del credere: il “segno” cui credere è il dono del Figlio sulla croce, segno dell’amore incondizionato di Dio (vv. 14-15).
E la forma che assume l’amore di Dio è il dono del Figlio: Gesù è la narrazione di Dio (Gv 1,18), narrazione che dall’incarnazione alla Pasqua ripete incessantemente l’unico messaggio: Dio ci ama!
Paolo in Gal 2,20 esprime una coscienza fortissima di questo amore: “Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me”.
Ma possiamo chiederci: noi crediamo a questo amore? Crediamo che la nostra vita personale è creata e custodita da questo amore? O crediamo di più alla nostra paura di essere abbandonati? Giovanni Moioli afferma che il diventare credenti è la nostra prima croce: credere all’amore come realtà ultima, definitiva su di noi non è spontaneo; spontaneo è il dubbio, è la paura dell’abbandono, del non senso, della non amabilità intrinseca.
Ma ecco la buona notizia: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto”. Non c’è nulla della nostra vita che non sia sotto la custodia attenta del Signore: “Il Signore è il tuo custode (…) ti custodirà da ogni male: egli custodirà la tua vita” (Sal 121). E vivere la vita sapendola custodita è un altro modo di viverla…
Al v. 16 per la prima volta nel vangelo di Giovanni compare il verbo “amare” (agapao), e compare come un fatto già accaduto: Dio ha già amato, ha fatto questa scelta una volta per tutte, e l’ha fatta nei confronti di tutto ciò che è creato, il “mondo” (non solo la chiesa, la mia comunità, la mia cerchia, ma tutto e tutti), lo ha fatto nei confronti di tutto ciò che di per sé non è detto sia “amabile”, ma Dio lo rende amabile, lo rende bello e buono proprio amando.
E tuttavia compare in scena anche un altro possibile amore (sempre uso del verbo agapao): “gli uomini hanno amato più le tenebre della luce” (v. 19). C’è la possibilità concreta, di fronte ad un amore assoluto e volto al bene, di rispondere con un amore deviato e volto al male. C’è la possibilità di arrivare a scegliere, a prediligere la tenebra alla luce. Si può arrivare a rifiutare la luce, ad esserne perfino insofferenti, perché ci “svela” ciò che non vogliamo sia svelato: ciò che siamo e ciò che operiamo.
A questa nota cupa rispondono però le parole che Gesù ha pronunciato alla vigilia della passione “Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Le nostre tenebre, che tanto ci attirano e ci seducono sono vinte, solo ci è chiesto di guardare alla croce, all’Innalzato (v.14), di aderire a Cristo lì sulla croce, con ciò che siamo, con il nostro peccato, la nostra angoscia, l’incapacità di pentirci, perché è lui il nostro pentimento, la nostra purificazione, la nostra possibilità di rigettare le tenebre.
sorella AnnaChiara