La luce della Parola
Mc 4,21-25
In quel tempo Gesù 21diceva: «Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? 22Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. 23Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
24Diceva loro: «Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. 25Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».
Perché un seme possa sviluppare la sua potenzialità di dare frutto, occorre che trovi un terreno fertile, un terreno bello come dice l’evangelo (Mc 4,8). Gesù, con questa immagine del seme annuncia la Parola, semina la Parola di Dio nel cuore degli umani (Mc 4,14). Tutti quelli che ascoltano e accolgono la Parola di vita nel terreno buono del loro cuore hanno, poi, la responsabilità di diventare a loro volta seminatori, ovvero testimoni.
Di questo parla il brano evangelico odierno con un’altra immagine: la Parola come lampada. La luce è il primo frutto della Parola di Dio: “La tua parola è lampada ai miei passi, luce sul mio sentiero”, riconosce il salmista (Ps 119,105). Per cui Gesù può annunciare: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,13).
Ascolto e accoglienza, insieme, sono necessari per permettere alla Parola di illuminare il nostro come altrui cammino di vita. Nel caso contrario la luce rischia di essere sepolta sotto il moggio. È importante, invece, che la lampada venga “messa sul candelabro” (v. 21), perché “risplenda per tutti quelli che sono nella casa”, come esplicita l’evangelista Matteo (Mt 5,15).
Ascoltare e accogliere la Parola permette non solo a noi, ma a tutti, di ricevere il beneficio della sua luce. Infatti, c’è una “cosa nascosta che deve essere portata alla luce” e un “segreto che deve essere manifestato” (v. 22). Che cosa significa?
L’apostolo Paolo, in due occasioni, scrive del “mistero nascosto che deve essere rivelato” (Ef 1,9 ss; Col 1,26 ss). Paolo intende il mistero di Cristo – il Signore morto e risorto – nel quale abbiamo “ricevuto la libertà di accedere a Dio mediante la fede/fiducia in lui” (cfr. Ef. 3,12).
E dice Gesù ancora nel brano evangelico di oggi: “Fate attenzione a quello che ascoltate” (v. 24). È essenziale che insieme all’ascolto ci sia l’accoglienza, l’interiorizzazione, della Parola. Tuttavia, è altrettanto importante che tra l’uno e l’altro ci sia quell'esercizio che chiamiamo il discernimento, dato che l’accoglienza della parola di Dio non deve essere generale e generico. Nelle tante parole che ascoltiamo, occorre discernere quella che Dio ci indirizza nell’oggi. Il discernimento è come un secondo ascolto, curato e profondo, guidato dallo Spirito di Dio. Per prima cosa, deve tener conto che la voce di Dio è come “il sussurro di una brezza leggera” (1Re 19,12). Poi, occorre cercare di riconoscere la Parola precisa che Dio vuole comunicarci nel qui e ora. Solo così è possibile metterla in pratica concretamente e produrre “il frutto per la vita eterna” (Gv 4,36).
Quanto spazio dare a questo esercizio dell’ascolto e dell’accoglienza della Parola? Scrive l’evangelista: “Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più” (v.24). Lo spazio che diamo alla Parola di Dio è la possibilità che le accordiamo di fruttificare: “chi trenta, chi sessanta, chi cento per uno” (Mc 4,20). Ricevuto lo spazio e la cura, la parola cresce da sé. E dalla parabola dei talenti (Mt 25,14-30) impariamo, che Dio moltiplica i frutti per chi s’impegna senza pigrizia. D’altra parte, la pigrizia, la pusillanimità, la paura rendono infruttuoso il dono di Dio.
sorella Alice