L’autorità divina e la ricerca della verità
3 dicembre 2024
Mt 21, 23-27
In quel tempo 23 Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?». 24Gesù rispose loro: «Anch'io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch'io vi dirò con quale autorità faccio questo. 25Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: «Dal cielo», ci risponderà: «Perché allora non gli avete creduto?». 26Se diciamo: «Dagli uomini», abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta». 27Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch'egli disse loro: «Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose».
Alla vigilia della Pasqua, dopo l'ingresso trionfale a Gerusalemme, dove fu accolto come Messia (Mt 21,1-11), e dopo i gesti profetici come la cacciata dei mercanti dal Tempio (Mt 21,12-13), Gesù affronta i capi religiosi in questo luogo sacro, simbolo della presenza di Dio e della storia d'Israele. Di fronte alla loro domanda: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» (Mt 21,23), emerge una profonda tensione. Non è una ricerca sincera della verità, ma la difesa di un sistema religioso rigido, che teme di perdere il controllo sulla folla e vede in Gesù una minaccia al proprio potere.
Gesù, invece di rispondere direttamente, li sfida con una contro-domanda: «Il battesimo di Giovanni, da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?» (Mt 21,25). Questo interrogativo non è casuale. Giovanni Battista aveva preparato la via al Messia, chiamando alla conversione e indicando Gesù come «l’Agnello di Dio» (Gv 1,29). Riconoscere il battesimo di Giovanni significava accettare l'autorità di Gesù, un’autorità che non si impone con la forza, ma si dona con amore e servizio. I capi religiosi, legati al formalismo e al controllo, scelgono il silenzio, rivelando cuori chiusi e incapaci di accogliere la novità di Dio. Come profetizzava Isaia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» (Is 29,13).
Gesù propone un’autorità completamente nuova. Non è quella che domina o cerca il prestigio, ma quella che si fonda sull’umiltà e sull’obbedienza al disegno divino. È un’autorità che solleva, illumina e invita a una relazione autentica con Dio. Questo modello interpella anche noi credenti di oggi. Viviamo in un mondo frammentato, tra relativismo e ricerca di sicurezze. Rischiamo di ridurre la fede a un insieme di riti e abitudini, dimenticando che la fede è prima di tutto un incontro personale e trasformante con Dio.
La scena del Tempio è un invito alla riflessione: siamo disposti a lasciarci interrogare da Dio, accettando di mettere in discussione le nostre certezze? Oppure, come i capi religiosi, rimaniamo intrappolati in sistemi di potere e controllo? La fede autentica non è statica, ma dinamica, sempre in movimento verso una comprensione più profonda e un amore più grande. È un cammino che richiede apertura e disponibilità a cambiare, a crescere, e il coraggio di lasciarsi trasfigurare dalla parola di Dio.
Oggi, come allora, possiamo scegliere: chiuderci nelle nostre paure, resistendo al vangelo, oppure aprirci alla fede, capace di abbracciare la vita con speranza e amore. Accogliere la verità divina significa lasciare che trasformi non solo il nostro cuore, ma anche le nostre scelte quotidiane. È un cammino che richiede coraggio, ma che dona la gioia vera e ci libera da ogni forma di oppressione. Questa libertà sfida le nostre certezze e illumina il senso ultimo dell’esistenza.
sorella Mónica