Con umile amore

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11 ottobre 2024

Dal Vangelo secondo giovanni - Gv 21,15-22 (Lezionario di Bose)

In quel tempo15quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi». 20Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». 21Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». 22Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi».


 

Nel brano di vangelo che oggi leggiamo nella memoria di papa Giovanni XXIII, assistiamo al dialogo tra Gesù risorto e l’apostolo Pietro. In realtà si tratta della ripresa di un dialogo interrotto nell’ultima cena, quando Pietro con sicurezza un po’ arrogante, a Gesù che gli diceva: “Dove vado ora tu non puoi seguirmi, ma mi seguirai più tardi”, aveva risposto: “Signore perché non posso seguirti: io darò la mia vita per te!” (Gv 13,37). E Gesù gli aveva preannunciato il triplice rinnegamento. Pietro, imbarazzato, non aveva più saputo cosa rispondere a Gesù, e in seguito, dopo un primo timido tentativo di seguire Gesù nel buio della sua passione, lo aveva abbandonato al suo destino rinnegandolo per tre volte. 

Qui è come se Gesù risorto, senza ricordargli il suo peccato, con affetto e anche un po’ di ironia offrisse ancora a Pietro la possibilità di dichiarare il suo amore, per tre volte, come per tre volte aveva rinnegato. È come se dicesse: “E allora, Pietro, dopo quel che è successo sei ancora convinto di dare la tua vita per me?”. Sei davvero convinto di essere capace di quell’amore di cui non ne esiste uno più grande: “dare la vita per gli amici”? 

E Pietro, consapevole ormai della sua debolezza e del suo peccato, ammette di non essere in grado di vera agápe, di “amore totale”. Può essere solo capace di “amicizia” per Gesù, di un semplice “volergli bene” (gr. philein). E così Gesù, nella sua terza domanda, scende al livello di Pietro e non gli chiede più un amore totale, ma un semplice amore umano. 

In questo modo delicato vuol far capire a Pietro che il vero amore del discepolo è umile e non tollera alcuna autoaffermazione, magari con la pretesa di far meglio e più degli altri. Il vero amore non viene da noi: solo il Signore può farlo nascere in noi. È sufficiente che noi predisponiamo le nostre vite per accogliere l’amore del Signore ed egli farà del nostro povero amore umano, sempre fallibile e sempre imperfetto e limitato, un amore totale, capace anche di quella dedizione “fino alla fine” (eis télos, Gv 13,1). 

E infatti qui Gesù conferma che Pietro arriverà davvero a “dare la vita”, e la darà nell’esercizio del suo ministero di pastore, per nutrire e guidare il gregge degli agnelli e delle pecore che gli sono state affidate. Come il vero e unico “pastore buono” egli darà la vita per le pecore (cf. Gv 10,11), ma questo sarà espressione di una sequela umile e quotidiana, in cui tante volte sarà chiamato a lasciarsi condurre “dove non vuole”. Il martirio che subirà sarà un atto di estrema obbedienza e umanamente apparirà un fallimento (proprio come la croce di Gesù), tutt’altro che un atto di eroismo trionfale di cui potrà compiacersi. 

Ogni ministero di presidenza e di responsabilità nella chiesa e nella comunità cristiana o rimane al contempo anche sequela, con tutto ciò che significa in termini di rinnegamento di sé e assunzione della propria croce, oppure è sempre a rischio. Nella comunità cristiana Gesù rimane l’unico Signore, l’unico maestro e l’unico pastore. Chi svolge un ministero ha certamente il dovere di imitarne le funzioni di servo dei fratelli, ma con la coscienza dei propri limiti umani. Egli resta un uomo, un fratello accanto a fratelli e sorelle, non qualcuno che si erge al di sopra degli altri come autorità che giudica e impone un potere o come un modello da seguire e da imitare. 

fratel Luigi