La “tarantola” del giudizio

Davide Benati
Davide Benati

29 aprile 2024

Gv 8,1-11

In quel tempo 1 Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».


Ci sono quattro “personaggi” che vengono messi in causa in questa pericope: la donna, gli scribi e farisei, la Torà e Gesù. 

Guardiamo la donna: una donna viene portata in mezzo. È accerchiata dai suoi accusatori. Essi vedono la sua colpa. La donna è identificata con il suo peccato. Il peccato conta più della donna. Sta scritto: “Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra”. Scrive nella polvere, ai piedi della donna. Non si erge in piedi a giudice, accoglie la donna in silenzio poi le dice: “Va e d’ora in poi, non peccare più.” Gesù riconosce il suo peccato, ma tocca col dito la polvere come a ricordare a tutti da dove veniamo e dove torniamo. Ricorda con il suo silenzio la condizione creaturale che ci accomuna tutti, un ricordo che dovrebbe darci la misura della precarietà della nostra vita insieme alla sua bellezza straordinaria. Lui si è abbassato a terra: questa condizione di abbassamento l’ha assunta in nome dell’amore del Dio della Torah, per salvare i peccatori, per rendere a questa donna la sua dignità, una dignità svergognata da uomini pii impietosi. 

Guardiamo gli scribi e farisei. Gesù, si erge in piedi davanti agli accusatori: “Chi di voi è senza peccato?”. Assume il ruolo di giudice ma non li accusa, li chiama a fare luce e di fatto si china di nuovo. Come per la donna, ricorda loro la loro condizione di creature nate dalla polvere. Questi hanno voluto che Gesù facesse il giudice della donna per prenderlo in fallo, per poter condannare lui: la loro insidia si rivela essere un boomerang, il loro giudizio di condanna cerca di colpire Gesù, la donna essendo solo un pretesto, ma si ritorce contro di loro. Dietrich Bonhoeffer dice che perde ogni luce dello Spirito Santo chi rimane ingabbiato nella rete, nella ragnatela della tarantola del giudizio, del rancore, dell’odio: non ha più vita in sé, perde i doni dello Spirito Santo. E Gesù li chiama con rispetto a non perdere la luce dell’insegnamento della Torah, e non si difende. Anche la Torah è chiamata in causa: “Mosè nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa” (cf. Lv 20,10).

Gesù legge la Torah secondo lo spirito e non secondo la lettera, come una chiamata per la vita e non come un comando che implicherebbe una condanna. La Legge proclama: “Siate santi perché io il Signore vostro Dio, sono santo”. Santo non ha un valore morale ma un valore esistenziale. È la chiamata di Dio che ci invita a separarci (santo= "separato"), a mettere una distanza tra noi e le nostre pulsioni e emozioni, a convertirle con la potenza dello Spirito. Lo scopo della Legge è di imparare ad amare il Signore (cf. Dt 6,4) e il prossimo: “Amerai il prossimo come te stesso, io sono il Signore” si legge nel Levitico (cf. Lv 19,18) sapendo che il giudizio appartiene solo al Signore: “Io sono il Signore”.

Guardiamo Gesù: è messo alle strette dal peccato e dalla sofferenza della donna, la chiama alla sua responsabilità. “Va e non peccare più”, dice, e le rende la sua dignità, perdonandola. È messo alle strette da scribi e farisei, non nega il giudizio della Torah, ma a questo punto mostra loro che il giudizio vale per tutti: “Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi” (Mt7,1). 

Gesù ci insegna come amare il prossimo qualunque sia il suo peccato, senza condannarlo.

sorella Sylvie