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10 dicembre

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THOMAS MERTON
THOMAS MERTON

Thomas Merton (1915-1968)
monaco

La sera del 10 dicembre 1968 muore a Bangkok, folgorato da un ventilatore difettoso, Thomas Merton, monaco trappista dell'abbazia statunitense del Gethsemani. Si concludeva così in modo banale e casuale un itinerario umano e spirituale che mai era stato contrassegnato dal caso e dalla superficialità. Merton era nato nel 1915 a Prades, nei Pirenei francesi, da genitori protestanti, il padre di nazionalità neozelandese e la madre americana. Abituato alla solitudine dalla precoce morte della madre e dalle frequenti assenze del padre, Thomas avvertì in modo sempre più evidente la sensazione di essere uno straniero in mezzo ai suoi coetanei. Compiuti gli studi in Inghilterra, alla morte del padre Merton si trasferì in America presso la Columbia University, dove cercò di trasporre i frutti del suo travagliato pellegrinaggio interiore nell'insegnamento della letteratura e nella composizione di opere letterarie. Ma sarà soltanto nell'incontro con il cristianesimo, e nell'accoglienza della vocazione monastica avvenuta solo tre anni dopo aver ricevuto il battesimo, che Thomas troverà la forma di vita capace di dare radici e ali al suo amore per la solitudine. Divenuto trappista, dopo più di dieci anni trascorsi nel nascondimento Merton si ritrovò all'improvviso a essere considerato un simbolo della vita contemplativa a motivo della sua autobiografia spirituale, La montagna dalle sette balze, che lo fece conoscere in tutto il mondo. Poco incline però ad accogliere la celebrità piovutagli addosso, egli visse gli ultimi anni della sua vita come eremita, diventando capace di dilatare il proprio cuore, nella sua crescente solitudine, fino a testimoniare compassione e sollecitudine per ogni sofferenza umana. Le mura del suo eremo erano così divenute lo spazio in cui custodire ogni fratello abbattendo nella preghiera e con la forza dell'interiorità i muri più profondi che separano gli uomini.


TRACCE DI LETTURA

Credo che il cristiano sia uno che sacrifica la mezza verità per la salvezza della verità intera, che abbandona un concetto incompleto e imperfetto di vita per una vita integrale, unificata e strutturalmente compiuta. L'entrare in questo genere di vita non è la fine del viaggio, ma solo l'inizio. Poi viene un grande viaggio: un'esplorazione angosciosa e talvolta pericolosa. Tra tutti i cristiani il monaco è, o almeno dovrebbe essere, il più esperto di tali esploratori. Il suo viaggio lo conduce attraverso deserti e paradisi per i quali non esiste mappa. Vive in strane aree di solitudine, di svuotamento, di gioia, di perplessità e di stupore.
(T. Merton, Un vivere alternativo)

È compito del monaco tener viva nel mondo moderno l'esperienza contemplativa e mantenere aperta per l'uomo tecnologico dei nostri giorni la possibilità di recuperare l'integrità della sua interiorità più profonda.
(T. Merton, Diario asiatico)

Se vogliamo vivere da monaci, dobbiamo tentare di capire cosa sia effettivamente la vita monastica. Dobbiamo tentare di raggiungere le fonti da cui scaturisce la vita. Dobbiamo conoscere le nostre radici spirituali, per poterle affondare più profondamente nel terreno.
Ma la vocazione monastica è un mistero. Non può quindi essere esaurientemente espressa in una formula chiara e concisa. È un dono di Dio e non la comprendiamo appena la riceviamo, poiché tutti i doni di Dio, specialmente quelli spirituali, hanno in sé qualcosa della sua intimità e del suo mistero. Dio si rivelerà a noi nel dono della nostra vocazione, ma lo farà con gradualità.
(T. Merton, Un vivere alternativo)


12 10 barthKarl Barth (1886-1968)
pastore riformato

Il 10 dicembre del 1968 conclude la sua parabola terrena Karl Barth, pastore della Chiesa riformata svizzera e teologo fra i più grandi del XX secolo. Nato a Basilea nel 1886, dopo gli studi a Berna, a Berlino, a Tubinga e a Marburgo, Barth divenne pastore a Ginevra e poi a Safenwil, in Argovia. Dapprima fortemente impegnato nelle questioni sociali, sino ad aderire e a partecipare attivamente ai lavori del partito socialista, di fronte all'avanzata nazista fu tra i principali animatori della Chiesa confessante di Germania. Esiliato all'università di Basilea nel 1935, Barth si dedicherà sino alla fine dei suoi giorni alla stesura della sua colossale Dogmatica ecclesiale. Frutto di una concreta sollecitudine per l'annuncio del vangelo, la teologia di Barth fu, nella scia di Anselmo e di Kierkegaard, un tentativo di spiegazione della fede a partire dall'esperienza della fede. Barth era infatti convinto che l'annuncio cristiano non nasce in risposta alle ansie dell'uomo, ma nasce piuttosto dall'ascolto di un Dio che è il centro irradiante della teologia: è Dio, in Cristo, ad avere l'iniziativa nel dialogo con l'uomo. Ma proprio perché rivelatasi in Cristo, l'iniziativa di Dio implica già l'uomo nella sua vocazione e totalità: sarà il tema delle sue grandi conferenze del 1956 dedicate all'«umanità di Dio». Mosso da queste convinzioni, Barth continuò a predicare, come compimento dell'ascolto obbediente che l'uomo deve prestare a Dio, la necessità sia di un impegno volto a ricucire l'unità fra le chiese di Cristo, sia di una lotta a favore di ogni uomo vittima del peccato, dell'ingiustizia e della violenza. Alla sua morte, cristiani di ogni chiesa e di ogni continente vollero testimoniargli, accorrendo numerosi alle sue esequie, la loro riconoscenza per la testimonianza che egli aveva reso al Signore con tutta la sua vita.


TRACCE DI LETTURA

In passato, non ci sfuggiva forse proprio questo fatto, che la divinità del Dio vivente - e con lui volevamo certo aver a che fare - ha il suo senso e la sua forza soltanto nel contesto della sua storia e del suo dialogo con l'uomo e quindi nel suo essere insieme a lui? Sì, certo; e questo è il punto oltre il quale non è più permesso tirarsi indietro: si tratta dell'essere-insieme di Dio con l'uomo, il che è da Dio sovranamente costituito in Se stesso e solo da Lui determinato, delimitato, ordinato. Così e non altrimenti, in quel contesto, è avvenimento ed è percepibile. Si tratta però dell'essere insieme di Dio con l'uomo. Chi sia e quale Egli sia nella sua divinità, Dio non rivela nello spazio vuoto di un divino essere-per-sé, ma, autenticamente, proprio in quanto Egli esiste, parla e agisce come partner - certo, un partner assolutamente superiore - dell'uomo. Colui che compie questo è il Dio vivente. E la libertà nella quale Egli fa questo è la sua divinità. Essa è la divinità che come tale ha anche il carattere dell'umanità. In questa forma e in essa sola era ed è da contrapporsi l'affermazione della divinità di Dio alla teologia del passato: accogliendo in modo positivo, non rifiutando avventatamente la particella di vero che non le si può contestare, se anche si scruti fino in fondo la sua debolezza. Proprio la divinità di Dio, ben compresa, include la sua umanità.
(K. Barth, L'umanità di Dio)


LE CHIESE RICORDANO...

CATTOLICI D'OCCIDENTE:
Eulalia di Mérida (III-IV sec.), vergine e martire (calendario mozarabico)

COPTI ED ETIOPICI (1 kiyahk/tāḫśāś):
Elia (IX sec. a.C.), profeta
Pietro d'Edessa (?), vescovo di Gaza (Chiesa copto-ortodossa)
Clemente (I-II sec.), vescovo di Roma (Chiesa copto-cattolica)

LUTERANI:
Heinrich Zütphen (+ 1691), testimone fino al sangue in Dithmarschen

MARONITI:
Mena e i suoi compagni (+ ca 313), martiri

ORTODOSSI E GRECO-CATTOLICI:
Mena, Ermogene ed Eugrafo, martiri

SIRO-OCCIDENTALI:
Filosseno di Mabbug (+ 523), vescovo
Behnām e Sārah di Persia (IV sec.), martiri