Non tollerare che Cristo sia nudo!
Il “mio” e il “tuo” non sono altro che parole prive di fondamento reale. Se dici che la casa è tua, dici parole inconsistenti perché l’aria, la terra, la materia sono del Creatore, come pure tu che l’hai costruita, e così tutto il resto (Giovanni Crisostomo).
La perentorietà di queste parole è tale che ci riesce quasi impossibile prenderle sul serio … Che significano quelle parole? Non un puro fatto ma un diritto … Dio non ha forza, non ha astuzia, non ha seduzione da esercitare dentro la storia. Ha soltanto la parola: quella parola che, a proposito delle cose, dice: “La terra è mia” (Lv 25,23); “Del Signore è la terra e quanto contiene / l’universo e i suoi abitanti” (Sal 24,1). Ma questa parola è creatrice di una realtà che è l’aldilà del mondo dentro il mondo, una realtà oltre tutto l’ordine dei poteri e delle energie: dicendo “è mia” Dio non difende per se stesso l’uso della terra, lui che “abita nei cieli”. Questa nuova realtà è il “diritto”, che nel “mio” inserisce un plusvalore, un significato inedito: una forza al di là di ogni forza, un logos al di là di ogni intelligenza e di ogni tattica … Il “mio” di Dio non è né uso né proprietà, è conferimento di un significato che sta prima e al di là di ogni umano progetto e accessibile solo alla riconoscente accoglienza; di una dignità che preclude ogni presa possessiva ed esige un uso rispettoso e docile …
Questo significa diventare veramente figli di Dio attraverso la nascita spirituale: imitare l’equità di Dio padre seguendo la legge che proviene dal cielo ... Tutto il genere umano deve godere in uguaglianza della bontà e generosità di Dio (Cipriano).
La comunione dei beni non è natura ma libertà responsabile, è vocazione; non una fortunata condizione di partenza ma l’approdo di una scelta, di cui è principio fondatore la parola di Dio in forma di Legge. La generosità di Dio come creatore può diventare stile delle relazioni interumane soltanto in qualità di ... parola che illumina e guida e vincola. Nella creazione Dio è, insieme, l’artista che plasma le cose utili e belle, e il signore che vi pone il sigillo del proprio diritto. Perciò questo diritto non è soltanto il divieto della proprietà umana; è, in positivo, l’appello a condividere la destinazione conviviale che il Creatore ha inscritto nelle cose, a dilatare verso l’“altro” – il prossimo e lo straniero, comunque il povero – l’ospitalità divina in cui ognuno è accolto …
Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non tollerare che egli sia nudo! Dopo averlo arnato in chiesa con stoffe d’oro, non permettere che fuori muoia di freddo perché non ha di che vestirsi (Crisostomo).
… “Avevo fame … l’avete fatto a me” (cf. Mt 25,31-46). Gesù, il Crocifisso risorto, è presente in ognuno in cui la fatica di vivere lasci più profonde e sofferte le sue tracce … Nel Crocifisso risorto viene restaurato il diritto divino sulla creazione, viene ristabilito l’ordine divino nella relazione tra gli uomini e nel loro rapporto con le cose. ... Nella nascosta presenza di Gesù è di nuovo saldata, e in maniera ormai indissolubile, l’unità tra la carne del povero e il diritto di Dio, tra la debolezza dell’implorazione e la potenza della Parola, tra le ferite della storia e il giudizio escatologico. Non solo: accanto alla sua essenziale funzione di reintegrazione, la presenza di Gesù esercita, per chi è stato raggiunto dall’annuncio della sua verità, una funzione di investimento affettivo, che potenzia la vocazione etica coinvolgendovi tutte le energie della persona. Scorgere in ogni affamato o nudo, in ogni ammalato o carcerato o straniero, un “povero Cristo” è innestare sul tronco dell’obbedienza al Signore risorto la compassione verso il Servo ancora crocifisso.
In quel tempo vendevano case e campi e, per assicurarsi i tesori del cielo, offrivano agli apostoli il ricavato della vendita perché fosse distribuito a favore dei poveri. Ora invece non diamo neppure le decime dei nostri beni, e, mentre il Signore ci comanda di vendere, compriamo e moltiplichiamo i nostri averi. Così in noi la fede ha perso il suo vigore (Cipriano).
… A proposito della prima comunità cristiana, a Gerusalemme, Luca scrive che “nessuno era tra loro nel bisogno” perché “nessuno diceva sua proprietà quello che possedeva, ma ogni cosa era fra loro comune” (At 4,32.34) ... Più di un particolare induce a pensare ... che si tratti, invece che di un ideale realizzato, di una realtà idealizzata, per fare delle origini della chiesa l’immagine esemplare in cui ogni generazione dovesse e potesse specchiarsi. Il punto essenziale rimane che quelle origini non sono una perduta età dell’oro a cui guardare con struggente e sterile nostalgia ma il frutto di una conversione della soggettività (“coloro che erano venuti alla fede avevano un cuore solo e un’anima sola”), effetto della forza creatrice dello Spirito e del consentimento ad essa donato.
(da A. Rizzi, “Introduzione”,
in Povertà e condivisione nella chiesa. Antologia biblico-patristica,
a cura della Comunità monastica di Bose, Qiqajon, 2002)