Amore: linfa vitale della riconciliazione
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Nell’uso comune la parola “amore” ha prevalentemente a che fare con sentimenti, con legami emozionali positivi oppure desideri o gusti. Per come viene impiegato nella Bibbia, il termine “amore” ha a che fare prima di tutto con l’agire e la responsabilità, non con le emozioni che provi o con il fatto che qualcuno ti piaccia. Amare è fare ciò che puoi per provvedere al ben-essere di un’altra persona, che quella persona ti piaccia o no. Spiegando l’amore del Padre, Gesù parla non di sentimenti ma di quanto Dio dà e compie: “[Il] Padre vostro che è nei cieli … fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45).
Un atto d’amore può essere animato da un senso di gratitudine e di piacere nei confronti di qualcun altro – ed è meraviglioso quando accade – oppure può essere compiuto malgrado tutto lo sfinimento, la depressione, la paura, l’avversione o la collera; può essere compiuto semplicemente in obbediente risposta all’insegnamento di Cristo; può essere compiuto come una preghiera e una risposta a quel Dio che è il nostro comune Creatore, che ci unisce tutti, a immagine del quale è fatto ciascuno di noi, nel quale siamo fratelli e sorelle, che ha legato indissolubilmente l’amore di Dio all’amore del prossimo.
In ultima analisi, l’amore ha ben poco a che vedere con stati d’animo, affezioni o affinità. “Il nostro compito è di amare gli altri senza fermarci a indagare se ne siano degni o no”, scriveva Thomas Merton: “Non è affar nostro; anzi, di nessuno; noi siamo chiamati ad amare; e sarà semmai questo amore a rendere degni noi e il nostro prossimo”. Divenire anche solo vagamente consapevoli che ogni persona è portatrice dell’immagine divina aiuta ad aprire la porta all’amore. Per Paolo di Tarso i doni più grandi di Dio sono la fede, la speranza e l’amore, e di questi tre il più importante è l’amore. Descrivendo le qualità dell’amore, l’apostolo Paolo non dice nulla a proposito di emozioni, ma solo che l’amore è paziente e gentile, privo di gelosia o millanteria, di arroganza o asprezza, che non insiste per averla vinta, non si rallegra dell’errore ma per ciò che è giusto e che sopporta tutto (cf. 1Cor 13,1-13).
Nel suo amore Gesù ci ha uniti a lui, scrive Paolo alla chiesa che e a Corinto, rendendoci ambasciatori di Cristo, chiamati a intraprendere il ministero di riconciliazione (cf. 2Cor 5,17-20). Ma cos’e la riconciliazione? Una parola utilizzata di rado, nel parlare quotidiano. Significa ripristinare relazioni la cui rottura, come un piatto in frantumi, pareva al di là di ogni possibilità di riparazione. Pensiamo alla guarigione. Riconciliazione è la guarigione delle nostre ferite sociali più profonde, che sia all’interno di un matrimonio incrinato o tra nazioni. Il significato biblico di riconciliazione rimanda a relazioni trasformate nella pace di Dio. La linfa vitale della riconciliazione è l’amore, senza il quale la guarigione di relazioni danneggiate risulta impossibile.
Riconciliazione non è soltanto una parola per descrivere ciò che potrebbe avvenire nel futuro, ma anche una realtà che già esiste, se solo apriamo gli occhi un po’ di più. Persino ora, nonostante tutte le nostre relazioni incrinate, in realtà siamo profondamente interconnessi e interdipendenti. Nessuno di noi potrebbe vivere senza l’aiuto di innumerevoli altri, vicini e lontani, presenti e futuri, amici e oppositori. Tutto quel che abbiamo, non solo le cose materiali ma le nostre parole, idee, abilità, la nostra fede, la musica e le storie che ci danno coraggio, capacità di comprensione e che rinfrancano il cuore, tutto quel che abbiamo ci è stato dato da altri. Siamo parte di un’invisibile pienezza. La nostra unità di fondo, che sussiste al di là di tutte le divisioni, attiene all’essere – ciascuno e ciascuna di noi – portatori dell’immagine divina.
Jim Forest, Amare i nemici