Non si è trovato nessuno?

Foto di Cash Macanaya su Unsplash
Foto di Cash Macanaya su Unsplash

Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».


“Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio all’infuori di questo straniero?” (v. 18). Domanda articolata quella di oggi. Cerchiamo di capire di cosa si tratta.

Il racconto dell’evangelista Luca ci pone in cammino con Gesù. Ecco che vengono incontro a Gesù dieci “lebbrosi”, persone affette da malattie alla pelle che per il pensiero dell’epoca erano considerate “impure”, costrette a stare fuori dai centri abitati, tagliate fuori da ogni tipo di socialità, private di ogni riconoscimento come esseri umani. Costrette a stare lontane dagli altri.

Qui essi osano avvicinarsi a Gesù, a quel maestro itinerante, chiedendo “pietà”. Chiedono di essere guardati, di essere riconosciuti come persone, di poter essere restituiti alla loro dignità, alla loro integrità.

E Gesù li vede. Li vede, li riconosce come persone, non solo come “malati”. E domanda loro di adempiere la Legge: ossia di andare a presentarsi ai sacerdoti che avrebbero dovuto riconoscere la loro guarigione, decretando la loro riammissione all’esistenza normale di relazioni, alla vita.

I dieci vanno, si mettono in cammino facendo fiducia alla sua parola. E lungo il cammino “furono purificati” (v. 14). Nel camminare accade qualcosa che li libera da quell’oppressione.

Eppure dei dieci, segno dell’umanità intera, solo uno “si vede guarito” (v. 15). Solo uno è in grado di guardarsi e riconoscere che qualcosa è avvenuto in lui. E riconosce che questo qualcosa è avvenuto per opera di qualcun altro, di un Altro. Quest’uomo torna indietro per ringraziare Gesù. O meglio, innanzitutto egli torna sui suoi passi “lodando Dio a gran voce” (v. 15), come prima “ad alta voce” (v. 13) tutti insieme si erano rivolti a Gesù.

Dei dieci guariti, solo uno torna indietro a ringraziare. Solo uno riconosce, è consapevole di aver ricevuto una parola che lo ha liberato: la sua guarigione diventa anche salvezza. E salvezza è restituzione alla sua integrità, alla sua interezza. Il suo sguardo è capace di riconoscere il donatore di ogni bene, l’origine del dono della vita. E, come per ogni dono, di ringraziare, di esprimere la sua gratitudine.

Assistiamo a un certo sconcerto di Gesù che si domanda come mai solo uno riconosce questo: e tutti gli altri restano così inconsapevoli? Restano così ripiegati su loro stessi? L’unico che torna da lui è lo straniero, il presunto lontano, diverso?

Forse Gesù pretende di essere ringraziato? No. Gesù rimanda alla possibilità di guardarsi, di leggere su di sé che cosa ci può arrivare da Dio, dagli altri, di cambiare prospettiva girandosi, di riconoscere che tutto è un dono. Di mettersi dunque in un atteggiamento di ringraziamento, attitudine di vita che sa accogliere e riconoscere, e non trattenere. E spesso questo è più facile per chi non ha nulla da perdere, da tenere per sé. E noi dimentichiamo di essere anche noi “stranieri” per gli altri... Ognuno è “altro”, ma può diventare da “estraneo” a “fratello o sorella”.

Certo, la guarigione non necessariamente arriva, lo abbiamo sotto gli occhi quotidianamente, in noi o accanto a noi o lontano da noi. Eppure qualcosa può cambiare: il nostro sguardo. Uno sguardo che può diventare più libero di accogliere, che riconosce che tutto ci è donato, uno sguardo capace di ringraziare, di rendere grazie. E la fonte di ogni grazia è Dio stesso.

Forse è proprio la capacità di ringraziare a essere salvifica, a poterci rendere felici. Non occorre essere felici per essere grati, anzi è vero il contrario: se si è grati si è anche felici. È questione di sguardo. Non necessariamente la realtà cambia, ma il nostro modo di accoglierla e di portarla può essere radicalmente diverso.

Forse questa è la vera salvezza: essere grati, liberi e contenti di quel che c’è, non tristi o rabbiosi per quel che manca. E questo ci rende capaci di amare. Questa è la vera fede, che ci rialza sempre e ci rende abili al cammino pur impervio della vita: la fiducia di essere noi stessi un dono.

E ogni dono è un seme di speranza, e per ogni dono si dice “grazie”.

Siamo consapevoli di questo?






DILLO CON UNA CANZONE

Andrea Parodi & Elena Ledda
GRACIAS A LA VIDA