Entrando in comunità scopriamo per prima cosa la solitudine, ma al tempo stesso scopriamo anche che non siamo più soli grazie alla comunione di chi prima di noi ha camminato sulla via monastica e grazie ai concreti fratelli e sorelle che sono legati in alleanza con noi.
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L’ascolto della parola di Dio, nella liturgia, nella lectio comunitaria, ma particolarmente nella lectio divina personale in cella, è forma quotidiana di sequela di Cristo. Cristo non lo si segue solo nella vita comune e nel celibato, con il servizio fraterno, con la carità, con l’obbedienza, con il lavoro, con l’ospitalità, ma anzitutto con l’assiduità con la parola di Dio che ci dona conoscenza di Cristo e discernimento.
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Per tre volte nella nostra Regola risuona l’invito a non temere e sempre esso significa un atto di fiducia nell’evangelo e nella persona di Gesù Cristo. In particolare nel prologo si chiede di non temere la sofferenza che la vita quotidiana porta con sé e di farne un’occasione di sequela di Cristo.
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La Regola riprende le istruzioni sull’invio in missione dei Dodici da parte di Gesù in Mt 10,16 e chiede al monaco di essere disarmato, inerme, non violento, come pecora tra i lupi: ovvero: le opposizioni ci saranno, le inimicizie sorgeranno, le ostilità si faranno sentire, situazioni conflittuali nasceranno
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