Uno sguardo rinnovato

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Lettera agli amici - Qiqajon di Bose n. 76 - Trasfigurazione 2024

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“Fu trasfigurato davanti a loro” (Mt 17,2). La festa della Trasfigurazione ci pone davanti a questo evento di luce: l’uomo Gesù muta di aspetto al cospetto di tre suoi discepoli e la natura divina che lo abita risplende in tutta la sua pienezza di fronte a esseri umani creati a immagine e somiglianza di Dio. Così è lo sguardo stesso dei discepoli a essere trasfigurato, beneficiando di una luce nuova nella quale contemplare il Figlio dell’Uomo. Uno sguardo nuovo – quello di Pietro, Giacomo e Giovanni al Tabor e quello di ciascuno e ciascuna di noi quando lo alziamo verso il Signore trasfigurato – che abilita a un discernimento altro sulle realtà che ritroviamo ai piedi della montagna, nel nostro quotidiano pellegrinaggio verso la Gerusalemme celeste. Uno sguardo rinnovato e reso chiaroveggente dalla frequentazione della Legge e dei Profeti – presenti attraverso Mosè ed Elia – e dall’ascolto del Figlio amato, come chiede di fare la voce del Padre risuonata sul Tabor.

Se anche noi accettiamo di ascoltare “con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la voce ammonitrice di Dio” e di aprire “gli occhi a quella luce divina” (cf. Regola di Benedetto, Prol 9), ci rendiamo conto di essere parte di una creazione la cui “ardente aspettativa è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio”, una creazione “sottoposta alla caducità” nella speranza di essere “liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”, una creazione che tutta insieme “geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi” (cf. Rm 8,19-22). Una creazione sfigurata che attende la propria trasfigurazione.

Oggi questo sfiguramento ha due nomi ben precisi, due tragiche realtà che accomunano esseri umani, animali, acqua, terra e cielo: la guerra e il cambiamento climatico. Due realtà il cui tragico intreccio cui assistiamo da tempo rende ancor più letali gli effetti di ciascuna. Due realtà prodotte e alimentate costantemente dal comportamento di noi esseri umani, che invece abbiamo ricevuto dal Creatore del cielo e della terra il compito di essere custodi dei nostri fratelli e sorelle in umanità e custodi delle co-creature con le quali ci muoviamo ed esistiamo.

La guerra sfigura l’umanità, ne deturpa il volto. Morti, feriti, mutilati, profughi, famiglie lacerate, scomparsa delle tre condizioni essenziali per una vita degna di questo nome: una terra, una casa, un lavoro. La guerra distrugge le relazioni, la fiducia nell’altro, lo sguardo condiviso verso il futuro: quante generazioni occorreranno prima che i popoli nemici possano ancora parlarsi, vivere gli uni accanto agli altri, avere a cuore insieme il bene comune?

Che essere umano è quello che nel proprio simile, nel prossimo, non riesce a vedere altro che il potenziale assassino di quanto ha di più caro? Che legami si possono tessere con chi ha spezzato i legami vitali intessuti con la propria gente? Che futuro si apre per chi ha vissuto per anni solo con l’angoscia di sopravvivere fino all’indomani?

Ma la guerra sfigura anche la terra, la violenta nelle sue risorse naturali e nelle opere umane che l’avevano coltivata e trasformata in casa comune. La guerra semina ordigni, inquina le acque e le falde, incendia foreste, distrugge raccolti, annienta animali domestici e selvatici. La guerra lacera cammini, distrugge ponti e sventra focolari domestici, rade al suolo scuole e ospedali, cancella piazze, campanili e minareti, sconvolge mercati, forni e pozzi. Come tornare a godere dei frutti della terra e del lavoro umano? Come ricostruire spazi comuni che nascono dalla socialità e la alimentano? Come condividere nuovamente risorse divenute rare o inaccessibili?

A sua volta il cambiamento climatico sfigura il volto del nostro pianeta – la terra, il cielo e il mare – con i suoi animali: siccità e inondazioni, falde acquifere che sprofondano e si seccano, oceani che si innalzano e riscaldano, ghiacciai che si sciolgono e venti che turbinano impazziti... Terre abitabili e fertili, che nutrivano quanti le abitavano come eredi e custodi di un patrimonio ancestrale, diventano fabbriche di monoculture sterili o magazzini di stoccaggio di bestiame ingrassato. Come ascoltare ancora la voce di san Francesco che canta la terra come madre, il sole, il vento e il fuoco come fratelli, la luna, le nuvole, l’acqua e persino la morte come sorelle? Come mantenere viva la missione di Noè che salva e garantisce generatività ad animali di ogni specie?

Ma il clima che non tollera più le nostre violenze e reagisce in base alle proprie leggi sfigura anche il volto dell’umanità: carestie e pandemie, ondate di calore ed eventi atmosferici un tempo eccezionali moltiplicano quotidianamente i morti, che si aggiungono e combinano con le vittime delle guerre e dell’ingiustizia. Gli esuli politici si mescolano così ai migranti climatici, mentre chi ostinatamente cerca di rimanere nella terra dei propri antenati vede l’esistenza ridotta a una strenua e abbrutente lotta per la sopravvivenza.

Può apparire apocalittico questo quadro dalle tinte fosche da fine del mondo. In realtà apocalittico lo è, etimologicamente: è “rivelativo”. Svela dove ci sta conducendo la nostra superbia antropocentrica, mette in luce dove siamo giunti con l’arrogante rifiuto di ripudiare la guerra e costruire la pace, di rispettare il creato e non abusare delle creature, rivela cosa ne abbiamo fatto dei nostri fratelli e sorelle in umanità, della solidarietà umana e della nostra stessa libertà.

Ma l’evento della Trasfigurazione ci ricorda – per quanto possa essere complessa la situazione e possano apparire al di là delle nostre possibilità le soluzioni – che il nostro sguardo può essere mutato e che la grazia del Signore può rendere il nostro occhio capace di vedere come egli stesso vede, con un occhio misericordioso, pieno di benevolenza e compassione. Così potremo vedere il bene per cui ogni essere umano è stato creato, scorgerne la fatica e la pena e muoverci a compassione, come il samaritano sulla strada di Gerico, e soccorrere le vittime, il nostro prossimo: il “più vicino”, colui al quale noi ci avviciniamo o chi si avvicina a noi perché lontano non trova più le condizioni per vivere con dignità accanto ai suoi cari. Uno sguardo rinnovato dal fissare il volto del Figlio di Dio fattosi uomo ci rende capaci di rinnovare il nostro impegno a prenderci cura degli altri, delle relazioni quotidiane, dei nostri comportamenti, del bene comune, del linguaggio stesso, ormai spesso avvelenato dalla menzogna e dall’odio. Così si potrà trasfigurare il mondo di cui siamo ospiti, leggendone i “segni dei tempi” – come esortava a fare papa Giovanni XXIII nella sua ultima, quanto mai attuale enciclica Pacem in terris – consapevoli che nell’era atomica è alienum a ratione, “follia” pensare di ristabilire la giustizia attraverso la guerra. Sì, follia per questo nostro tempo che tanto assomiglia a quello prospettato da Antonio il Grande nel deserto egiziano del iv secolo: “Verrà un tempo in cui gli uomini impazziranno, e al vedere uno che non sia pazzo, gli si avventeranno contro dicendo: ’Tu sei pazzo!’, a motivo della sua dissomiglianza da loro”.

Bose, 11 luglio 2024
Festa di san Benedetto, monaco

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