Sinodalità come scambio di doni

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Lettera agli amici - Qiqajon di Bose n. 73 - Natale 2022 

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Care sorelle e fratelli in Cristo e in umanità,

con la pubblicazione del documento di lavoro per la tappa continentale e il contestuale prolungamento dell’assemblea sinodale in due sessioni da tenersi nell’ottobre 2023 e autunno 2024, il Sinodo dei Vescovi “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione” sta assumendo una dimensione sempre più ampia, che abbraccia non solo l’intera Chiesa cattolica, ma in un certo senso “tutti i battezzati e le battezzate” – a qualunque confessione cristiana appartengano – e, con loro e attraverso di loro, l’umanità intera. Eravamo abituati a che le Assemblee dei sinodi dei vescovi fossero composte, appunto, in massima parte da vescovi e avessero un tema specifico. Ora è l’insieme della Chiesa popolo di Dio a essere investito della responsabilità di una riflessione sinodale e il tema è la sinodalità stessa, cioè il “modo di essere” della Chiesa nella storia, la qualità della sua comunione ad intra e ad extra.

Questo “vivere come fratelli e sorelle insieme” è balsamo che scende dall’alto (cf. Sal 133), è dono di Dio per il suo popolo, per gli esseri umani che egli ama e per la creazione di cui si prende cura. “Essere sulla stessa barca” non è una metafora solo dell’affrontare insieme le acque agitate di un mare ostile, ma anche del condividere le gioie e le speranze del viaggio della vita, del discernere insieme la rotta migliore da seguire per giungere insieme al porto cui insieme ci si era prefissati di approdare.

La dimensione del vivere insieme, propria di ogni comunità cristiana in quanto tale, assume una connotazione particolare per la vita comune nel celibato propria della vita monastica: la “stabilitas in congregatione” (Regola di Bene- detto 4,78), lo stare saldi nel luogo in cui si è stati chiamati e fedeli ai fratelli e alle sorelle chiamati assieme a noi dall’unico Signore, non è frutto delle nostre forze, ma dono di Dio, da accogliere nella gratitudine e da far fruttare nell’autenticità. Qui si gioca la sinodalità nella vita quotidiana e nella progettualità di una comunità monastica: l’ammonimento di Gesù a tutti i suoi discepoli – “tra voi non è così” (Mc 10,43), i rapporti tra voi non sono e non devono mai essere quelli dei “potenti di questo mondo” – risuona con più forza tra persone che non si sono scelte per stare insieme ma che ricevono ogni giorno l’altro come fratello, sorella donatogli dal Signore come custode e, al contempo, come “piccolo” di cui aver cura.

Allora una comunità monastica di fratelli e sorelle di diverse confessioni cristiane come la nostra è chiamata a praticare la sinodalità per restare fedele al triplice dono ricevuto: innanzitutto il tesoro di essere collocata nel solco di quanti, fin dai primi secoli, hanno seguito il Signore nella forma vitae del monachesimo; poi l’opportunità di godere della ricchezza della condivisione di vita quotidiana tra fratelli e sorelle; infine il privilegio di sperimentare l’unità nella diversità fatta anche di tradizioni ecclesiali differenti.

Si tratta allora di porsi ogni giorno in ascolto obbediente di cosa lo Spirito dice – e chiede – alla comunità, a ciascuno dei suoi membri e a tutti e tutte insieme. In un monastero questo ascolto reciproco per camminare insieme ha sì mo- menti istituzionali privilegiati per l’esercizio della sinodalità, come il capitolo comunitario, ma deve diventare prassi quotidiana, modo di essere e di pensare, così da diventare modo di agire e di progettare. Significativamente la nostra regola monastica pone le indicazioni spirituali su come vivere il capitolo comunitario nei paragrafi dedicati all’obbedienza. L’ascolto reciproco tra fratelli e sorelle, infatti, è suscitato dallo Spirito e finalizzato al comune ascolto dello Spirito stesso: obbedire a Dio, alla sua Parola e alla sua volontà significa, per chi vive in una comunità, obbedienza concreta ai fratelli e alle sorelle che nasce dall’ascoltarli e dal dialogare con loro. In questo ascolto obbediente del sentire comunitario prende corpo l’impegno battesimale, proprio di tutti i cristiani, a “obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (cf. At 5,29). Tutta la tradizione monastica è ricca di consigli per favorire la ricerca comune della volontà di Dio in una determinata situazione e in un preciso contesto. E questa sapienza plurisecolare – alla quale si ispira la nostra Regola di Bose – può costituire il dono offerto da monaci e monache al vissuto concreto della sinodalità ecclesiale. Due criteri emergono come fondamentali: il Vangelo come legislazione ultima, “unica norma assoluta e definitiva per la vita del cristiano” e, d’altro canto, “il concorso di tutti i fratelli e le sorelle con i loro rispettivi carismi che non solo edificano la comunità ma la progettano giorno per giorno”. Questo richiede docilità allo Spirito, riconoscimento dei carismi propri dell’altro, disciplina della parola, trasparenza, semplicità, fiducia reciproca.

Sappiamo bene per esperienza quanto queste esigenze siano faticose, quanto sia facile cadere preda delle dinamiche mondane, come sia perfino possibile manipolare il consenso chiamando sinodalità il comodo adeguarsi alla soluzione più gratificante e meno onerosa, o il sottrarsi alla propria responsabilità sotto la parvenza di un’obbedienza che altro non è che delega delle proprie facoltà di discernimento e decisione.

Ma l’invito che risuona alla fine dei paragrafi sull’obbedienza alla comunità – non a caso ripreso quasi alla lettera dalla Regola di Benedetto – rimanda ancora una volta all’unica cosa necessaria, l’ascolto comunitario della volontà di Dio: “Nel consiglio di comunità tutti devono essere ascoltati, timidi e deboli, esperti e giovani, perché Dio rivela sovente al più giovane ciò che è il meglio” (RBo 28, cf. RB 3,3).

Forse proprio quest’ultima annotazione, che i padri del monachesimo ave- vano a loro volta ripresa dalla Scrittura – i profeti Geremia e Daniele si erano mostrati più avveduti degli anziani – può oggi allargarsi ad accezioni nuove e feconde, fornendo un contributo specifico al cammino sinodale della Chiesa, a con- dizione che il monachesimo sappia vivere autenticamente quanto afferma con le labbra e gli scritti.

Ascoltare tutti, anche il più “giovane”, a livello di sinodo universale significa allora privilegiare l’ascolto delle Chiese più giovani, più “piccole” nelle varie accezioni di questi termini.

Significa ascoltare le Chiese di più recente fondazione, facendo tesoro della loro capacità di distinguere il messaggio del Vangelo dalle modalità, a volte antievangeliche, con cui è stato annunciato loro e rendendo grazie per come sono riuscite, sovente a caro prezzo, a cogliere e custodire la buona notizia, nonostante la cattiva comunicazione: basti pensare alle contraddizioni al messaggio evangelico che la cultura dominante in occidente e l’approccio colonialista ai “nuovi mondi” hanno palesato. Significa ascoltare le Chiese oggi minoritarie, nonostante le loro origini siano antichissime e risalgano fino alla predicazione stessa degli apostoli; Chiese sovente oggi presenti soprattutto nella diaspora e che, per questo, faticano quotidianamente per preservare assieme al Vangelo la ricca tradizione che l’ha saputo trasmettere anche in condizioni di estrema precarietà. Significa ascoltare le Chiese, di antica o recente fondazione, che ancora oggi patiscono persecuzione o aperta ostilità, Chiese che conoscono il caro prezzo della grazia e come sia possibile essere disposti a pagare, anche con il dono della propria vita fino al martirio, la fedeltà al Signore della vita. Significa ascoltare, all’interno delle singole Chiese, le persone che abitualmente non vengono ascoltate, nella società e nella Chiesa stessa: i giovani, certo, ma in senso ancor più ampio “i più piccoli”, i minores, quelli che non hanno mai avuto voce perché è stata loro negata: le donne, i poveri, le persone marginali, periferiche, i semplici, gli “illetterati”... Sì, sovente Dio si compiace di nascondere i misteri del regno “ai sapienti e ai dotti” e di rivelare queste cose ai “piccoli” (cf. Mt 11,25).

Nel cammino sinodale che stiamo percorrendo tutti insieme, sapremo trarre dal tesoro della Chiesa che sono i poveri, i piccoli, “cose nuove e cose antiche” (cf. Mt 13,52), capaci di rendere la Chiesa sposa bella, adorna per il suo Sposo che le viene incontro senza tardare (cf. Ap 21,2.20)?

I fratelli e le sorelle di Bose
Bose, 27 novembre 2022 I Domenica di Avvento

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