L’attesa della giustizia e della pace non ha confini

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Da tempo internet ci aveva abituato alla possibilità di “viaggi virtuali” per visitare località che mai avremmo potuto raggiungere di persona. La pandemia ci ha obbligato a un passo ulteriore in questo mondo virtuale, avvicinandolo a quello reale: abbiamo visto lo schermo del nostro computer trasformarsi in luogo di incontro con persone amiche o sconosciute, vicini di casa o estranei, ciascuno affacciato nello spazio pubblico a partire dalla sua stanza, a volte mascherata da fondali improbabili.

Un’esperienza inedita per molti, che ha caratterizzato anche le tappe conclusive del Pellegrinaggio di Giustizia e Pace del Consiglio Ecumenico delle Chiese, progettato nel 2013 all’Assemblea generale di Busan in Corea e avviatosi sul terreno nel 2016. Dopo le precedenti tappe che avevano visto i membri del Gruppo di Riferimento e del Gruppo di Studio Teologico visitare le chiese locali e le realtà sociali di Israele/Palestina, Nigeria, Colombia, Thailandia (con incontri anche in Bangladesh, Myanmar, Pakistan, India) e Isole Fiji, quest’anno il percorso di incontro con le situazioni delle varie aree del mondo che interpellano la ricerca di giustizia e di pace avrebbe dovuto concludersi con la conoscenza sul posto della situazione in Nord America: le piattaforme digitali, “umanizzate” grazie alle conoscenze personali arricchitesi in questi anni, hanno comunque permesso che la lente dell'attenzione tematica globale del WCC sul razzismo e i popoli indigeni si focalizzasse sulle realtà locali, in virtù di una feconda collaborazione tra le Chiese-membro, il Consiglio canadese delle Chiese, il Consiglio nazionale delle Chiese di Cristo in USA e altri partner regionali.

La condivisione di riflessioni e approfondimenti teologici intendeva preparare la prossima Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, che avrà luogo a Karlsruhe in Germania nell’autunno 2022, anziché in questo 2021, come previsto prima dell’esplosione globale della pandemia.

Il Gruppo di riferimento e il Gruppo di studio teologico – del quale faccio parte come rappresentante della Chiesa cattolica – si sono mossi fin dall’avvio dell’itinerario nel 2016 attraverso tre percorsi simbolici che non intendono succedersi l’uno all’altro, bensì arricchirsi reciprocamente: la via positiva del “Celebrare i doni”, la via negativa del “Visitare le ferite” e la via transformativa del “Trasformare le ingiustizie”. Proprio il costante intersecarsi delle tre “vie”ha permesso ai partecipanti di articolare le proprie riflessioni e raccogliere gli scambi con le realtà ecclesiali locali attraverso un approccio di quattro temi maggiori, emersi progressivamente durante il cammino: “Verità e trauma”, “Terra e spaesamento”, “Giustizia di genere” e “Giustizia razziale”.

Il “raccolto” si è così concretizzato in intuizioni teologiche, riflessioni bibliche, approfondimento del vissuto quotidiano delle vittime di ingiustizie sociali e dei traumi legati alle guerre e ai conflitti di diversa natura. Il tutto rielaborato teologicamente alla ricerca di una maggiore unità delle Chiese-membro e dei partner ecumenici (come è la Chiesa cattolica): potersi riunire provenendo dai quattro angoli del mondo, ritrovarsi a pregare insieme e ad ascoltare e condividere storie di comunità di fede è stato un grande dono che ha alimentato tappa dopo tappa questo impegnativo pellegrinaggio.

Quando l’area del Nord America era stata scelta per la tappa finale del Pellegrinaggio, nessuno poteva immaginare che sarebbe stato impossibile viaggiare fisicamente nei luoghi che erano stati suggeriti dalle Chiese cristiane di Canada e Stati Uniti, ma le restrizioni imposte dalla pandemia non hanno fermato l’esperienza delle visite delle piccole équipes di pellegrini di giustizia e pace. Così, dopo essere stati ospiti virtuali delle Chiese di Winnipeg e Toronto-Sei Nazioni (Canada), Standing Rock e Minnesota (USA) e del Circolo polare Artico, nella settimana dal 7 all’11 giugno un “Incontro dei Raccolti” ha evidenziato i risultati e alcune lezioni chiave apprese dal Pellegrinaggio di Giustizia e Pace in questi sette anni.
Accolti fraternamente dai nostri ospiti come “parenti” – in quanto per molti autoctoni del Nord America il termine “pellegrini” rievoca purtroppo quello usato dai colonizzatori – non avremmo mai pensato di doverci scontrare in modo così diretto con le ferite ancora così sanguinanti lasciate dal comportamento di quanti erano giunti in quelle terre portando con sé il proprio mondo culturale e religioso ma imponendolo con una forza sovente brutale che nulla aveva a che fare con il Vangelo. Certo eravamo al corrente del faticoso cammino che la società canadese aveva intrapreso, giungendo nel giugno 2008 a “pubbliche scuse” per quanto perpetrato ai danni delle popolazioni delle Prime Nazioni, dei Métis e degli Inuit e istituendo un’apposita “Commissione per la verità e la riconciliazione sulle scuole residenziali indiane”, ma l’irrompere della notizia della scoperta dei resti di 215 bambini indigeni nel Canada occidentale proprio nei giorni dei nostri incontri ha costituito un momento di forte emozione e di coinvolgimento personale: tragica epifania di una prassi di annichilimento della identità, della cultura e della stessa esistenza delle popolazioni indigene in quanto tali, prassi dolorosamente e sistematicamente in vigore fino alle metà del secolo scorso e non ancora interamente scomparsa. Alcuni degli interlocutori locali che ci avevano accompagnato nella conoscenza delle condizioni delle popolazioni native, non sono più stati in grado di proseguire la condivisione delle loro storie perché troppo direttamente implicate nelle vicende traumatiche che la scoperta della fossa comune di bambini indigeni aveva risvegliato con brutale evidenza.

Incontrare volti e persone, ascoltare le loro storie, visitare le loro speranze e fare proprie le loro preghiere è davvero sempre occasione di sincera “com-passione”, che significa sì soffrire insieme, ma anche avere una comune passione, un anelito condiviso per la giustizia, la pace e la dignità di ogni essere umano. È questo il terreno dove il seme del Vangelo può crescere in verità e dare frutto in abbondanza.

fratel Guido

Tags: Attualità e vita delle chiese