Archivio dei confronti
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Confronti 2016
Alessandro Castegnaro - I giovani e la fede
11 Dicembre 2016
“I giovani d’oggi non hanno rispetto, non hanno valori, hanno del tutto abbandonato la Chiesa e non credono più a nulla.” Tutti luoghi comuni, che in questa domenica il professor Castegnaro ci ha aiutato a smontare dati alla mano. Il panorama giovanile odierno, sempre che si possa generalizzare in questo modo, e non sempre è lecito farlo, molto spesso da adito a lamenti pessimistici da parte degli adulti, e invece oggi abbiamo provato a mettere l’accento sugli elementi estremamente positivi che lo contraddistinguono e ne fanno un vero e proprio tesoro.
I giovani, soprattutto le ragazze diceva Castegnaro, hanno un forte desiderio di ricerca spirituale autentica e più questo desiderio è radicato e profondo più si assiste ad un distacco dalla chiesa in quanto istituzione. Forse i più pensano si tratti di disinteresse e invece siamo stati invitati a prendere le distante da questa modalità giudicante e a considerare questo atteggiamento come un movimento di autonomia. L’individuazione, alter ego positivo dell’individualismo, è ciò che più caratterizza questa nuova generazione. Diventare se stessi è il loro imperativo primo, l’autenticità e la fedeltà a se stessi i loro veri desideri. Un compito arduo e una fatica che forse le generazioni precedenti non hanno dovuto fare in maniera così radicale. Le possibilità erano di meno e le vie già parzialmente tracciate.
Parlano un linguaggio del dubbio, hanno una fede che non è granitica come quella dei padri, ma ha il pregio insuperabile di essere aperta. Sospendendo il giudizio piuttosto che essere assertivi. “Forse” e “se” sono i punti fermi della loro grammatica. Cambiano spesso idea, credono e crescono non seguendo tappe definite ma come in un dinamismo difficile da controllare, sicuramente bello da osservare e da farsi raccontare.
Autonomia, individuazione, conoscenza di se stessi, vita interiore, fedeltà, rispetto e valori innovativi.
A nulla possono i divieti delle istituzioni e il controllo da parte degli adulti. Servono invece ascolto, estrema comprensione e parole incarnate non giudicanti. Serve che gli adulti imparino prima di tutto dai giovani, lascino il loro linguaggio assertivo ormai invecchiato, e ascoltino le loro storie. Serve che le generazioni precedenti non abbiano paura del nuovo che arriva ma intravedano invece ciò che di buono e di meglio questo porta e sappiano accogliere il desiderio profondo che abita nei cuori di questi giovani, cioè essere se stessi attraverso tutto il difficile mestiere di vivere.
sintesi di Sofia Bianchi
Alessandro Castegnaro, Università di Padova
Alessandro Castegnaro, sociologo, è presidente dell’Osservatorio Socio-Religioso Triveneto e membro del Consiglio scientifico della sezione “Sociologia della religione” dell’Associazione Italiana di Sociologia. Insegna “Sociologia e religione” presso la Facoltà Teologica del Triveneto. Tra la sue ultime pubblicazioni: C’è campo? Giovani, spiritualità, religione, Venezia, 2010; Fuori dal recinto. Giovani, fede, Chiesa: uno sguardo diverso, Milano 2013.
Le radici islamiche dell'europa - Massimo Cacciari
Per comprendere le situazioni attuali è necessario rileggere con occhio sapiente e non pregiudiziale la storia che ci ha preceduti. Come leggere la stasis che esiste tra il cristianesimo e l'islam? Come comprendere il divario che si è creato nei secoli tra la cultura occidentale e la cultura e il mondo islamico? Massimo Cacciari ci ha aiutato ad analizzare i processi storici che hanno portato un grande impero come quello islamico a subire delle ferite dal mondo occidentale che pesano ancora oggi sui rapporti tra i due “mondi”. Per lunghi secoli l'impero islamico ha decisamente dominato la scena dal punto di vista culturale e scientifico. Già a partire dall'VII secolo l'islam comincia la sua opera, eminentemente politica, di traduzione di testi fondamentali della scienza e della filosofia greca; testi dai quali poi verranno redatte le traduzioni latine ad uso dell'Occidente.
Dunque un'età dell'oro che si protrae fino all'XI-XII secolo in cui il pensiero greco viene arabizzato e ricompreso all'interno delle maglie della religione islamica. Una superiorità rispetto all'Occidente che si intravede non solo nelle traduzioni, ma anche nella composizione eterogenea delle città, nel livello dei dibattiti teologici e politici che si accendono in città come Damasco e Baghdad. Quando però cessa questa attività culturale il mondo islamico subisce un arresto repentino che l'Occidente sfrutta in occasione dell'invasione napoleonica dell'Egitto quando ad entrambi i “mondi” appare chiaro l'inversione di rotta dell'espansione islamica che neanche un secolo prima era giunta con il suo esercito alle porte di Vienna.
Massimo Cacciari è professore emerito di Estetica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Ha rivolto la sua attenzione alla crisi dell’idealismo tedesco e dei sistemi dialettici, valorizzando la critica della metafisica occidentale propria di Nietzsche e di Heidegger e seguendo la genealogia del pensiero nichilistico nei classici della mistica tardo-antica, medievale e moderna. Tra le sue opere recenti: Il dolore dell’altro. Una lettura dell’Ecuba di Euripide e del Libro di Giobbe (Caserta 2010); Io sono il Signore Dio tuo (Bologna 2010); Ama il prossimo tuo (con E. Bianchi, Bologna 2011); Doppio ritratto. San Francesco in Dante e Giotto (Milano 2012); Il potere che frena (Milano 2013); Labirinto filosofico (Milano 2014); Filologia e filosofia (Bologna 2015); Re Lear. Padri, figli, eredi (Caserta 2015). È stato più volte ospite dei confronti di Bose.
L'uomo nell'era della tecnica - Umberto Galimberti
6 novembre 2016
Umberto Galimberti ci ha fornito un quadro della storia dello sviluppo della tecnica dall’antica Grecia fino alla società contemporanea. Nell’ultimo secolo, in particolare, la tecnica ha visto una crescita quantitativamente importante tanto da provocare una trasformazione qualitativa del mondo in cui viviamo. Al giorno d’oggi “i connotati dell’essere umano sono emarginati ad opera della razionalità della tecnica”, razionalità che permea i luoghi della formazione e del lavoro con gli imperativi dell’efficienza e della produttività, a discapito di altre dimensioni umane dell’esistenza quali l’amore, la fragilità, la creatività. Due ambiti sono stati particolarmente toccati dalla trasformazione tecnica: la politica viene privata della possibilità effettiva di decidere scopi e fini e le dinamiche sociali che la sostenevano vengono svuotate per l’estrema settorializzazione delle questioni dibattute; la morale non si può basare sulle intenzioni, ma solo sugli effetti delle azioni, effetti che non sono, tuttavia, prevedibili.
Umberto Galimberti ha insegnato Filosofia della storia presso l’Università “Cà Foscari” di Venezia, è psicoanalista di formazione junghiana. Fissando il proprio sguardo filosofico sui confini tra ragione e follia, nei suoi studi ha indagato con metodo genealogico le nozioni di simbolo, corpo e anima, rendendo visibili le tracce del sacro che persistono nella nostra civiltà dominata dalla tecnica. Tra i suoi libri recenti: Eros e psiche (Milano 2012). I miti del nostro tempo ( Milano 2012); La morte dell'agire e il primato del fare nell'età della tecnica (Milano 2013); La terra senza il male (Milano 2013); Idee: il catalogo è questo (Milano 2013); Il segreto della domanda. Intorno alle cose umane e divine (Milano 2013); Giovane, hai paura?(Venezia 2014); L'usura della terra (Milano 2014). E’ stato in varie occasioni ospite dei confronti.
Catherine Aubin - San Domenico uomo di preghiera e di misericordia
23 ottobre 2016
Prima ancora che per la sua predicazione, San Domenico era “conosciuto e riconosciuto per la sua preghiera”. Un modo di pregare talmente vivo, ricco di gesti, voce ed emozione, che è stato tramandato fino a noi e riprodotto attraverso una serie di immagini. Catherine Aubin ci ha guidati in un percorso visivo ed esperienziale sui modi di “pregare con il corpo” di Domenico: corpo, sì, ma allo stesso tempo un cammino che è una “pedagogia dell’interiorità” con il fine dell’unificazione spirituale delle diverse dimensioni dell’umano.
E’ così che gesti come l’inchinarsi, il prostrarsi, l’inginocchiarsi, diventano simbolo dell’accoglienza di noi stessi a partire dal nostro limite e contemporaneamente della presenza di Dio in noi; la statura eretta e le braccia alzate ci possono parlare dell’incontro desiderato e vissuto con Cristo; lo stare seduti in ascolto della Parola e il mettersi in cammino verso gli altri per predicare dichiarano l’apertura ad un dono ricevuto e ridonato.
Catherine Aubin è suora domenicana della Congregazione romana di San Domenico. Laureata in psicologia, detiene un dottorato in teologia spirituale. Insegna teologia sacramentale e spirituale alla Pontificia università San Tommaso d’Aquino e all’Istituto di teologia della vita consacrata. Collabora con la Radio Vaticana e fa parte della redazione di Donne chiesa mondo, il mensile dell’Osservatore Romano. Ha appena pubblicato un libro su san Domenico presso le Edizioni Qiqajon: Pregare con il corpo.
Remo Bodei - Amore, memoria, felicità
2 ottobre 2016
“Cosa mantiene unita una comunità? Che cosa permette di mantenere forme di amore e di solidarietà?”. E’ questa la domanda con cui Remo Bodei ha iniziato il suo percorso sulle tracce di Agostino d’Ippona. L’amore, energia che congiunge e ricongiunge, “è come una corda che compone i dissidi”, sana i conflitti esterni e interni, e permette il processo del perdono, sollevandoci dal peso schiacciante del male e consentendoci di ripartire, senza per questo cancellare il ricordo del torto subìto.
La memoria, individuale e collettiva, è stata legata alla percezione di un tempo che secondo Agostino è sempre presente e non scorre come su una linea lasciandosi dietro il passato e “rosicando il futuro”: l’attimo vissuto è percezione, il passato è memoria e il futuro attesa e speranza. La ricerca, dunque, potrà essere condotta dentro noi stessi, nel luogo dove, trovando il proprio essere profondo e “nella compresenza di passato, presente e futuro”, incontriamo anche Dio, “fonte” seppur ancora “ignota”, della nostra felicità.
Remo Bodei è professore di Filosofia presso la University of California a Los Angeles. È uno dei più stimati filosofi contemporanei, ha insegnato alla Scuola Normale Superiore di Pisa e nelle Università di Cambridge, Ottawa, New York, Toronto, Girona, Città del Messico, Berlino. Tra i massimi esperti delle filosofie dell’idealismo classico tedesco e dell’età romantica, si è occupato anche di pensiero utopico e di forme della temporalità nel mondo moderno. Ha inoltre indagato il costituirsi delle filosofie e delle esperienze della soggettività tra mondo moderno e contemporaneo, pervenendo a una riflessione critica sulle forme dell’identità individuale e collettiva. Tra i suoi libri: Ordo amoris (Bologna 1991); Geometria delle passioni (Milano 1991); Il noi diviso (Torino 1998); Destini personali (Milano 2002); Una scintilla di fuoco. Invito alla filosofia (Bologna 2005); Paesaggi sublimi. Gli uomini davanti alla natura selvaggia (Milano 2008); La vita delle cose (Roma-Bari 2009); Ira. La passione furente (Bologna 2011); Immaginare altre vite. Realtà, progetti, desideri (Milano 2013); Generazioni. Età della vita, età delle cose (Roma-Bari 2014); La vita delle cose (Bari-Roma 2014); La filosofia nel Novecento (e oltre) (Milano 2015); Limite (Bologna 2016).
+ Gabriele Caccia - I cristiani in Libano
Nella mattinata di domenica 25 settembre il nunzio apostolico in Libano, monsignor Gabriele Caccia, ha tratteggiato brevemente la situazione politica, religiosa e culturale della terra libanese. Come un mosaico, la composizione demografica in Libano è molto variegata: “Non si può dire che vi sia una maggioranza veramente tale e alcune minoranze, piuttosto vi convivono tante diverse minoranze”. Al momento c'è pace, ma si sente il peso dell’instabilità politica.
Terra di altissima alfabetizzazione (93% degli uomini, 87% delle donne), “il Libano è un messaggio di libertà, di dialogo, di fraternità sia per l’oriente che per l’occidente”, ha concluso monsignor Caccia.
Al termine dell’incontro, Mons. Caccia ha presieduto l’eucaristia e ci ha fatto dono anche dell’omelia.
Sintesi di Chiara Pignocchi
La custodia del creato - Enzo Bianchi
Nella tradizione cristiana giustizia ed ecologia, condivisione della terra e rispetto della terra, attenzione alla vita della natura e cura per la qualità buona della vita umana sono temi strettamente correlati. L’azione messianica di Gesù non riguardava solo il rapporto con gli uomini ma anche con la creazione: Gesù ha amato la terra, si è mostrato un contemplativo della creazione, capace di vedere in essa un dono di Dio e una responsabilità per l’uomo.
Nell’Enciclica Laudato si’ papa Francesco invita a una riflessione a tutto campo sulla questione ecologica e rilancia l’anelito all’uguaglianza e alla fraternità, oscurate dal prevalere dell’individualismo che minaccia le nostre società. Il testo contiene un forte richiamo alla consapevolezza della situazione limite in cui i nostri comportamenti – individuali, collettivi, politici, economici – hanno condotto “nostra madre terra”, e alla responsabilità nei confronti della “casa comune” e delle generazioni a venire.
Per vincere la paura: alimentare la speranza - Silvia Vegetti Finzi
Di fronte alle incertezze e paure che attanagliano le nuove generazioni, Silvia Vegetti Finzi dice il “bisogno che c’è di trasmissione, di raccontare come in situazioni difficili ce la siamo sempre cavata, anche quando, nel dopoguerra, il nostro paese era un cumulo di macerie”. Per un giovane, infatti, è importante conoscere il passato, affinché si alimenti la speranza nel futuro e sia possibile credere che quello che ora non si ha lo si può attendere.
In questa attesa, che chiede pazienza, si può mettere a frutto le capacità che ciascuno, in maniera diversa, possiede: intelligenze creative, propositive, “che sappiano ribaltare il tavolo”, cioè scorgere possibilità altre dietro il solito, il già visto.
Silvia Vegetti Finzi legge anche alcuni passi del suo ultimo libro “Una bambina senza stella. Le risorse segrete dell’infanzia per superare le difficoltà della vita”: un’autobiografia, parole autorevoli perché vissute, un aiuto a vincere la paura e osare. Osare essere se stessi.
Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi
Storie d'amore 3 - Chiara Giaccardi e Enzo Bianchi
Il terzo incontro del ciclo “Storie d’amore” ha per tema la questione del gender o, per dirlo in italiano, del genere. Chiara Giaccardi, docente presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università cattolica di Milano, offre agli oltre quattrocento ascoltatori presenti alcune indicazioni metodologiche per muoversi nel campo di questa parola: genere.
Prima di tutto, occorre liberarsi dalla crosta ideologica che la parola ha assunto in un dibattito sempre più polarizzato, e andare all’etimologia: genus, in latino, deriva dal verbo gigno, che significa generare, dare vita. “È una parola che ha in sé la differenza che genera, perché solo la differenza genera: non è un termine di oppressione, ma di vita”.
Inoltre, per affrontare il dibattito sul genere, è imprescindibile distinguere tra natura e cultura: “Troppo spesso, infatti, si è fatto passare per naturale ciò che è culturale”.
Fratel Enzo è intervenuto dopo pranzo, rispondendo alle tante domande che i presenti hanno posto sull’argomento.
Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi
La città futura - Diego Fusaro
Il priore di Bose, fratel Enzo Bianchi, lo presenta come “una delle voci più convincenti sul futuro, dotato di chiarezza di visione sulla nostra società”. Diego Fusaro insegna storia della filosofia presso l’Università San Raffaele di Milano, e si presenta così: “Non amo descrivermi: e, tuttavia, preferisco che a farlo sia io e non il ‘si dice’ di heideggeriana memoria. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx, di Gentile e di Gramsci. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra. Ho una passione durevole per la filosofia e un amore sfrenato per il mare, immagine mobile della libertà. Odio gli indifferenti e gli opportunisti”. Durante la mattina Fusaro ha proposto una riflessione critica sulla società odierna, dove il futuro costituisce un orizzonte di senso: nell’immaginario collettivo, il presente tende a farsi eterno, e di conseguenza il futuro si desertifica, viene meno l’ideale di un futuro alternativo. Complice di questo chiudersi dell’orizzonte è la logica della mercificazione, cifra della società capitalistica. Dopo la celebrazione dell’eucaristia, il pranzo e un’ora e mezza di tempo libero, c’è stato spazio per le domande. A chi gli chiede come si costruisce, oggi, una generazione capace di speranza e di azione, risponde che la cultura e la maturazione di un pensiero critico sono, a suo parere, le vie da percorrere.
Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi
Confronti 2015
Credo nello Spirito Santo - Raniero Cantalamessa
Il priore di Bose, fratel Enzo Bianchi, ha introdotto il confronto di questa giornata mettendo in luce il carisma della predicazione di padre Raniero Cantalamessa, che più di trent’anni fa lasciò la carriera universitaria per dedicarsi all’annuncio della Parola di Dio. La mattina è stata dedicata al racconto della pentecoste, con particolare attenzione al versetto degli Atti che padre Raniero ritiene più significativo per questo tema: “Tutti furono pieni di Spirito santo”.
La venuta dello Spirito sugli apostoli non è qualcosa di tangibile o di visibile secondo i sensi umani, tuttavia è riconoscibile per gli effetti che lascia: dopo l’evento, gli apostoli sono privi del timore che prima li attanagliava, smettono di litigare fra loro, escono per narrare ad altri la buona notizia della resurrezione di Cristo. Nel pomeriggio è seguita l’analisi dell’articolo del Credo che riguarda lo Spirito santo. Un’analisi semplice, che ha coniugato nozioni storico-teologiche con un linguaggio divulgativo e uno stile pastorale, sempre attento a tradurre la teoria in spunti di riflessione pratica.
Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi
Ascolta un passaggio del confronto
Dopo il sinodo sulla famiglia - Enzo Bianchi, Basilio Petrà
La giornata dedicata alla riflessione sul sinodo appena concluso, si è aperta con il saluto del priore di Bose, fratel Enzo Bianchi, che ha detto: “Crediamo che nella chiesa ci sono vocazioni diverse, debitrici le une delle altre, per questo noi monaci ospitiamo un confronto sul tema della famiglia”. Quindi ha lasciato la parola a don Basilio Petrà, che ha messo in luce la libertà di parola e la varietà delle posizioni emerse durante i lavori sinodali. In continuità con il Concilio Vaticano II, il sinodo ha letto il matrimonio umano secondo una visione cristocentrica: solo fissando lo sguardo su Cristo, sul suo insegnamento, si comprendono in verità i rapporti umani.
Durante il pomeriggio è stato possibile un confronto a più voci: Basilio Petrà e Enzo Bianchi hanno risposto alle domande poste dai presenti. Una questione verteva su quale spazio sia stato riservato durante il sinodo alla teoria del gender e a chi vive relazioni di omoaffettività (Questo il termine usato da chi ha posto la domanda). La risposta è stata che questo tema si è trattato in maniera estremamente pacata, accogliendo la consapevolezza che la sessualità non è solo natura, ma anche cultura. Al termine del confronto, fratel Enzo ha ricordato che la famiglia è una realtà sempre da evangelizzare e non, come si sente dire di frequente, una realtà che reca già in sé la buona notizia del vangelo di Cristo.
Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi
Quale Dio? - Massimo Cacciari
Quale Dio? Sempre più questa domanda risuona oggi nel dialogo tra le religioni, o di fronte all'esperienza del male.
Nel confronto tenuto a Bose domenica 21 giugno, Massimo Cacciari ha mostrato come questo interrogativo sia intrinsecamente legato alla tradizione occidentale, che Massimo Cacciari ha percorso riandando a Platone e Aristotele, attraversando il medioevo, Spinoza, Lutero, Hegel e toccando anche il confronto con l’islam. Quella occidentale è una tradizione che vive di una polemica profonda su Dio e che ne ha concepito immagini contrastanti.
Nella grecità classica affondano le radici di una tensione che permane nei secoli: da una parte Platone, che pensa il divino come l’Uno che sta al di là delle sue manifestazioni sensibili , separato e altro dal mondo. Dall’altra parte Aristotele e il suo concepire Dio come quell’ente sommo che, dal vertice del cosmo, spiega la dinamica insita al divenire di tutti gli altri enti.
Queste due vie aperte nell’antichità e insolute nella loro reciprocità, permeano anche il medioevo, impegnato a spiegare l’esperienza di un Dio esistente e rivelato, ma insieme altro dall’esistente, nascosto e velato: sistole e diastole dell’esperienza religiosa.
Il paradosso dell’incarnazione ripropone questo dialogo e le sue sottili conseguenze: è tutto Dio che prende carne e che diventa compiutamente dispiegato alla comprensione umana, o l’immagine rivelata nel Figlio rimanda ad un’immagine che è mistero eccedente e trinitario?
Quale Dio dunque? La domanda rimane aperta, dischiusa alla ricerca dell’uomo che rischia la parola su Dio.
Sintesi della giornata di Francesca Simeoni
La Famiglia - Silvia Vegetti Finzi
Psicologa clinica, psicoterapeuta dell’età evolutiva e della famiglia, scrittrice e giornalista, già professoressa di Psicologia Dinamica presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pavia. Attiva nel Movimento delle donne, è stata membro dell’Istituto Nazionale di Studi per l’infanzia e l’adolescenza, del Comitato Nazionale di Bioetica e del Consiglio Superiore della Sanità. Nel 1989 ha ricevuto i premi nazionali per la Psicoanalisi e la Bioetica. Collabora regolarmente con il Corriere della Sera, il Blog di “Io donna” Psiche lei,il mensile Insieme e la rivista svizzera Azione.
Senza la mobilitazione morale del desiderio di chi intende diventare padre e madre, nessuna legge sarà mai in grado di mettere ordine nella vita sequestrata ai corpi e ai destini. In questo senso la maternità, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, rappresenta nella sua forma ideale un paradigma esemplare: ci mostra infatti che è possibile limitare l'onnipotenza inconscia, porre freno all'egoismo proprietario dell'io e del mio. Inizialmente la madre ha un possesso assoluto del figlio. Da lei dipende non solo il corpo ma anche la mente del bambino. Il suo dominio non conosce eguali perchè, contrariamente allo schiavo di fronte al padrone, al servo dinnanzi al signore , al prigioniero alla mercè del suo aguzzino, il neonato non può neppure pensarsi separato dalla madre.
Eppure la simbiosi originaria progressivamente si schiude al riconoscimento che il figlio è un altro, diverso da come lei l'aveva sognato e cresciuto. La maternità, che tendiamo a considerare solo come una forma di possesso, si apre invece, anche grazie alla funzione socializzante del padre, all'accettazione dell' autonomia e dell'indipendenza del figlio, all'ammissione che la vita che gli è stata data non appartiene a chi lo ha generato.
Con la modernità la dimensione della maternità ha assunto confini sempre più individualistici e privatisti. Ormai l'essere madre, generare un figlio non è più un fatto collettivo ma un'incombenza che grava quasi esclusivamente sul nucleo famigliare ristretto o spesso solo la donna. Spesso si sente dire che la gravidanza ormai passa “come niente fosse”, come fosse un tempo che non ha per la futura madre, niente di diverso dagli altri; continua il lavoro e le altre attività, ma questo non permette di preparare il grembo “psichico”, ma solo quello fisico. Il figlio è l'ospite che è sempre altro da quello che si è immaginato e per questo ogni figlio va adottato, tutti siamo figli adottivi, e tutti tramite questa adozione abbiamo ereditato la certezza di essere unici e non ripetibili. Ci vuole disponibilità per accogliere un figlio, e fare passare la gravidanza sotto silenzio non è il mondo migliore per prepararsi ad avere un figlio. Non siamo solo soggetti sociali e produttivi ma anche soggetti psicologici. La maternità ha inoltre bisogno di silenzio, l'accoglienza e la disponibilità si preparano nel silenzio, nella riflessione e nella concentrazione. Come dice Simone Weil: “Abbiamo bisogno di attenzione, l'attenzione è il dono più grande che ci possa essere dato”.
Silvia Vegetti Finzi propone un excursus attraverso l'efficacia dei simboli per riscoprire ciò che abbiamo perso: quelle dimensioni che abbiamo dimenticato e che sono da sempre, prima del tempo, quelle forze telluriche che permettono di uscire dalla logica stretta del calcolo e degli interessi egoistici e che aprono e permettono la vita e la generazione. E' necessario riprendere il giusto contatto con la natura con i suoi ritmi e le sue stagioni, oggi si pensa che sia qualche cosa che non ci riguarda e che quindi possiamo sfruttare per i nostri interessi. Per questo bisogna riflettere sul rapporto dell'umanità con il limite che ormai sembra non esserci più: a quale punto ci fermeremo? Questa mancanza del limite ci angoscia ma non sappiamo gestirla. La filiazione dovrebbe essere sottratta al calcolo delle convenienze e alle ingerenze della tecnica. Il desiderio di un figlio viene da lontano e non è certo governato dall'interesse. C'è una spinta che non è solo individuale e viene da lontano. Ci vogliono tre volontà: quella della madre, quella del padre e quella del bambino che vuole venire al mondo. E' un compito che la coppia esegue. Bisogna saper vivere nell'ordine dell'obbedienza non solo quello del calcolo. Quello che conta non si conta.
Sintesi della giornata di Sofia Bianchi
Perchè la riforma? - Paolo Ricca
Pastore a Forano Sabino (Rieti) dal 1962 al 1966 e a Torino dal 1966 al 1976.
Titolare della cattedra di Storia della Chiesa presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma dal 1976 al 2002.
Giornalista per l'Alleanza Riformata Mondiale presso il Concilio Vaticano II.
E' succeduto al Prof. Valdo Vinay nella Commissione "Fede e Costituzione" del Consiglio Ecumenico delle Chiese fino all'Assemblea generale di Canberra.
Negli anni di insegnamento presso la Facoltà Valdese di Teologia ha coperto più volte l'incarico di decano.
Professore ospite presso il Pontificio Ateneo Sant'Anselmo di Roma.
E' stato Presidente della Società Biblica in Italia per due mandati.
Collabora regolarmente al Segretariato Attività Ecumeniche di cui è insieme a Don Giovanni Cereti, il coordinatore del Gruppo Teologico.
Curatore della collana "Opere Scelte" di Lutero edita dalla casa editrice Claudiana.
Collabora al programma "Uomini e profeti" a cura di Gabriella Caramore per RAI RADIO TRE.
Il vasto movimento di rinnovamento della fede e della pietà nella Chiesa cristiana d’Occidente, sorto intorno agli anni Venti del 16° secolo e poi chiamato dagli storici Riforma protestante, nacque in Germania per opera del monaco agostiniano Martin Lutero. Si diffuse poi in tutta Europa anche grazie all’opera di altri riformatori, come lo svizzero Zwingli e il francese Calvino. La Riforma è stata qualcosa di più e di diverso da una semplice ‘riforma’, ed è diventata un modo nuovo (e al tempo stesso antico) di essere cristiani.
Le cause o ragioni di un fenomeno complesso come la Riforma sono molteplici. Era presente senza dubbio una ragione morale: la vita del clero, comprese le alte gerarchie ecclesiastiche, era in alcuni casi tutt’altro che cristiana, e da tempo si invocava da più parti un’energica riforma dei costumi. Ci furono ragioni economiche: una fu il desiderio legittimo di liberarsi di un regime fiscale particolarmente esoso che convogliava verso la Chiesa e in particolare verso Roma grandi quantità di denaro; l’altra fu che la Riforma accompagnò la transizione dall’economia feudale a quella precapitalistica. Vi furono ragioni sociali: le classi subalterne (i contadini) e quelle emergenti (artigiani, commercianti e piccoli imprenditori) vissero la Riforma anche come incentivo alla loro emancipazione o alle loro libere iniziative di tipo economico. Vi furono anche ragioni politiche e infine ragioni culturali.
Tutte le ragioni ora elencate devono essere tenute presenti per spiegare e capire la Riforma. Ma la ragione decisiva rimane quella religiosa: la Riforma nacque dalla riscoperta del Vangelo come annuncio della libera grazia di Dio, donata al peccatore senza riguardo ai meriti e senza condizioni. Questo annuncio è il cuore della Bibbia, che venne tradotta nelle lingue volgari e largamente diffusa tra il popolo. La Riforma fu per molti aspetti un grande movimento di alfabetizzazione biblica popolare del cristianesimo occidentale.
LA RIFORMA COME DECISIONE
“Con la Riforma non si scherza” disse Karl Barth in una celebre conferenza dal titolo “La riforma come decisione”. Così Paolo Ricca ci presenta la sua riflessione sulle ragioni e sulla natura di quel passaggio storico e teologico che chiamiamo Riforma protestante. Essa nasce, dice Ricca, in un clima di attesa e di ripensamento sui temi fondamentali della fede e dell'uomo. Sorge da una domanda precisa: qual è il vero messaggio cristiano? Questo interrogarsi ha portato Lutero a sviscerare alcuni temi centrali della vita di fede, e in particolare il tema della giustificazione per grazia mediante la fede. Al centro c'è la riflessione radicale sul problema della penitenza, della vera penitenza, come atto fondante dell'ingresso nel cristianesimo.
All'inizio non voleva essere altro che riforma, ma poi, più la riflessione proseguiva più divenne qualcos'altro: divenne contestazione a ciò che oggi chiamiamo la Chiesa costantiniana reduce ancora dallo strettissimo sodalizio con il potere politico, perfettamente integrata con il sistema, e soprattutto fu – dice Barth – una vera e propria rifondazione della Chiesa. La Riforma infatti tentò di ripensare radicalmente il fondamento della chiesa, la quale fino ad allora era fondata unicamente sul papato inteso nella sua accezione più ampia di garanzia di successione apostolica. Lutero e i riformatori tentarono invece di fornire alla chiesa l'unico fondamento realmente stabile: la Scrittura. La Chiesa cattolica non comprese però questo atto di ripensamento radicale come un'opportunità per riformarsi ma anzi condanno questo movimento come eretico.
Per quanto riguarda gli esiti storici e teologici della Riforma, Ricca conclude citando Barth: “Si può senz'altro porre la domanda seria: se i riformatori con la loro rifondazione della chiesa non hanno osato un'impresa che non avrebbero dovuto usare poiché l'umanità europea non era all'altezza di questa impresa ardita e se essi non ci hanno lasciato un eredità di cui non sappiamo cosa fare perché esige da noi una fede che non siamo in grado di offrire e non corrisponde al nostro interesse e al nostro scopo.”
Sintesi della giornata di Sofia Bianchi
I volti della madre - Massimo Recalcati
Vive e lavora come psicoanalista a Milano. Ha discusso la sua tesi di laurea in Filosofia, dal titolo "Desir d'être e Todestrieb. Ipotesi per un confronto tra Sartre e Freud", con il prof. Franco Fergnani nel Luglio 1985. Nel 1989 si è specializzato presso la scuola di Psicologia di Milano diretta da Marcello Cesabianchi. Ha discusso la sua tesi di specializzazione in Psicologia, dal titolo "Analisi terminabile ed interminabile. Note sul transfert", con il prof. Enzo Funari. Ha svolto la sua formazione analitica a Milano con Carlo Viganò e a Parigi con Jacques-Alain Miller ed Eric Laurent tra il 1988 e il 2008.
L'ideologia patriarcale che oggi sta esalando i suoi ultimi respiri, voleva ridurre l'essere della donna a quello della madre. Era solo la figura della madre a sancire una versione benefica, positiva, salutare, generativa della femminilità. La donna, invece, separata dalla funzione materna, si prestava ad incarnare i fantasmi più maligni: cattiveria, peccaminosità, lussuria, inaffidabilità, stregoneria, crudeltà. Mentre la donna realizzata nella madre riusciva a emendare gli aspetti inquietanti della femminilità, la donna che rifiutava l'identificazione con la sola maternità portava con sé lo stigma di una anarchia pericolosa e antisociale che doveva essere redenta con gli strumenti della morale pedagogica o della psichiatria. Questa versione della femminilità (madre uguale bene, donna uguale male) è stata giustamente criticata e superata.
La madre è il primo volto nel quale ci riconosciamo e la prima voce che risponde al grido della vita.
Massimo Recalcati offre una panoramica di luci e ombre sul complesso mestiere di essere madre. La figura materna che attende, che cresce in sé il figlio, colei che gli dona la vita è anche colei che lo dona alla vita. Dunque non lo tiene per sé, non ne fa una sua proprietà ma subito lo riconosce come altro e per farlo vivere impara a perderlo. La madre inoltre è colei che nutre il figlio, il quale però oltre al nutrimento vuole essere riconosciuto, amato e desiderato, altrimenti, se manca questo, rifiuterà anche il nutrimento. Il figlio, che dal padre riceve l’equilibrio tra legge e desiderio, e impara il senso del limite, chiede alla madre di essere amato di un amore particolareggiato; la madre dunque è colei che soccorre e che presta attenzione al particolare, all’unicum del figlio. Ama il reale di suo figlio e non l’ideale. Le derive antitetiche a cui la maternità può giungere sono da un lato la rinuncia alla femminilità e all’essere donna della madre e dall’altro la rinuncia ad essere madre fino in fondo della donna. Nel primo caso il figlio non sperimenta l’assenza della madre, e dunque viene soffocato dalla sua estenuante presenza, nel secondo caso invece il figlio si sente non desiderato e non amato ma anzi d’inciampo nella vita e nella carriera della madre. Dunque la maternità si esprime nel dare cure particolari, diversificate a ciascuno dei figli, senza però trattenerli, ma lasciandoli liberi, si tratta di accettare e desiderare il figlio ma di guardarlo subito come altro e di “un altro”.
Sintesi della giornata di Sofia Bianchi
frère Roger Schutz raccontato da Frère Alois
La giornata dedicata alla memoria di frère Roger Schutz priore di Taizé si è aperta con l’intervento del priore fratel Enzo, il quale ha ricordato il fondatore della comunità di Taizé come “uomo di rara santità, chiaroveggente e testimone appassionato dell’unità della chiesa”. È seguito l’intervento di Silvia Scatena, ricercatrice presso il Dipartimento Educazione e Scienze Umane dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, che sta scrivendo un saggio sulla figura di Roger Schutz, dal punto di vista storico e spirituale. La studiosa ha tratteggiato, con rigore storico e precisione di linguaggio, le tappe fondamentali della vita di frère Roger, mettendone in luce la tensione ecumenica, come “disponibilità sempre rinnovata all’imprevisto, nell’oggi di Dio”. È seguita l’eucaristia, con l’omelia di frère John di Taizé. Nel pomeriggio frère Alois, successore di frère Roger come priore della comunità di Taizé, ha condiviso la sua testimonianza di vita accanto a Roger Schutz, incoraggiando anche le domande dei presenti. Al termine del confronto, fratel Enzo ha espresso la sua gratitudine al Signore per il dono della vita di frère Roger, figura a cui la comunità di Bose deve molto, e per la possibilità, oggi, di ricordarlo.
Ascolta le parole di frère Alois
Il profeta Osea - Gianfranco Ravasi
Esperto biblista ed ebraista, è stato Prefetto della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana di Milano e docente di Esegesi dell’Antico Testamento alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Il Cardinale Ravasi collabora a giornali - per quindici anni al quotidiano Avvenire e attualmente aL'Osservatore Romano e a Il Sole 24 Ore - e cura trasmissioni televisive, come la rubrica domenicale Le frontiere dello Spirito su Canale 5.
In Osea il volto di Dio è anzitutto quello di uno sposo, di un innamorato. Dio vive tutta la gamma dei sentimenti di un innamorato. C’è un finissimo studio psicologico del profeta trasferito in Dio, un sentimento di amore-odio che prova nei confronti della donna che lo tradisce. Dio sperimenta in sé lo sconvolgimento tragico della persona che si sente tradita: Dio non è indifferente, la sofferenza di Dio è atto d’amore. Dio non dovrebbe soffrire, dato che la sofferenza è segno del limite della creatura. In realtà c’è un dolore, una sofferenza che è pienezza e non imperfezione. Il dolore della madre per il figlio che soffre, il dolore dell’innamorato nei confronti della persona amata, questo dolore di donazione è un aspetto positivo, è un aspetto di generosità, di grandiosità dell’amore di Dio e dell’uomo.
“Toglierò i nomi degli idoli dalla tua bocca.” Così sogna il profeta Osea il ritorno della donna infedele che lo ha abbandonato. Così il Signore si rivolge al suo popolo che gli ha preferito gli idoli, e le divinità straniere, che ha pervertito i suoi costumi e ha dimenticato l'alleanza con Dio. Il cardinal Gianfranco Ravasi presenta il profeta Osea come l'interprete della misericordia di Dio. Il testo presenta infatti un doppio registro in cui viene narrata la vicenda personale di Osea, segnata dall'infedeltà e dal tradimento, e la storia dell'alleanza tra Dio e il suo popolo, anch'essa segnata dall'infedeltà d'Israele verso il suo Dio. Il rapporto tra Dio e il suo popolo è compreso a partire dall'immagine dell'amore nuziale, e il tradimento è dovuto alla prostituzione d'Israele che ha preferito idoli stranieri. Osea mostra di cosa è capace il Dio che ha viscere di misericordia: soffre fino quasi a ripudiare il suo popolo, a detestarlo, fino a dire: “voi non siete più il mio popolo, e io per voi non sono” Il Signore arriva a smentire se stesso di fronte alla delusione che gli provoca Israele, ma subito dopo, non fa che sognare il ritorno dell'amata, è pronto a dimenticare ogni infedeltà pur di ricostruire l'alleanza. “ Ti farò mia sposa per sempre (…) a non-popolo-mio, dirò popolo-mio ed egli mi dirà mio Dio.”
Sintesi della giornata di Sofia Bianchi
I divorziati - Basilio Petrà
Consigliere di redazione di varie riviste teologiche (Rivista di teologia morale, Rivista liturgica [fino al 2008], Rivista di ascetica e mistica, Ephrem's Theological Journal, Intams Review, Asian Horizons), ha tradotto saggi e volumi dei teologi ortodossi Ch.Yannaras, G.Mantzaridis, S.S.Harakas, I. Zizioulas, A.Yannoulatos.
"L’accoglienza dei divorziati risposati è una delle più grandi sfide pastorali odierne. Essa esige da parte della chiesa l’attivazione di tutte le sue risorse in modo da riuscire ad essere segno della divina misericordia e a mostrare un volto di madre, il suo vero volto. L’incontro sarà dedicato a mettere in luce i vari aspetti del problema: biblici, storici, canonici, teologici, pastorali; sarà presa in considerazione la prassi di altre chiese e saranno presentate e discusse le varie proposte attualmente presenti in ambito cattolico".
Dall’inizio del pontificato di papa Francesco e in maniera particolare dalla relazione finale del sinodo straordinario sui temi della famiglia emerge sempre più con insistenza la necessità di riflettere a fondo sulla presenza sempre più numerosa di famiglie con situazioni particolari di sofferenza, di divisioni e di fallimenti matrimoniali alle spalle, che chiedono aiuto e accoglienza nella Chiesa. Il professore Basilio Petrà, presidente dell’associazione teologica italiana per lo studio della morale, ha cercato di ripercorre tutte le tappe storiche del dibattito e della legislazione della chiesa in merito soprattutto all’accoglienza dei divorziati risposati, cercando di individuarne i criteri ispiratori e di mettere in luce possibili “vuoti legislativi”. Il sinodo straordinario e le votazioni che sono avvenute a maggioranza su ogni punto della relazione, mostrano che la Chiesa necessita di tutte le sue risorse intellettuali, pastorali e spirituali per affrontare il problema. La nostra tradizione, ha osservato il professor Petrà, contiene in sé gli elementi su cui si può lavorare per venire incontro a situazioni sempre più numerose, che non sono semplicemente casi di studio, ma persone segnate da fallimenti che cercano anche nella chiesa un luogo in cui sentirsi accolte e ricominciare.Sintesi della giornata di Sofia Bianchi
I giovani oggi - Umberto Galimberti
Nato a Monza nel 1942, Umberto Galimberti, già professore ordinario all’università Ca’ Foscari di Venezia, titolare della cattedra di Filosofia della Storia. Dal 1985 è membro ordinario dell’international Association for Analytical Psychology. Dopo aver compiuto studi di filosofia, di antropologia culturale e di psicologia, ha tradotto e curato numerosi testi di Jaspers, di cui è stato allievo durante i suoi soggiorni in Germania.
Umberto Galimberti analizza le radici della paura che provano i giovani di oggi, derivante dall’insicurezza, dal senso di inadeguatezza del vivere e dalla mancanza di aspettative verso il futuro, da quello che Friedrich Nietzsche definì “nichilismo”, vale a dire assenza di uno scopo e rinuncia al perseguimento di un obiettivo; suggerisce come eliminare questa paura e come far fronte alla crisi di oggi, acquisendo consapevolezza di ciò che si è, della propria virtù e delle proprie capacità. Egli propone un modello di cultura che non segue schemi fissi: si tratta di un modello che non “immobilizza”, che induce i giovani a considerare un futuro incerto come un’occasione e non come un limite, permettendo di reinventarsi scongiurando la “monotonia della ripetizione” e di un percorso predefinito.
“Qual è la ragione del tuo malessere?” chiedeva il filosofo argentino Miguel Benasayagai giovani di Parigi che ascoltava e curava, e la risposta era sempre “Non lo so”.
Non è un malessere psicologico, ma culturale dice Umberto Galimberti. La profezia del folle che annuncia la morte di Dio, la perdita di senso e la svalutazione di tutti i valori è rimasta inascoltata per più di un secolo, ma ora siamo costretti a fare i conti con “l'ospite inquietante”, il tempo del nichilismo. Sia la tradizione giudaico-cristiana sia poi la scienza moderna iscrivevano il futuro in un disegno e il tempo in una storia: il passato come male, il presente come redenzione e il futuro come salvezza. Ora invece ci si trova a fare i conti con un futuro che rappresenta una minaccia. la mancata promessa del futuro, è uno dei fattori sociali che determina in maniera radicale il malessere dei giovani.
Ma secondo Galimberti i “disastri” che plasmano e determinano la vita di un giovane avvengono in realtà nei primi tre anni di vita, nei quali si costruisce la sua mappa emotiva sulla base di quelli che sono gli stimoli e gli interventi esterni. Il riconoscimento, il rapporto con l'autorità, il principio di non-contraddizione e di causalità, sono codici fondamentali per imparare a leggere e dare significato al mondo esterno e ai propri stimoli e sentimenti interni. L'identità non è dunque un concetto naturale ma un processo che si fonda sul riconoscimento, il bambino che non viene riconosciuto e ascoltato, a cui non viene data risposta ai suoi “perché”, ma solo gratificato e tenuto buono fatica a sviluppare la sua propria identità e resta “muto” e inconsapevole di fronte al mondo esterno e di fronte a se stesso perché non ha imparato a dare nome alle cose.
Sintesi della giornata di Sofia Bianchi
La pazienza - Gabriella Cramore
Gabriella Caramore ha insegnato Religioni e comunicazione alla Sapienza-Università di Roma. Tra i suoi libri: «Nessuno ha mai visto Dio» (2012) e «Come un bambino. Saggio sulla vita piccola» (2013), entrambi editi da Morcelliana. Il suo ultimo libro «Pazienza» (2014) è edito da Il Mulino. E' autrice e conduttrice della trasmissione di Rai Radio 3 «Uomini e Profeti».
Pazienza sembra un termine ormai sconosciuto nella società contemporanea, una di quelle parole sovraccariche di significati che non vengono più usate né comprese.
Una certa parte della tradizione cristiana vede nella pazienza un atto passivo di sopportazione del dolore, un patire silenzioso e inattivo. Gabriella Caramore prova invece a ridefinire la pazienza a partire dalla passione, dal desiderio e dal prendersi cura.
C'è quindi un'attività incessante in colui che agisce con pazienza; vi è un desiderio ardente, coltivato giorno per giorno con perseveranza. Non vi è dunque un'attitudine passiva nell'atto di pazientare, ma c'è attesa, c'è attenzione e cura. La pazienza determina dunque la qualità del tempo che viene donato all'altro, la postura con cui ci si pone di fronte ad un altro.
Il linguaggio della pazienza s'impara dalla natura, dalla vita umana: il costruire se stessi è un grande lavoro di pazienza in cui le attese sono lacrime e fatica.
La vera pazienza non solo sopporta ma si fa incontro al male, alla fatica e al dolore e ne smaschera con parole irrequiete e veloci, come quelle dei profeti, la menzogna e conduce l'uomo a scegliere ogni volta da che parte del mondo stare.
L'agire con pazienza previene ogni tipo di compassione fallace e a basso prezzo, e consente invece di andare fino in fondo nella cura dell'altro, consente di vedere il suo proprio desiderio senza impazienza né menzogna.
La pazienza spesso assume le forme del coraggio e dell'ostinazione, l'uomo paziente non solo sopporta, ma di più, è consapevole che il giudizio è urgente e dunque sa discernere, in ogni momento, cosa è più importante, e questo fonda la vera responsabilità verso gli altri e verso il mondo.
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sintesi della giornata di Sofia Bianchi
Il peccato originale oggi - Carlo Molari
Nato a Cesena (Forlì) il 25 luglio 1928, è diventato sacerdote nel 1952. Laureato in Teologia dogmatica e in utroque iure nella Pont. Università Lateranense, ha insegnato teologia nella medesima Università (1955-1968), nella Facoltà teologica della Università Urbaniana di Propaganda Fide (1962-1978) e nell'Istituto di scienze religiose della Università Gregoriana (1966-1976).
Dal 1961 al 1968 è stato Aiutante di Studio della Sezione dottrinale della S. Congregazione per la Dottrina della Fede. Per un decennio ha svolto la funzione di segretario dell'Associazione teologica italiana (ATI) e di membro del Comitato di consultazione della sezione dogma della rivista internazionale Concilium. Svolge attività pastorale a Roma nell'Istituto S. Leone Magno dei fratelli Maristi delle scuole.
I suoi interessi sono rivolti soprattutto alla ricerca di modelli teologici che rispondano alle necessità spirituali dell'uomo di oggi, all'incidenza della svolta linguistica della cultura sulla formulazione della dottrina di fede e ai rapporti fra teologia e scienze.
La perfezione non è mai inizio, ma sempre compimento. Ogni inizio è dunque segnato non dal peccato che riduce lo stato di perfezione concesso all'uomo, ma da una benedizione, da una promessa di compimento rivolta ad ogni creatura. Così Carlo Molari propone di iniziare a rileggere la dottrina del peccato originale, ritornando alle fonti bibliche e traducendola all'interno del contesto del pensiero e dell'uomo contemporaneo. Essenziale per questo tentativo di rilettura è ribadire l'importanza dell'interpretazione dei testi biblici, dell'ermeneutica non come mero strumento, ma come parte integrante del processo rivelativo e inoltre ricordare che il pluralismo non è un dato di fatto con cui misurarsi, ma una missione e un elemento costitutivo della dottrina della fede. E' necessario cambiare innanzitutto il modo di pensare l'azione di Dio: non come azione puntuale data una volta per tutte, ma azione che concede ad ogni cosa e ad ogni creatura di avere un inizio. All'inizio sta la benedizione e la promessa di pienezza che Dio offre, ma nulla si compie senza la creatura, che è incompiuta e che non può ricevere questa benedizione tutta intera in un solo istante, ecco perché da subito al bene si accompagna sempre il male. Come la creatura può cercare di adempiere a questa promessa? Assumendo il tempo come sua propria struttura essenziale, vivendo il tempo, la storia, come spazio di dono in cui la forza creatrice dell'inizio ogni volta fa vivere forme nuove di umanità. Il divenire umano ad ogni passo avanti mostra il sorgere di perfezioni nuove che sempre sono più della somma delle componenti precedenti. Non è più possibile dunque pensare ad un uomo a cui all'inizio a causa del peccato è stato negato il compimento, tutto passa invece per la responsabilità della creatura che assume il suo essere solo un frammento nel tempo come possibilità per far fiorire capacità nuove.
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La bellezza - Michelina Borsari
Il bello può forse rappresentare nel mondo contemporaneo l'ultima forma di autorità? Così Michelina Borsari introduce il confronto sul tema della bellezza. La filosofia comincia a parlare di bellezza non ai suoi albori, ma quando sembra declinare, solo allora scorge l'immenso potere che è contenuto in ciò che prima pareva essere effimero, materiale e finito. Non il vero, non il bene, “ma la bellezza salverà il mondo.” scriveva Dostoevskij. Quando l'autorità del vero e del bene vengono meno, ecco che resta solo la bellezza come risorsa per un nuovo inizio. Essa appartiene al mondo del finito, necessita dei corpi per essere esperita, emerge all'improvviso con un movimento involontario e quasi sovversivo. La bellezza parla un suo linguaggio che è necessario apprendere.
Per gli uomini e le donne che hanno conosciuto la libertà, la bellezza si presenta come l'unica forma di autorità possibile, perché non chiede l'asservimento ma innalza. La perfezione della natura ha ormai perso nel nostro tempo la sua sovranità, occorre dunque rivolgere lo sguardo alle opere d'arte, agli artifici. Il bello artistico esercita un potere che non s'impone ma interpella; così come recita l'ultimo verso di un sonetto del poeta tedesco R.M. Rilke: “ devi cambiare la tua vita”. Questa è la sovranità della bellezza che attraverso le opere d'arte chiede ai suoi interlocutori la conversione, un cambiamento, non come immagine mentale, ma come compito, come esercizio pratico. Più l'opera è bella, più comunica che la vita dell'osservatore non è ancora piena. L'arte sembra oggi aver scelto la via dell'esibizione senza fatica, dell'esposizione senza sforzo, Michelina Borsani ha tentato di riportare l'attenzione invece sull'ascesi: l'arte, la bellezza chiedono ai propri interlocutori, ai propri osservatori un lavoro di conversione e di ascesi per cambiare la loro vita, e allo stesso tempo la vera bellezza è un duro lavoro, fatica, studio e ascesi.
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Amare la creazione - Giannino Piana
Nato nel 1939, insegna Etica Cristiana presso la Libera Università di Urbino ed Etica ed Economia presso l’Università di Torino. È stato presidente dell'Associazione Italiana dei Teologi Moralisti. Fa parte delle redazioni delle riviste Hermeneutica, Credere oggi, Rivista di teologia morale e Servitium; collabora al mensile Jesus con la rubrica "Morale e coscienza" e al quindicinale Rocca con la rubrica "Etica Scienza Società".
La riflessione sull’etica ambientale si apre anzitutto con la rilevazione delle ragioni socioculturali (e non solo tecniche), che stanno alla radice dell’attuale crisi ecologica, per ripensare, alla luce di alcune categorie bibliche e antropologiche (creazione, alleanza, vita nuova in Cristo), il rapporto uomo-ambiente e giungere, infine, a individuare alcune coordinate di carattere etico, sia di ordine personale che strutturale, che consentano di superare l’odierna situazione di disagio.
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