Le combat spirituel chez les Pères de l'Église
La tentazione è dunque per il monaco un tempo di prova permesso da Dio stesso, un’esperienza necessaria che, se affrontata con pazienza, umiltà e fede nel Signore, lo conduce ad andare più in profondità nella propria vocazione e nella propria adesione a Cristo: “Ogni anima che ama il Signore è afflitta dai demoni malvagi … Ma ciò avviene con il permesso e il consenso di Dio: egli infatti la mette alla prova, per vedere se ama veramente il suo Signore”. Addirittura, le tentazioni, più che diminuire, aumentano con il progresso della vita spirituale, che può essere misurato proprio dalla qualità e dalla forza dei “demoni” che attaccano l’anima. Occorre perciò prendere sul serio queste prove, perché solo attraverso di esse è possibile diventare “provati”, edificare una personalità umana e spirituale robusta, capace di pronunciare dei sì convinti e dei no efficaci.
La rinuncia e l’ascesi del corpo e tutte le altre lotte e fatiche richieste dalla vita in monastero, per quanto necessarie e apportatrici di non pochi frutti spirituali, non sono infatti sufficienti secondo i padri per condurre il monaco verso la purezza di cuore, se non sono accompagnate da un’altra lotta, tutta interiore, combattuta nel “cuore” stesso dell’uomo, contro le suggestioni malvagie suscitate dal demonio, che sono all’origine di ogni peccato: “Come si sta in guardia nell’uomo esteriore – afferma lo Pseudo-Macario – così bisogna sostenere una lotta e una guerra anche nei pensieri”, poiché, ammonisce Cassiano, “non è un avversario esterno che dobbiamo temere: il nemico è in noi stessi e contro di noi combatte ogni giorno una guerra interiore”; ed Evagrio: “Quanto più facile è peccare nel pensiero che nell’azione, tanto più difficile, anche, è la guerra combattuta nel pensiero di quella combattuta con le cose”.