XXXII domingo do Tempo Comum
Dopo le parole profetiche di Gesù, ecco anche il suo sguardo profetico. Egli guarda “come” la gente gettava monete nel tesoro del tempio e sa vedere ciò che gli altri non vedono o sa vedere altrimenti ciò che gli altri vedono. Egli vede l’offerta gradita a Dio nel dono povero della vedova che getta due spiccioli, mentre vede il dono del superfluo nelle offerte abbondanti di molti ricchi. La profezia è anche questo sguardo altro sulla realtà che discerne il male o l’ipocrisia dove altri vedono e ammirano generosità, e vede il bene dove altri non vedono nulla o in ciò che altri ritengono inutile e indegno di considerazione.
Il testo interpella il credente sul come egli dona. “Dio ama chi dona con gioia” (2Cor 9,7): chi dona con gioia trova infatti la sua ricompensa non nello sguardo ammirato degli altri uomini, ma nell’amore di Dio. Donare diviene così esperienza di essere amati da Dio più che espressione di protagonismo di amore. Donando, noi entriamo nel cuore della vita, nella sua dinamica profonda, che è appunto dinamica di dono. E così conosciamo la gioia, che è gratitudine e senso di pienezza: “Vi è più gioia nel donare che nel ricevere” (At 20,35).
Il dono ha a che fare con la vita, e perciò anche con la morte. Il dono della vedova è dono totale, di “tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,44), dunque espone al rischio della morte. Il suo dono è “olocausto”, sacrificio vissuto nell’esistenza, offerta della propria vita a Dio (Rm 12,1: “offrite i vostri corpi come sacrificio vivente”) ed espressione di amore di Dio con tutto il cuore, l’anima, le forze (cf. Mc 12,30). Dare vita è anche donare la propria vita, perdere la propria vita. Invece il dono dei ricchi che danno del loro superfluo evita il rischio della morte ma mette a morte la dimensione simbolica del dono.