XIII domingo do Tempo Comum
There was a problem loading image 'images/stories/priore/evangelodelladomenica/volto_di_cristo_apparizioni.jpg'
There was a problem loading image 'images/stories/priore/evangelodelladomenica/volto_di_cristo_apparizioni.jpg'
Reflexões sobre as leituras
de LUCIANO MANICARDI
Seguir Jesus é exigente e implica o cansaço do dia-a-a-dia, de um dia após outro (cf. Lc 9,23): é importante ser resoluto para não ficarmos bloqueados pela banalidade do quotidiano e pelos hábitos
30 junho 2013
ANO C
1Re 19,16b.19-21; Sal 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62
A relação com o Senhor passa através do caminho de sequela de um homem: de Elias (I leitura), de Jesus (Evangelho). Os dois textos convergem na apresentação de um início: o encontro de Elias com Eliseu constitui para este um volte face na sua vida. Ele separa-se dos seus, deixa o trabalho e começa uma nova fase na sua vida ao serviço de Elias. No Evangelho, Jesus entra numa nova fase da sua vida: depois da Galileia dirige-se convictamente para Jerusalém (cf. Lc 9,51), onde se cumprirá o seu destino. O início aqui significa andar mais fundo no caminho feito. Com os três personagens anónimos que entram em cena nos vv. 57-62 o Evangelho apresenta também tentativas falhadas de início ou, pelo menos, as dificuldades que seguir Jesus implica. Presunção de si (v. 57) e condições postas preliminarmente à sequela (vv. 59.61) impedem a sequela que coloca o crente sob o primado do Reino de Deus.
“Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il Regno di Dio” (Lc 9,62): questa parola di Gesù suppone che la sequela esiga risolutezza. Perché? Perché Gesù stesso ne ha avuto bisogno: egli “rese dura la sua faccia per andare a Gerusalemme” (Lc 9,51; la Bibbia CEI traduce: “prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”). L’espressione indica la decisione presa nel cuore di perseguire fino in fondo il cammino intrapreso: la risolutezza è la necessaria mobilitazione delle energie e della volontà per non fallire lo scopo. Ma indica anche la concentrazione di chi si prepara a resistere alle difficoltà, alle opposizioni e alle violenze che la propria missione può riservargli. La risolutezza cristiana non ha nulla a che fare con l’incoscienza o con la non assunzione dei propri limiti: essa è determinazione, che etimologicamente rinvia al porre dei confini, e dunque è capacità di conoscere e assumere i propri limiti. Essa è un aspetto della fortezza cristiana e “la fortezza presuppone la vulnerabilità: essere forte significa saper accettare una ferita” (Josef Pieper). Così abbozzata, la risolutezza cristiana appare un’umile risolutezza, mite, mai arrogante, mai presuntuosa, ma convinta e tenace.
La missione a cui Gesù invia comporta la possibilità della non accoglienza degli inviati, esattamente come Gesù stesso ha conosciuto la non accoglienza (cf. Lc 9,53). Anzi, non accolto dai Samaritani perché diretto verso Gerusalemme, Gesù sarà rigettato anche dalla città santa, la città “che uccide i profeti e lapida coloro che le sono inviati” (cf. Lc 13,34). L’accoglienza e il riconoscimento per Gesù non sono un diritto. Ma questo, Gesù deve insegnarlo ai suoi discepoli, tentati di reagire con zelo cattivo allo sgarbo ricevuto (cf. Lc 9,54-55). Non una parola di rimprovero per i Samaritani, che vengono accolti nella loro non accoglienza, e invece un aspro rimprovero per i discepoli (Lc 9,55): sono i cristiani che devono vivere il Vangelo ed essere rimproverati se assumono forme di presenza e di azione mondane. Inviati dall’Agnello “come agnelli in mezzo ai lupi” (Lc 10,3), a essi non è concesso di travestirsi da lupi (Mt 7,15). Infatti, è la qualità della loro presenza che narra il volto di Cristo agli uomini. È la loro vita “altra” e “differente” rispetto al mondo che narra la santità di Dio.
La sequela di Gesù esige anche la fatica del quotidiano, del giorno dopo giorno (cf. Lc 9,23): la risolutezza è necessaria per non lasciarsi bloccare dalla banalità dei giorni e dalle abitudini, per sostenere la vita del discepolo che è sotto il segno della precarietà (v. 58) e per dare perseveranza alla sequela e non ridurla all’avventura di una stagione della vita. L’inizio della sequela è importante proprio perché il cristiano non è chiamato solo a iniziare ma a dare continuità al suo cammino e a rimanere. Non porre condizioni (v. 61), non predeterminare le prestazioni, non lasciarsi guidare solamente dall’entusiasmo (v. 57), non nutrire nostalgie che si rivelerebbero paralizzanti (v. 62), sono condizioni essenziali per una sequela duratura.
LUCIANO MANICARDI
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno C
© 2009 Vita e Pensiero