Non per condannare ma per salvare

immagine satellitare - Foto di USGS su Unsplash
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27 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 12,37-50

In quel tempo 37Sebbene Gesù avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, 38perché si compisse la parola detta dal profeta Isaia:

Signore, chi ha creduto alla nostra parola?
E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?


39Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse:

40Ha reso ciechi i loro occhi
e duro il lorocuore,
perché non vedano con gli occhi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano, e io li guarisca!


41Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. 42Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. 43Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio.

 44Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; 45chi vede me, vede colui che mi ha mandato. 46Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell'ultimo giorno. 49Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. 50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».


All’inizio del capitolo dodici del vangelo secondo Giovanni Gesù entra in Gerusalemme, prima della Pasqua, a cavallo di un asino.

La sua presenza è accompagnata dal coro di chi non crede e si mostra diffidente anche rispetto ai segni che Gesù compie. Ma per tutti viene l’ora del giudizio, l’ora della sua passione, morte e resurrezione, l’ora della sua glorificazione sulla croce che manifesta il suo amore fino alla fine per tutta l’umanità. Il discepolo del Signore Gesù è tale solo se accoglie la croce alla sequela del suo maestro e Signore.

 La domanda sulla fede deve interpellare costantemente le nostre esistenze. Chi è il Signore delle nostre vite? Un super-eroe che ci siamo creati a nostro uso e consumo, il “dio tappabuchi” che risolve i nostri problemi e soprattutto che conferma la “nostra” idea di fede, di chiesa, di comunità, di Dio? O è il Dio che continuamente mette in crisi le nostre certezze, il nostro desiderio di sicurezza, di una religione solida dove tutto è bianco o nero? 

Il versetto di Isaia 53,1, citato all’inizio del passo che stiamo commentando, introduce il quarto canto del servo del Signore, una figura misteriosa che la profezia ci presenta in tutta la sua sofferenza come un uomo sfigurato, disprezzato, “uomo dei dolori che ben conosce il patire”, di fronte al quale ci si copre la faccia. Eppure questo è il volto di Dio che Gesù ci rivela sulla croce, un Dio che per amore vuole raggiungere ogni essere umano, qualunque sia la sua condizione, nell’abisso dell’abbandono, della sofferenza, del rifiuto. Sulla croce il Signore Gesù raggiunge ogni essere umano in quelle periferie esistenziali dimenticate se non addirittura rigettate e condannate dagli uomini, per attirarlo a sé, per rivelargli il volto di un padre che prima ancora di giudicare e condannare desidera, per tutti la vita, l’amore, la dignità dei figli amati e accolti sempre. Anche papa Leone ce l’ha ricordato con le sue prime parole da vescovo di Roma: “Dio ci ama tutti!”

“Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva io non lo condanno perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo”. 

Se vogliamo essere suoi discepoli, neanche noi possiamo ergerci a giudici che condannano e disprezzano tutti quelli che vivono e pensano diversamente da noi. Non siamo chiamati a condannare e giudicare gli uomini e le donne che non ascoltano la parola e non la mettono in pratica, spetta a Dio solo nel giorno del giudizio. Noi siamo chiamati a testimoniare la misericordia di Dio per ogni creatura vivente, il suo desiderio di bene e amore per tutti. 

Qualcuno pensa che questo sia una fede svenduta, sminuita, ma è la parola della croce, stoltezza e scandalo per gli uomini religiosi ben pensanti, ma è l’unica parola che narra agli uomini la gloria di Dio, gloria dell’amore fino alla fine. Questo è il suo comandamento: che ci amiamo gli uni gli altri come lui ha amato noi, con un amore disarmato e disarmante, questo è l’unica cosa che dobbiamo difendere e perseguire fino alla fine.

Quando smetteremo di considerare gli altri come nemici, di cui avere paura, di giudicare e condannare coloro che sono diversi da noi, allora troveremo la pace vera che il Signore Gesù ci dà e potremo anche noi essere autentici testimoni di pace. Solo allora daremo gloria a Dio non con le liturgie, i riti, le devozioni, ma con la cura per ogni essere vivente, così come il Signore Gesù ci ha insegnato.

fratel Nimal