Un pastore che si fa porta di libertà
24 maggio 2025
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 10,1-21
In quel tempo Gesù disse1 «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. 7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. 11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
19Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole. 20Molti di loro dicevano: «È indemoniato ed è fuori di sé; perché state ad ascoltarlo?». 21Altri dicevano: «Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?».
Tante porte abbiamo attraversato nei nostri anni di vita, altre ce le siamo trovate chiuse davanti e sbarrate per sempre o ci hanno ferito il volto sbattute in faccia, altre ancora le abbiamo sbattute noi con violenza, altre abbiamo avuto paura di aprirle, altre con coraggio le abbiamo aperte e richiuse con cura.
«Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
La porta preceduta dalla soglia è luogo di passaggio e di attesa: del figlio che ritorna (Lc 15), della camera nuziale (Cantico dei Cantici), di qualcuno che faccia rotolare la pietra dalla porta del sepolcro.
La porta apre su nuovi orizzonti senza negare il passato, ci svela il domani, a volte titubanti la apriamo, altre volte restiamo con la mano sulla maniglia per anni.
“A sera secondo il loro uso, i pastori ebrei erano soliti condurre il loro gregge in un recinto per la notte, un solo recinto serviva per diversi greggi. Al mattino, ciascun pastore gridava il suo richiamo e le sue pecore, riconoscendone la voce, lo seguivano” (B. Maggioni).
Le pecore passano una per una, entrano e si mischiano con altre pecore. Il vero pastore non teme contaminazioni o “proselitismo pastorale” da parte degli altri pastori, conosce le sue pecore una ad una: le ha viste nascere, crescere, le ha accompagnate su sentieri impervi, difese dai lupi e dai ladri, aiutate a guadare torrenti, prese sulle spalle quando erano ferite.
Il pastore le conduce fuori, anzi le spinge fuori del recinto, con pazienza e al contempo con determinazione. Il Dio di Gesù Cristo non è un Dio dei recinti ma un Dio che apre a spazi più grandi, è pastore di libertà e non di paure. Spinge a un coraggioso viaggio fuori dagli ovili, alla scoperta di orizzonti nuovi nella fede, nel pensiero, nella vita. Non teme che le sue pecore ne incontrino altre: di razza o meticce, bianche o nere o chiazzate, con lana liscia o a trecce rasta.
I profeti nel pastore narrano l’amore misericordioso di Dio verso il suo popolo, Gesù narra con linguaggio umano la misericordia verso tutta l’umanità. Il pastore, attraversa la porta, sta sulla soglia, diviene egli stesso porta e al contempo fa obbedienza a questo necessario passaggio: dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà, non possiede ma apre verso lo spazio della libertà che è amore e cura.
Lascia il gregge alla ricerca della pecora smarrita, diviene porta che fa entrare al banchetto: ciechi, storpi, zoppi, il pubblicano e la prostituta.
“Il pastore narrato da Gesù cammina davanti alle pecore. Non pastore di retroguardie, non pastore alle spalle, che grida o agita il bastone o minaccia per farsi seguire, ma uno che precede con pazienza, con il suo incedere sicuro, davanti a tutti, pronto a prendere in faccia il sole e il vento, la pioggia e la neve, pastore di futuro che ci assicura” (E. Ronchi). Perché le pecore lo seguono? Per vivere, per non morire.
Quello che cammina davanti, che pronuncia il nome profondo di ciascuno, non è un ladro di felicità o di libertà: ognuno entrerà, uscirà, troverà futuro. La porta: non è un muro o un recinto, dove tutto gira e rigira e torna su sé stesso, è porta aperta, buco nella rete verso la libertà, passaggio e transito, per cui va e viene la vita di Dio.
«Sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). “Gesù non è venuto a portare una teoria religiosa o un sistema di pensiero. Ci ha comunicato vita ed ha creato in noi l'anelito verso una più grande vita” (G. Vannucci).
fratel Michele