Testimoni dell’amore
7 maggio 2025
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 5,31-47
In quel tempo Gesù riprese a parlare e disse loro: «31Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. 32C'è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera. 33Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. 34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. 35Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
36Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. 37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. 40Ma voi non volete venire a me per avere vita.
41Io non ricevo gloria dagli uomini. 42Ma vi conosco: non avete in voi l'amore di Dio. 43Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. 44E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall'unico Dio?
45Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. 46Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. 47Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».
Testimonianza (martyría) è la parola che ricorre, martellante, per dieci volte, in questi versetti, e che attraversa da un capo all’altro l’intero Vangelo di Giovanni (cf. 1,7-8.15.19.32.34; 21,24). La testimonianza – come indica la sua radice etimologica: “tenere, sostenere” – è una “prova”, una “manifestazione” nel linguaggio giuridico, e si inscrive dunque nel contesto di una “crisi”, di una causa, di un giudizio, di un tribunale, di una polemica fra Gesù e i suoi avversari che lo accusano di fornire una testimonianza autoreferenziale e quindi non veritiera.
Siamo al centro di una provocazione lanciata contro il Cristo, che è messo in causa, sfidato, chiamato a giustificarsi, a recare argomenti in propria difesa, a esibire testimoni che possano parlare a suo favore «in forza di una presa di posizione relativa a vantaggio di qualcuno, per cui ci si schiera pro o contro qualcosa o qualcuno, come in una deposizione processuale (secondo il costume forense dell’epoca)» (R. Vignolo).
Qui allora Gesù passa in rassegna, con ordine, le testimonianze che può addurre a proprio favore, iniziando dall’esclusione della propria auto-testimonianza, perché, se fosse lui a testimoniare di sé stesso, la sua testimonianza non sarebbe vera (v. 31).
Vi è dunque innanzitutto la testimonianza umana, quella di Giovanni il Battezzatore, il martire della verità, l’ultimo dei profeti, ma il prima a riconoscere Gesù, l’Agnello di Dio (v. 33).
Poi Gesù può invocare un «altro» testimone veritiero, che è il Padre stesso (vv. 32. 37): «Il fatto che il Padre ami il Figlio e che Gesù comunichi a noi questo amore, questo amore che solo lui conosce, nessun altro può testimoniarlo se non il Padre e il Figlio. Quindi non può esibire altre testimonianze direttamente, solo lui conosce questo amore, perché noi non lo conosciamo e lui è venuto a rivelarlo» (S. Fausti).
Vi sono inoltre le opere che il Padre ha dato da compiere a Gesù, quelle stesse opere che lui sta facendo e che testimoniano di lui (v. 36). La prima testimonianza è racchiusa in ciò che facciamo; d’altronde sappiamo che «l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Paolo VI).
E infine vi è la testimonianza delle Scritture che gli avversari di Gesù compulsano invano, senza essere capaci di leggerne il senso in profondità: «Le Scritture ci donano la vita eterna, ma la vita eterna non sono le Scritture. Ci donano la vita eterna perché le Scritture ci mettono in comunione con Colui che scrive, con Colui che parla, con Dio. La vita eterna è Dio, non lo scritto; lo scritto è la Parola ed è un segno, se uno sta attento alle parole e non alla persona che parla o alle cose dette, gioca con le parole» (S. Fausti).
La testimonianza della verità, però, è sempre avversata: c’è sempre un ma… Giovanni è la testimonianza di una “lampada che arde e risplende”, ma solo per un momento quanti lo hanno ascoltato hanno voluto rallegrarsi alla sua luce, perché ben presto hanno preferito soffocarla e spegnerla.
Il Padre, poi, dà testimonianza al Figlio, ma la sua voce è restata non ascoltata e il suo volto è rimasto non veduto, perché la sua parola non è discesa nel cuore degli uditori e colui che il Padre ha mandato, il suo Figlio che è anche il suo volto, resta non creduto.
Le Scritture sono state scrutate, proprio quelle Scritture che davano testimonianza di Figlio, ma quei lettori dal cuore duro non hanno voluto accostarsi al Cristo per avere vita.
L’amore in noi (v. 42), ecco il cuore della testimonianza, della verità martiriale, ecco il senso di ogni ricerca. L’amore del Padre che riposa nel Figlio, e quello del Figlio che risponde alla vita del Padre. E l’amore che da loro si effonde e viene ad abitare in noi, e ci rende testimoni dell’amore, facendoci (pre)sentire di essere figli, e quindi amati:
E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos’è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra.
(R. Carver)
Un fratello di Bose