Con voi
22 aprile 2025
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 28,16-20
In quel tempo 16gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»
Invasi dalla luce pasquale, riceviamo i racconti degli incontri con il Risorto. Con rinnovato stupore oggi ascoltiamo i versetti conclusivi del vangelo secondo Matteo, che poco prima aveva narrato delle guardie al sepolcro, del gran terremoto, dell’angelo che annuncia a Maria di Màgdala e all’altra Maria di non avere paura, perché colui che cercano è risorto, come aveva detto. È Gesù stesso ad andare loro incontro, a confortarle e confermarle: “Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno” (Mt 28,10).
Gesù Risorto rimanda ai “suoi fratelli”, che ora vengono presentati come “gli undici discepoli”: non sono più dodici, la comunità è ferita, incompleta, incompiuta. I discepoli, al di là di ogni fragilità e fallimento, sono riconosciuti come fratelli: che vicinanza, che consolazione!
Gli Undici obbediscono al mandato del Risorto tramite le parole delle donne: vanno nella Galilea delle genti, dove la loro storia insieme aveva preso le mosse (cf. Mt 4,12-17), nell’apertura ai pagani, perché l’annuncio della vita più forte della morte non può avere confini, come luce che non può non irradiarsi ovunque.
Essi si recano “sul monte che Gesù aveva loro indicato”: il monte, luogo che dalla terra si staglia verso l’alto, rimanda al Sinai, all’incontro privilegiato di Dio con Mosè per la stipulazione dell’Alleanza, per il dono della Legge.
Appena vedono Gesù, si prostrano in atteggiamento adorante: lo riconoscono come Signore; eppure, e insieme, dubitano. La fede non è mai fuori di noi: in noi abitano tentennamenti, incompletezze, incapacità. In noi ci può essere la fede, se qualcuno per grazia ha deposto un seme di fiducia; e in ogni caso la fede ha sempre bisogno di essere corroborata e fatta crescere da colui che è l’affidabile, la fedeltà stessa di Dio che dimora nell’uomo. Occorre vederlo, riconoscerlo, e affidarci nel nostro dubitare.
Gli Undici dunque vanno e salgono, eppure è Gesù che si avvicina, che, ancora e di nuovo, si fa loro prossimo, si rende vicino, incontrabile. Gesù si avvicina agli Undici e ai discepoli di ogni tempo, a coloro che cercano di vivere da discepoli e da fratelli e sorelle, e parla loro. Sono le sue ultime parole, le sue parole ultime.
Io, voi, io-con-voi. Questa la dinamica delle parole di Gesù, parola ultima di Dio. È lui ad aver ricevuto “ogni potere in cielo e sulla terra”, mentre sono i discepoli ora a dover andare e fare discepoli tutti i popoli, immergendoli nel suo nome di comunione, divenendo con la loro stessa vita insegnamento per tutto ciò che Gesù ha comandato. Con la certezza che Gesù, il Risorto per sempre, è e resta il Dio-con-noi.
Queste parole ultime e definitive rimandano all’origine, all’Emmanuele annunciato dai profeti (cf. Mt 1,23). Il Risorto è il Dio-con-noi a ogni passo della nostra vita, “fino alla fine dei giorni”, ossia fino al compimento del tempo, fino a quando sarà tutto in tutti, vita sovrabbondante più tenace della morte. A noi che viviamo in attesa e in ricerca di un senso, sono dati la gioia e il compito di riconoscerlo vivente, presenza e promessa di vita e di comunione già ora!
sorella Silvia