Non ti condanno

Foto di Jon Tyson su Unsplash
Foto di Jon Tyson su Unsplash

Come sta Gesù nella violenza di un conflitto? Come lo impara? C’è un brano del vangelo di Giovanni (Gv 8,2-11) molto interessante. Gesù insegna nel tempio di Gerusalemme. Irrompe un’orda di soli maschi e gli getta ai piedi come un cencio usato una donna. È stata sorpresa con l’amante tradendo così il marito. Gli chiedono che cosa fare di lei ricordandogli la Legge di Mosè: è prevista la lapidazione per gli adulteri. Dicono alla lettera: “Nella Legge a noi Mosè comanda di lapidare siffatte”. Ai loro occhi non è più nemmeno una donna, un essere umano come loro. È qualcosa di indefinito. È il processo della deumanizzazione. Si priva l’altra persona di tratti e qualità umane in modo che non essendo più una di “noi” è possibile fare di lei qualunque cosa, nella più totale insensibilità. La Legge di Mosè diventa lo strumento per estraniare chi ha fatto del male dal “noi”.

Vogliono in realtà tendere una trappola a Gesù, di cui temono l’autorevolezza presso il popolo. Se acconsente alla lapidazione, lo si denuncia ai romani, che si sono riservati la pena di morte. Se la proibisce, contraddice la Legge di Mosè e viene smascherato come uno che attenta all’ordine sociale fondato su questa.

È lo schema binario della polarizzazione: bianco o nero, like o unlike. Salta ogni sfumatura o complessità. Tutto è ridotto a una lotta per la vittoria sull’altro, il “nemico”, da ottenere in ogni modo. Ci si deve schierare o con l’uno o con l’altro, o contro l’uno o contro l’altro. Non si dà alternativa. È una rappresentazione falsa e impoverente della realtà e delle possibilità di stare in essa.

Gesù non cade nel tranello. Prende tempo. Pone la distanza del silenzio fra sé e l’orda. Crea uno spazio di riflessione a partire da quel che sente in sé e negli altri, per non reagire immediatamente. Sente la paura dell’orda nascosta sotto il manto della rabbia e della giustizia e quella della donna repressa dal mutismo. In esse forse Legge una domanda formulata in maniera maldestra. Gesù non si schiera. Né con l’orda contro la donna, né con la donna contro l’orda. Sta in mezzo al conflitto facendosi prossimo a ciascuno a partire da chi subisce violenza. Esce dal silenzio con una parola creativa che disarma il braccio degli uni e ridà vita all'altra. La sua parola si adatta alla situazione dell'altro per incontrarlo. Spezza la fusionalità dell’orda restituendo ciascuno alla propria responsabilità personale: “Chi non ha peccato tra voi per primo su lei scagli una pietra”, e questi stanno manipolando, pervertendo la Legge a loro favore. Quelli che erano distanti nelle parole di Gesù diventano vicini: “per primo su lei”. Anch’essi sono peccatori. Gesù ristabilisce una fraternità fra i singoli membri dell’orda e la donna proprio nella comune fallibilità umana. Gesù rivolge la parola e dialoga con la donna, sinora priva di parole, muta come un cadavere. Gesù ridà vita a una morta mediante il perdono. Restituisce anche lei alla propria libertà e al decidere come vivere: “Neanch’io ti condanno! Va’ e da questo momento non peccare più”. È salvata gratuitamente – non le è chiesto alcun pentimento previo -ma nel contempo è rinviata alla sua libertà.


 La cattiva educazione di Margherita Vicario e Vinicio Capossela è la canzone che accompagna questo testo