Lettera agli amici - Pentecoste 2019

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Cari amici, ospiti e voi che ci seguite da lontano,

come Lettera agli amici, proponiamo alcune parole tratte dal testo di una conferenza pronunciata da Olivier Clément (1921-2009) al Pontificio Collegio Russicum nel marzo 1996. Desideriamo in questo modo fare memoria, a dieci anni dalla morte, di questo indimenticabile amico della nostra comunità, vero pneumatoforo e costruttore di ponti, che ha illuminato con la sua riflessione appassionata e chiaroveggente il cuore dell’uomo e il cuore del mondo, con un messaggio di grande fiducia e speranza, nel soffio dello Spirito santo, nel fuoco della Pentecoste.

Se c’è un’onnipotenza di Dio essa è inseparabile dalla sua onnidebolezza. Dio si ritira in qualche modo (nozione vicina allo zimzum della mistica ebraica) per lasciare all’angelo e all’uomo lo spazio della loro libertà. Egli attende il nostro amore, ma l’a- more dell’altro non si comanda. “Ogni grande amore è sempre crocifisso”, diceva Evdokimov. Sì, Dio ha rischiato, Dio è entrato in una vera e dunque tragica storia d’amore. L’Adamo molteplice che siamo tutti noi non ha potuto evitare la prova della libertà. Per affermarsi, per individualizzarsi, si è allontanato dal Padre come il figlio prodigo della parabola. Allora il mondo, creato dal nulla – cioè che non ha fondamento in se stesso –, ha cominciato a scivolare verso il nulla, questo nulla al quale gli angeli decaduti, che dimentichiamo con troppa facilità, danno una consistenza distruttrice. In un certo modo, Dio è stato escluso dalla sua creazione, non la mantiene che dall’esterno. Dio è diventato un “re senza regno”, secondo l’espressione di Nicola Cabasilas. Davanti al male universale – il mondo che “giace nel male”, come dice san Giovanni – “il volto di Dio piange sangue nell’ombra”, violenta espressione di Léon Bloy spesso citata da Nikolaj Berdjaev.

Fino a che il “sì” di una donna permette a Dio di rientrare nel cuore della sua creazione per restaurarla, per strappare l’umanità alla fatalità e al fascino del nulla e aprirgli, anche attraverso le tenebre, vie di resurrezione. Ma il Dio crocifisso non ha il potere dei tiranni e delle tempeste. È un immenso influsso di pace, di luce e di amore che, per agire, ha bisogno di cuori che si aprano liberamente a Lui. La Parusia avverrà per effrazione, e non c’è già ora un momento che non possa lasciar passare la sua luce. Ma essa esige anche una preparazione: in Cristo, sotto il soffio dello Spirito, l’uomo ritrova la sua vocazione di creatore creato. Davanti al cieco nato, Gesù rifiuta di dare spiegazioni a partire dal peccato: né quest’uomo né i suoi genitori hanno peccato. Ma quest’incontro avviene per la gloria di Dio, e Lui lo guarisce. La spiritualità del terzo millennio sarà meno di rifiuto e più di trasfigurazione; una spiritualità pasquale, una spiritualità di resurrezione!

Allora capiremo che non si possono mettere limiti alla speranza, come diceva Hans Urs von Balthasar. La preghiera e il ser- vizio per la salvezza universale saranno la risposta alla tragedia dell’inferno. L’inferno, come condizione generica, come assenza di Dio, è stato distrutto dal Sabato santo. Dio ormai non è più as- sente da nessuna parte. Ma bisogna “sedersi alla tavola dei pecca- tori”, come diceva Teresa di Lisieux, e “versare il sangue del proprio cuore”, come aggiungeva lo starec Silvano del monte Athos, affinché l’ultimo inferno, quello dell’individuo chiuso in se stesso, sia sommerso dall’onda di amore della comunione dei santi, cioè i peccatori che accettano di essere perdonati.

Uno dei fondamenti spirituali maggiori del futuro sarà quindi la kénosis. Nella Lettera ai Filippesi san Paolo dice che Dio in Cristo ekénosen, si è annullato, svuotato di sé. Intuizione geniale: evocare Dio non nel linguaggio del pieno, ma nel linguaggio del vuoto. Il pieno rimanda alla ricchezza, all’abbondanza, alla potenza. Lo svuotarsi, il vuoto, esprime il mistero dell’amore. Dio si trascende verso l’uomo in un movimento inverso. Non è un Dio pienissimo, pesante, che schiaccia l’uomo, ma un Dio “svuotato” nell’attesa della nostra risposta d’amore ...

I fondamenti spirituali del futuro devono incarnarsi in un nuovo stile di vita, fatto insieme di umiltà e di fierezza, di ascesi e di fantasia: la “gaia scienza” nello Spirito santo. Uno stile regale, ma senza dimenticare che il re ha sempre bisogno di un buffone: tentare di essere cristiano nel mondo, così com’è e come sarà, esigerà una certa “follia”.

Uno stile che esigerà la più alta ascesi, perché ci vorrà tutta la forza dello spirito nel senso di viva intelligenza affinché l’uomo possa aver potere sul proprio potere. Uno stile che esigerà simultaneamente l’ardore di un cavaliere della vita e l’intuizione e l’impertinenza dell’artista. Uno stile che si esprimerà in un incontro rinnovato dell’uomo e della donna: non di subordinazione, né di complementarietà, ma due solitudini e due pienezze, due modi di vivere il mondo e di farlo esistere, a volte per grazia di farlo esistere in un nuovo Cantico dei Cantici. Uno stile in cui si “respira lo Spirito”, in cui si balla nella non-morte, perché il Cristo è risorto. E poiché Cristo è risorto e lo Spirito è versato segretamente dappertutto e abbraccia tutto, vorrei concludere con le parole di Nikos Kazantzakis: “Ogni uomo può salvare il mondo intero”.

Bose, 9 giugno 2019
Pentecoste

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