L’obbedienza che libera

Photo by Julian B. Sölter on Unsplash
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Fratelli, sorelle,

più volte nella nostra Regola si fa riferimento allo Spirito santo. Ricordo solamente due passi che si trovano all’interno del capitolo dedicato all’obbedienza: “È la comunità che per te esprime ordinariamente la volontà del Cristo nel chiederti l’obbedienza e nell’indicarti la via da percorrere. Così tu sei liberato anche dal soggettivismo che minaccia la tua vita secondo lo Spirito, e sei capace di una disponibilità totale che non ti permette di fare riserve di te stesso” (RBo 26).

Poco dopo, si dice: “Cerca di fare tua, di comprendere dall’interno una decisione presa contro il tuo parere. Solo così la tua obbedienza, soprattutto se amorosa e fiduciosa, libererà le tue facoltà intellettuali per renderle docili allo Spirito santo. Se queste decisioni per te sono insopportabili e dure, esperimentale per un po’ di tempo, poi con rappacificazione rivolgiti al consiglio della comunità ed esponi con semplicità i perché delle tue incapacità” (RBo 27).

Sono due menzioni dello Spirito santo strettamente legate all’obbedienza. L’azione dello Spirito, dice la Regola, è consentita proprio dall’obbedienza. Oppure ne è impedita. Certo, può trattarsi di un’obbedienza anche faticosa, contrastata, dolorosa, che costa, ma che pure, dice la Regola, ha un effetto di liberazione: liberazione dal soggettivismo e liberazione delle facoltà intellettuali. Una certa retorica riguardante lo Spirito santo, assolutizzandone l’immagine di vento che soffia dove vuole, arriva di fatto ad autorizzare il soggetto a fare quel che lui vuole, a muoversi come lui stesso vuole, senza argini e direzione, senza tenere conto degli altri e della comunità, arrivando così a beatificare il soggettivismo, il fare la volontà propria sottraendosi a ogni vincolo comunitario. E questo è l’esatto contrario di come si esprime l’azione dello Spirito santo nella persona umana.

In realtà lo Spirito, che nella rivelazione sempre accompagna la Parola e sempre ne è oggettivato, agisce anche con la precisione chirurgica che giunge a distinguere e separare il punto di divisione dell’anima e dello spirito, le giunture e le midolla (Eb 4,12). La Regola arriva a dire di sperimentare decisioni che la comunità prende e che sembrano insopportabili al singolo. Ma proprio in quell’accettare di sperimentare per un certo tempo una decisione di cui non si è convinti vi è l’espressione della libertà, della fiducia, dell’amorevolezza della persona. Vi è l’espressione della sua qualità monastica. Altrimenti nella chiusura senza alcuna possibilità di apertura, nel no che non ammette repliche, vi è l’espressione della sfiducia, della non appartenenza, della chiusura in se stessi, e così ci si chiude anche alla possibile novità e liberazione che l’obbedienza può portare. Vi è la manifestazione della radicata e profonda non libertà della persona, della radicata e profonda paura della persona. E la paura è ciò che si oppone all’azione dello Spirito e tiene nella schiavitù. Dice Paolo: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura” (Rm 8,15).

Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e aperti all’azione dello Spirito attraverso la liberante fatica dell’obbedienza. E tu, Signore, abbi tanta pietà di noi.

fratel Luciano