Il quotidiano, luogo di teofania

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28 novembre 2021

Il libro di Rut, breve e denso, incastonato nella bibbia ebraica tra il libro dei Proverbi e il Cantico dei Cantici, è stato al cuore del ritiro di Avvento, predicato dal priore fratel Luciano Manicardi, cui hanno partecipato una settantina di ospiti, oltre ai fratelli e le sorelle della comunità. Il racconto di Rut declina in modo particolare il dono della Torah: come la rivelazione di Dio nella Torah si traduce in pratiche di bontà (hesed) tra gli esseri umani, così le vicende della donna moabita sono tutte improntate a bontà, rispetto e riconoscimento dell’altro, onestà, delicatezza e tenerezza.

Il dialogo, luogo relazionale per eccellenza, occupa una parte preponderante della vicenda. Rispetto ai libri che lo precedono, osserviamo il passaggio dalla storia della salvezza del popolo di Israele a una salvezza delle storie personali. Rimpicciolimento di orizzonti o punto di vista altro? Le vicissitudini del popolo di Dio sono per la prima volta viste dal basso, da una straniera che appartiene a un popolo, i moabiti, storicamente nemico di Israele. Proprio da Rut tuttavia si svilupperà la stirpe di Davide, da cui nascerà Gesù, come narra la genealogia del vangelo di Matteo. Rut è colei attraverso cui si manifesterà la redenzione di Dio e la salvezza di Israele: il “nemico” si rivela amico. Meditare sulla sua vicenda è allora occasione per esercitarsi a tenere fisso lo sguardo sulle persone, liberarsi dai pregiudizi ed essere attenti a quell’universo di sofferenza che è pane quotidiano dei viventi.

La storia di Rut ci insegna innanzitutto che il quotidiano è luogo di teofania, pertanto l’invito è a non squalificarlo. Rut e la suocera Noemi sono di fronte al problema della sussistenza, la cui soluzione sarà un matrimonio. I loro gesti e le loro parole rivelano che proprio la quotidianità, che nel racconto si dipana tra covoni e mucchi d’orzo, è il luogo in cui vivere la fede e discernere la presenza di Dio. Nel racconto Dio non interviene mai quale soggetto dell’azione, eccetto che nel caso in cui a Rut “accordò di concepire” (Rut 4,13): la storia è interamente demandata alla responsabilità di uomini e donne, in una prospettiva eccezionalmente laica per il tempo in cui fu scritta. Il Signore è presente, sì, ma nella coscienza di fede della protagonista e degli altri personaggi; la sua presenza è reale, però gioca sotto le mentite spoglie del caso ed è evocata in maniera indiretta attraverso le parole e i comportamenti umani. La narrazione è intessuta di gesti di bontà, lealtà, amore e benevolenza, che sono tipici dell’agire di Dio, lasciati tuttavia nelle mani di uomini e donne, alla portata di tutti.

Il libro sottolinea a più riprese l’essere straniera di Rut e si pone come antidoto ai pregiudizi, sgretolati dalle scelte ispirate a bontà della protagonista. Un invito per tutti, oggi, a lasciarsi sorprendere e stupire dall’altro verso cui nutriamo pregiudizi e che etichettiamo, consapevoli che un pregiudizio, prima di essere abbattuto, va riconosciuto. Il libro di Rut insegna che non è possibile dividere il mondo in maniera schematica: bianco e nero, buoni e cattivi, Israele e Moab. Anche il re Davide, a cui si richiameranno le pretese messianiche nazionalistiche, proviene da una storia meticcia, dalla mescolanza di una moabita con un figlio di Israele.

Quella di Rut è inoltre una storia al femminile, dove la protagonista mostra una profondità interiore che la porta ad agire in base a ciò che ha intimamente deciso. Rut è inamovibile nell’intento di seguire la suocera dovunque andrà, fino alla morte: un esempio di autodeterminazione di sconcertante modernità. Una donna di carattere, capace di vincere in se stessa gli stereotipi.

È anche una storia di grande forza politica e sociale, perché le leggi tradizionali sono reinterpretate e semplificate in base al principio che le unisce: andare incontro ai diritti dei bisognosi, dei poveri, assumersene la responsabilità. Il volto di Dio, nella legge, viene così umanizzato.

Il credente vede il compimento dell’umanizzazione del volto di Dio in Gesù di Nazaret, che ha lasciato uno scritto esistenziale: la traiettoria della sua vita è modello da ricalcare, per assumere i modi del Signore. Che umanità abita colui che accoglie i bambini con tenerezza mentre i discepoli volevano tenerli lontano? Che accoglie pubblicani e peccatori e mangia con loro? Che nell’accogliere la prostituta vede l’amore lì dove tutti vedono il peccato? Che incontra tanti malati e li cura, entrando profondamente in empatia con loro? Che forza abita colui di cui si dice “Mai un uomo ha parlato così”? Che non esita a criticare pratiche religiose svuotate di senso e che osa controbattere a scribi e farisei? Che con estrema libertà e insieme autorità interpreta la Torah? La quotidiana pratica di umanità di Gesù diNazaret sia pernoi il “libro” di carne, da ricalcare e meditare in questo avvento.