Vedere grande e guardare lontano

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Il 29 agosto 2019, festa del martirio di san Giovanni Battista, a Roma, presso la Città del Vaticano, il cardinale Achille Silvestrini, legato alla nostra comunità con sincera amicizia da molti anni, è tornato alla Casa del Padre, all’età di 95 anni.

Ci ha manifestato affetto vicinanza, semplice e vera, in mille modi, testimoniati quando ci faceva visita a Bose per i convegni ecumenici e per incontri con amici e ospiti, ma anche a Dobbiaco, a Villa Nazareth e in molte altre occasioni. Soprattutto ci ha consegnato il tesoro prezioso dell’amicizia tra la nostra comunità e gli studenti di Villa Nazareth a Roma (hanno voluto rimanesse loro presidente fino ad oggi), che da oltre vent’anni frequentano fedelmente Bose: un’eredità che ci è molto cara e che vogliamo più che mai accrescere, ricambiando le loro visite con le nostre visite.

Don Achille diceva che Bose è un luogo dove si cerca di vivere la makrothymìa, il sentire in grande e il vedere lontano, ma questo era anzitutto ciò che lui personalmente sentiva e viveva. Scriveva: “Molti di noi hanno trovato nel monastero un riferimento, il luogo in cui alimentare la fede, o sciogliere le tensioni che accompagnano le decisioni importanti. Io stesso, partecipando ai convegni ecumenici internazionali, mi sono reso conto del clima ospitale e corroborante. Bose è un luogo geografico che, nel tempo, si è trasformato in luogo dell’anima in ricerca”.

Ciò che colpiva in lui era la sua vita di fede, e il suo servizio instancabile, paziente e nascosto, agli uomini. Ha avuto una fiducia assoluta nel Signore come “Signore della storia e della Chiesa”: questa centralità di Cristo ha nutrito e affinato la sua capacità davvero eccezionale di amicizia nella fedeltà, di relazioni umane, di volere bene, la sua memoria cordis, la sapienza dei piccoli gesti, l’intuizione dei talenti nascosti in ciascuno e l’incoraggiamento a non temere, ad avere fiducia, e a farli fruttificare per il bene comune, a sperare nel futuro, perché abitato dal Veniente. Un autentico, raro carisma dato da Dio, che vogliamo non dimenticare!

Ci sembra che questo si compia oggi totalmente nella sua vita, nella comunione ormai senza limiti, diventando benedizione. Quest’ora si apre al ringraziamento al Signore: fr. Enzo e fr. Luciano hanno fatto pervenire un messaggio alla comunità di Villa Nazareth, che può contare sulla nostra amicizia fedele e sulla nostra intercessione.


Pubblichiamo di seguito il testo di un messaggio che il cardinal Silvestrini ci fece pervenire il 23 novembre 2012, in vista dei settant’anni di fr. Enzo, limpida testimonianza di un’amicizia con tutti noi.  

Per i 70 anni di Enzo Bianchi

Era stata la makrothymía la prima parola pronunciata da fratel Enzo nel rapporto che si è stabilito con Villa Nazareth, il luogo romano delle residenze universitarie che nascono da un’intuizione del cardinale Domenico Tardini, a favore di studenti deboli nel reddito familiare, ma forti nel talento e nel desiderio di considerare l’ipotesi del Vangelo per la vita. Aveva accolto l’invito di partecipare come relatore al Seminario estivo che si teneva a Dobbiaco, compiendo un lungo viaggio con la sua macchina. Il suo nome si legava a un prezioso libretto sulla Lectio divina, e Giuseppe Bonfrate, ora sacerdote e docente alla Gregoriana, me l’aveva indicato tra i suggerimenti di letture e autori che tante volte sarebbero, poi, divenuti amici miei e della comunità studentesca. La makrothymía è elemento distintivo della paternità divina che si richiede anche ai cristiani: si tratta della visione lunga e paziente, tesa verso orizzonti la cui grandezza ci è spesso ignota. Una qualità che dispone a pensare in grande, ma nel timbro profetico, secondo misure che promettono, donano, si fanno carico responsabilmente e non pretendono. Ci aveva colpito l’affinità con quello che immaginava il cardinale Tardini quando volle fondare Villa Nazareth, allora creata per bambini, per lo più orfani, in un paese che faceva fatica a rialzarsi dopo la guerra. Il futuro Segretario di Stato di Giovanni XXIII annotava l’esigenza di laici preparati a contribuire alla ricostruzione dell’Italia: <<il popolo ha bisogno di apostoli, cioè di persone intelligenti, colte, virtuose, disinteressate, ricche di iniziative e di spirito di sacrificio, che sentano il desiderio di fare del bene agli altri>>. Da quel primo incontro fratel Enzo e la Comunità di Bose sono divenuti un riferimento. Molti, soprattutto per l’accoglienza nei ritiri quaresimali, hanno trovato nel monastero il luogo in cui alimentare la fede, o sciogliere le tensioni che accompagnano le decisioni importanti. Io stesso, partecipando ai convegni ecumenici internazionali, mi sono reso conto del clima ospitale e corroborante. Bose è un luogo geografico che, nel tempo, si è trasformato in luogo dell’anima in ricerca.

Tutte le sorelle e i fratelli della comunità esprimono la vocazione che li accomuna ben rappresentato nell’icona della Trasfigurazione posta al cuore della loro chiesa. Il credente opera nella storia nel segno trasfigurante, testimone che la vita trionfa sulla morte, e che per questo bisogna costantemente penetrare e assumere l’intera storia della salvezza che promette al nostro corpo, alla nostra povera vita che <<geme e soffre nelle doglie del parto>> (Rm 8, 22) di trasformarsi nella gloria (Fil 3, 21). Non ho usato a caso il verbo “operare”. A fratel Enzo piace citare Tertulliano in quel passaggio dell’Apologetico in cui si dice <<cristiani si diventa, non si nasce>>, ma più avanti, nello stesso testo, si precisa che <<i cristiani ammaestrano coi fatti>>. E sono i fatti generati dal Vangelo, dalla Parola che Dio rivolge alla storia.

Al servizio della Parola lega la sua vita fratel Enzo, quella Parola che, come insegna Gregorio Magno (Omelie su Ezechiele), <<cresce con chi la legge>>. La misteriosa sinergia che si genera a contatto con le Scritture sostiene lo ‘spaesamento’ del cristiano. La nostra posizione nella vita ogni volta risorge dalla lotta. Non è facile custodirsi nella figliolanza divina ed essere obbedienti alla responsabilità nei confronti del nostro tempo. Siamo costantemente generati dalla tensione difficile ma feconda di quell’essere <<di questo mondo e non di questo mondo>> (Gv 17). E allora, proprio per questo, in attesa di <<un cielo nuovo e di una terra nuova>> (Ap 21,1), il Signore dona dei maestri, lampade alimentate dalla sua Luce. E la comunità di Bose con fratel Enzo sono diventati per noi la riproposizione di quanto pregato nel Salmo: <<lampada ai miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino>> (Sal 118/119, 105).

Achille Silvestrini,

Città del Vaticano, 23 novembre 2012