“Quanti pani avete?”

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Mc 6,38

Gesù 38chiese ai suoi discepoli: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci».


Carissimi amici, carissime amiche,

proseguiamo il nostro viaggio con Gesù, il quale dopo averci interrogati sulla sua identità (“Voi chi dite che io sia?”) e sulla nostra (“Qual è il tuo nome?”) in questa nuova tappa passa dall’essere all’avere e ci interroga su ciò che possediamo e sulla nostra capacità di condivisione: “Quanti pani avete?”. Una domanda semplice ma su ciò che è essenziale per vivere è posta da Gesù ai suoi discepoli, che lo invitano a rimandare a casa le folle che sono state a lungo ad ascoltarlo: siamo nel contesto della narrazione di uno degli episodi più conosciuti dei racconti evangelici, ovvero la cosiddetta “moltiplicazione dei pani”, cosiddetta perché in realtà, piuttosto che parlare di moltiplicazione, dovremmo parlare di suddivisione, di condivisione.

Ma procediamo con ordine e rivolgiamo uno sguardo più attento al contesto di questa domanda, osserviamo più da vicino la stazione in cui facciamo sosta oggi.

Siamo all’interno della narrazione della già citata “moltiplicazione dei pani”, narrazione presente in tutti gli evangeli (anche Giovanni, che di solito si discosta abbastanza nello stile e nel contenuto dagli altri tre evangelisti, in questo caso si può leggere in parallelo con Matteo, Marco e Luca), ma la nostra domanda è presente solo in Marco e Luca mentre gli altri due evangelisti sviluppano la scena in modo diverso.

Noi seguiremo la narrazione che ne fa Marco nel capitolo 6 del suo vangelo: Gesù cerca un luogo solitario dove ritirarsi con i suoi discepoli per riposarsi un po’. Questo luogo in disparte ben presto si popola di molta folla che cerca Gesù, il quale prova per essa compassione perché “erano come pecore che non hanno pastore” (Mc 6,34) e invece di irritarsi (come probabilmente faremmo noi se disturbati in un momento di relax) accoglie questa gente e si mette a parlare loro insegnando molte cose.

Così il tempo passa e si fa sera… allora i discepoli si accostano a Gesù per fargli notare che forse è meglio congedare la folla così che ciascuno abbia il tempo di andare a comprarsi qualcosa da mangiare. Osservazione più che legittima e sensata a cui però Gesù risponde in modo spiazzante: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37). Poco razionale Gesù, poco pratico: come possono procurarsi cibo per una folla che scopriremo essere formata da più di cinquemila persone?

I vangeli ci narrano di altri episodi in cui i discepoli devono far notare al loro maestro che quello che dice non è molto “sensato”. Pensate ad esempio alla scena con l’emorroissa in Marco 5,25-34, dove Gesù, sentendo una forza che era uscita da lui, domanda: “Chi mi ha toccato?” e in quel caso i discepoli devono fargli notare che è spintonato da più parti dalla folla… Ma Gesù, con infinita pazienza, insegna loro ad avere un altro sguardo, un altro punto di vista e a guardare il poco che può fiorire e non il molto che impaurisce!

“Quanti pani avete?”: partite da voi e non dalla folla, partite dal discernere e riconoscere ciò che avete anche se ai vostri occhi sembra poco, insignificante e irrisorio, non risolutivo di fronte al molto della folla, di fronte al problema, alla complicazione che vi trovate ad affrontare.

“Quanti pani avete?”: domanda semplice ma che chiede una valutazione e anche una disponibilità a una apertura, degli occhi e del cuore ancora prima che delle mani, per giungere a una capacità di mettersi concretamente in gioco con il proprio poco, in quel movimento di dono che è, e resta, un rischio ma che imprime senso e ampiezza alla vita.

Gesù dopo aver posto ai discepoli la domanda prosegue: “Andate a vedere”, insegnando ai discepoli che i problemi non si risolvono da soli ma sempre nella comunione con gli altri, quegli altri che spesso noi vediamo solo come fonte di problemi. Gesù invita i discepoli a “fare la conta” non solo dei loro pani ma anche di quelli della folla, folla che suscita nei loro cuori preoccupazione ma che in realtà ha in sé anche delle risorse, magari minime, come le loro, ma sufficienti se condivise.

Eccoci giunti all’ulteriore e decisivo passo: dal riconoscere ciò che noi abbiamo, al verificare ciò che gli altri hanno, alla capacità di dono, di metterlo a disposizione, di condividerlo.

Gesù non ci chiede di avere molti talenti ma ci chiede di farli fruttare mettendoli a servizio del bene comune, del bene nostro e dell’altro, sapendo che il nostro bene è tale nella misura in cui produce un beneficio anche per l’altro, facendoci uscire dal vortice mortifero dell’autoreferenzialità e dell’egoismo attraverso la danza della comunione.

Così quel poco che ci sembra di avere tra le mani, quei cinque pani e due pesci, si moltiplicheranno se affidati alle mani di Gesù, in un movimento che è già di apertura e di comunione, un movimento che chiede la partecipazione di colui senza il quale noi non possiamo nulla (“Senza di me non potete far nulla”, Gv 15,5), un movimento che è allo stesso tempo di fede, speranza e carità (chiediamo e affidiamo, intercediamo, non per noi stessi ma per altri).

Così quel nostro poco passa da noi a Gesù, dalle nostre mani alle sue che afferrano non per trattenere ma per spezzare, con-divedere e distribuire, non senza aver prima benedetto quel poco e averlo ricondotto, attraverso lo sguardo rivolto al cielo, a colui che è la fonte di ogni dono, al Padre che sa ciò di cui abbiamo bisogno.

Così il poco si moltiplica attraverso la disponibilità, il ringraziamento e la condivisione e passiamo da una situazione di indigenza a una di abbondanza, passando dal poco che sembrava insufficiente a un’abbondanza che non solo sazia ma che addirittura avanza, e avanza in modo copioso (dodici ceste piene!).

Valutare, mettere insieme, affidare, benedire, distribuire: ecco i passi per passare dal poco al molto, dalla sterilità dell’egoismo alla fecondità della condivisione, dove l’assumersi il rischio della generosità può generare l’abbondanza di una gioia condivisa, la sazietà non solo di pane ma anche di senso, di gioia e di vita.

Ecco che la stazione in cui abbiamo sostato in questa tappa del nostro viaggio insieme a Gesù e alle sue domande da piccola come ci sembrava a prima vista, scrutandola bene, osservando i minimi particolari, ci appare ora molto spaziosa e soprattutto, grazie alla piccola porticina chiamata “dono”, aperta su uno spazio ampio, un orizzonte di vita condivisa e offerta, vita partecipata, vita ricca di relazioni grazie alla Parola (non dimentichiamo che questa situazione problematica si è creata perché Gesù si è attardato a insegnare alle folle) e alle cose, perché se Parola e cose sono condivise diventano il canale della comunione.

Noi costruiamo e custodiamo le nostre relazioni attraverso le parole e le azioni che sanno essere risposta responsabile al bisogno concreto dell’altro, risposta che non ci chiede atti eroici o risorse infinite ma semplicemente di venire incontro all’altro offrendogli il nostro poco, perché questo poco agli occhi di Dio è molto e lui può moltiplicarlo e renderlo sufficiente se noi sappiamo correre il rischio di affidarglielo.

Così i nostri cuori, attraverso le nostre mani che si svuotano, si riempiono di quella pace e quella gioia che sono il frutto, la “ricompensa”, della laboriosa arte della condivisione, del dare più che del possedere, dell’offrire più che del pretendere o del trattenere, dello spezzare più che del moltiplicare, dello stare con l’altro nel bisogno più che del rinviarlo lontano da noi. Gesù in un'altra scena del vangelo loderà una povera vedova che vede gettare nel tesoro del tempio solo due spiccioli, una somma irrisoria ma enorme ai suoi occhi perché “Tutti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,44): questa è la logica del vangelo, questa è la logica di Gesù. Il dono arricchisce se è offerta del nostro poco per la vita dell’altro, se è gesto di amore che non fa riserve di sé.

Impariamo allora a condividere il nostro poco, a metterlo a sevizio della vita e della gioia degli altri, così vedremo fiorire le nostre vite come alberi rigogliosi che non temono di esporsi al vento e alle intemperie perché hanno le loro radici ben ancorate a terra, nella terra del vangelo, nella terra dell’amore, nella terra dell’esempio e della vita di Gesù che ci amò fino alla fine e senza misura.